1° ottobre 2017, XXVI
domenica T.O. / A Mt. 21,28-32
In questa parte del suo
vangelo, l’evangelista Matteo sottolinea come la tensione tra Gesù e i capi
sacerdoti e i farisei si faccia sempre più aspra, fino a sfociare, poi, nel
drammatico epilogo della croce.
Ma il maestro prosegue incurante nella sua missione evangelizzatrice e ci
richiama con forza ad osservare la volontà del Padre, anche se, essendo noi
limitati, spesso possiamo eseguirla in modo imperfetto, dopo il peccato, ossia
il nostro rifiuto a Dio e il successivo pentimento. Nell’abbandonarci al
progetto del Padre, dobbiamo farci servi di tutti, come sottolinea
magnificamente San Paolo nella lettera ai Filippesi, come Gesù che non ritenne
un privilegio la propria divinità, ma si abbassò e umiliò se stesso fino alla
morte e alla morte di croce.
Il Maestro pone una domanda ai farisei sulla correttezza di comportamento fra
due fratelli nel compiere la volontà del Padre e, benché essi rispondano in
modo giusto, prende l’occasione per sottolineare che sono peggiori dei
pubblicani e delle prostitute perché, a differenza di questi, non hanno creduto
in Lui e non hanno dimostrato un briciolo di pentimento.
Oggi mi sforzerò di mettere a fuoco il
disegno che il Padre ha su di me e di accoglierlo, qualunque esso sia,
accantonando le mie volontà, facendomi ubbidiente e mettendomi al servizio di
chi mi sta accanto.
8 ottobre 2017, XXVII
domenica T.O./A Mt, 21,33-43
Anche in questo brano Gesù
stigmatizza l’indifferenza e l’ostilità delle autorità religiose del tempo nei
suoi confronti. Riprende il simbolismo del profeta Isaia il quale narra come la
vigna del Signore, ossia la casa di Israele, nonostante le amorevoli cure del
Padre, abbia dato frutti acerbi. Anche in seguito, il popolo eletto, amato da
Dio, aveva dimostrato una grande durezza di cuore e aveva risposto
negativamente al suo amore. Si era allontanato da Lui, rifiutando le sue leggi:
dapprima aveva percosso i servi inviati a ritirare il raccolto (i numerosi
profeti inviatigli) e, poi, era arrivato ad uccidere addirittura l’erede, il
figlio, chiaro riferimento a Gesù stesso.
Cosa farà dunque il padrone della vigna? La toglierà ai cattivi vignaioli e la
darà ad altri che sapranno farla fruttificare convenientemente.
Gesù continua il suo racconto sottolineando come la pietra scartata dai
costruttori, cioè Egli stesso, è diventata pietra d’angolo. La sua vigna,
innestata in Lui, darà frutti di vita eterna.
A noi il grande compito di far conoscere, nell’amore e nella certezza che Dio
aspetta tutti a braccia aperte, l’immenso dono che ci è stato affidato.
Oggi cercherò di essere una testimone
credibile del Vangelo.
15 ottobre 2017 XXVIII
domenica T.O./A Mt. 22,1-14
Un re decide di organizzare
una grande festa per le nozze del proprio figlio e invita parenti e amici,
gente del suo rango e del proprio ambiente, ma questi, con varie scuse,
declinano l’invito e, anzi, rispondono ai servi del re con violenza. Egli
allora punisce duramente quei malvagi, poi rivolge la sua attenzione altrove.
Manda i propri servi ai crocicchi delle strade a radunare più gente possibile.
E’ commovente la capacità del padre nel non lasciar cadere nel vuoto il suo
invito. Egli non ha pace e chiama con insistenza tutti: buoni e cattivi, poveri
e ricchi, storpi, ciechi e tutti i reietti della società. Però caccia dalla
festa colui che non ha indosso l’abito nuziale.
Egli è un Dio esigente: vuole la nostra risposta sincera e assoluta. Vuole che
noi collaboriamo al suo progetto, mettendoci in gioco in modo da poterci
rivestire con la veste bianca della sua grazia.
A chi gli risponde con cuore puro non fa mancare nulla. Egli, da buon pastore,
fa riposare i pascoli erbosi e conduce ad acque tranquille, come recita il
salmo odierno.
Oggi voglio rispondere con immediatezza
all’invito delle nozze, cercherò di tralasciare i miei impegni e superare i
miei tentennamenti, non presenterò scuse, certa che il Padre celeste asciugherà
le mie (nostre) lacrime e mi darà in cambio cento volte tanto.
22 ottobre 2017, XXIX
domenica T.O./A Mt. 22,15-21
I Farisei hanno ben capito
che le parole di accusa pronunciate da Gesù nelle parabole precedenti, sono
rivolte a loro e cominciano a tramare contro di Lui.
Mandano, dunque, i propri discepoli per metterlo in difficoltà, chiedendogli se
fosse lecito pagare le tasse ai dominatori romani. Gesù, però, non cade nel
tranello tesogli e risponde con mestizia, osservando l’immagine dell’imperatore
su una moneta, che occorre dare a Cesare ciò che è di Cesare. Riconosce che i
doni di Dio devono essere tenuti in gran conto nella vita di tutti i giorni,
anzi devono essere fatti fruttificare.
Subito dopo, però, aggiunge che occorre dare a Dio ciò che è di Dio. Cioè, come
ben sottolinea il profeta Isaia nel suo libro, occorre mettere Dio al primo
posto, amandolo con tutti noi stessi e conformandoci alla sua volontà. “Io sono il Signore, dice Isaia, non ce n’è
altri”.
Occorre, dunque, innanzi tutto riconoscerlo e poi averlo come modello del
nostro agire, amando tutti come Lui, secondo il modello della Trinità.
In questa domenica ricorre la giornata missionaria mondiale. Oggi è grande la
tensione e il desiderio a compiere un’attività di evangelizzazione in comunione
con tutte le altre chiese cristiane alle quali ci uniscono il battesimo, la
Parola di Dio e l’amore a Gesù Cristo.
Oggi cercherò di andare verso le
periferie, di essere in “uscita” e di farlo in unità con tutti, per realizzare
il più grande desiderio di Gesù: “Che tutti siamo uno!”.
29 ottobre 2017, XXX
domenica T.O./A Mt. 22,34-40
Il brano di quest’oggi
corona e chiude in modo altissimo gli insegnamenti espressi nelle parabole
delle domeniche precedenti, mettendo a fondamento della nuova Legge il
comandamento dell’amore.
A differenza delle folle che sono affascinate e stupite dalle parole di Gesù, i
farisei divengono sempre più ostili nei suoi confronti e, falliti i precedenti
tentativi, cercano ancora una volta di mettere in difficoltà il Maestro chiedendogli quale fosse il più grande
comandamento della Legge.
La risposta, che costituisce
il cuore di tutto il Vangelo, è: “Amerai il Signore, Dio tuo, con tutto il
cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” E subito Gesù aggiunge:
“Il secondo, poi, è simile a quello: Amerai il prossimo come te stesso. Da
questi dipendono tutta le legge e i profeti”.
In questo modo Gesù innesta strettamente i due comandamenti in un tutto unico.
L’amore per Dio non può essere un amore astratto, platonico, ma concreto,
visibile nei fatti. E come si può fare ciò?
Amando Dio nel fratello. Come potete amare Dio che non vedete, se non amate i
fratelli che avete accanto? Dirà l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera.
Ma non basta: per poter amare completamente gli altri occorre amare anche se
stessi come creature di Dio, fatte a sua immagine e somiglianza, investite di
un grande disegno e capaci, attraverso i Sacramenti e la Parola, di divenire
simili a Lui, partecipando allo sviluppo armonioso del creato.
Oggi voglio guardare tutto con occhi
nuovi, riconoscendo in ciò che mi circonda, persone e cose, la mano
misericordiosa e perfetta dell’Onnipotente.