N° 8 - Settembre 2017
Il Vangelo di settembre
di Claudia Pugnana


I brani evangelici di questo mese hanno come tema di fondo la vita della Chiesa nel suo rapporto con Gesù.

3 Settembre 2017- XXII DOM. T.O.A - Mt 16, 21-27

Il Vangelo di questa domenica ci presenta il primo annuncio della Passione, il dialogo che si sviluppa tra Gesù e Pietro e le esigenze per la corretta sequela di Cristo.
Gesù rivela a Pietro e ai discepoli, il gruppo che sta istruendo per costituire la Chiesa, il suo destino di morte e di resurrezione.
La reazione di Pietro, che ha appena fatto la sua professione di fede su Gesù, riconoscendolo come “il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, ci manifesta ora un uomo confuso, che  non ha ancora chiara la missione del  suo Maestro.
Ci sorprende il secco rimprovero di Gesù che lo chiama “Satana”  ( tentatore)  e “scandalo”
( pietra d’inciampo, ostacolo).
 Ma la fermezza del Cristo è necessaria per richiamare i discepoli al loro compito che è quello di conoscere con Lui il vero volto di Dio e fare  il Suo volere.
Non dimentichiamoci però l’umanità di Gesù, il suo vivere umanamente le  emozioni, le paure, i  sentimenti ………
In questo momento della sua vita si trova contrastato dai capi del popolo e non capito sia dalla folla e  sia dai suoi discepoli, uomini che Lui ha chiamato, sui quali ha riposto fiducia. Prova sconforto e solitudine che deve vincere guardando oltre i limiti dell’umano pensare.
Quindi con pazienza ricomincia ad istruire i Dodici che sono stati “ chiamati”, ai quali ora viene chiesta una “risposta” che comporta un cambiamento di prospettiva, una scelta definitiva. 
Nei versetti 24-27 Gesù spiega che cosa bisogna fare per “stare dietro di Lui”.  Il Maestro presenta le condizioni della sequela, che ci sembrano tre: “Se qualcuno vuole venire dietro di me rinneghi se stesso (1) e prenda la sua croce(2) e mi segua(3) “.
ma che si possono riassumere in una: chi vuol seguire Gesù deve “smetterla di pensare a se stesso” ( rinnegare), deve superare l’egocentrismo aprendosi a Dio e ai fratelli.
La vita del cristiano deve essere una vita per gli altri, a costo di qualsiasi sacrificio (croce), senza aspettarsi  però alcuna gratificazione immediata, avendo in Dio il senso del proprio donarsi.

La croce da portare è quella delle persecuzioni fisiche, morali e spirituali che il cristiano incontra nel corso della sua vita perché discepolo di Gesù.

Gesù, il Figlio dell’uomo che sta per venire circondato dagli angeli e avvolto nello splendore del Padre, promette che a quelli che lo seguiranno, tenendo conto di quello che avranno fatto nel corso della loro vita, darà la Ricompensa.

10 Settembre 2017- XXIII DOM. T.O.A - Mt 18, 15-20

La comunità ecclesiale deve essere il luogo in cui la carità dà senso ad ogni azione che vi si compie.
Nel Vangelo di oggi Gesù consiglia ai suoi discepoli ( e quindi a noi che vogliamo dirci cristiani) il modo per aiutare un peccatore a prendere coscienza del proprio errore e a recuperare la giusta strada.
Il primo momento deve essere un incontro con chi ha peccato che ha lo scopo di convincerlo della gravità dell’azione compiuta e della necessità di
rimettere a posto ciò che è stato  scompigliato.
Se il nostro tentativo non risulta proficuo Gesù invita a prendere uno o due testimoni che cercheranno di far convertire il peccatore, seguendo un precetto della legge di Mosè ( Dt 19,15 “ Ogni cosa venga decisa sulla parola di due o tre testimoni”).

Soltanto nel caso che fallisca anche questa modalità è necessario informare l’assemblea ( Ekklesìa) e coinvolgerla nella correzione del peccatore.

Potrebbe succedere, dice Gesù, che il fratello che ha sbagliato non ascolti neanche l’ assemblea.

In questo caso egli si auto-esclude dalla comunità.
La scomunica è l’azione con la quale la Chiesa non pronuncia nessuna condanna  ma con sofferenza constata, e lo dichiara ufficialmente, che un
fratello non le appartiene più.
Gesù lascia alla Chiesa un grande potere, poiché ciò che verrà deciso dalla Comunità cristiana avrà valore anche in Cielo.

Quindi ogni passaggio va fatto nella carità, con la volontà del recupero di chi ha sbagliato e chiedendo a Dio, con la preghiera,la grazia di fare il Bene.

17 Settembre 2017- XXIV DOM. T.O.A - Mt 18, 21-35

Il racconto  evangelico di  oggi ci presenta Pietro che chiede a Gesù quante volte bisogna perdonare chi ci offende.
La consuetudine del tempo consigliava di perdonare fino a tre volte ( I Rabbini dicevano che Dio era così buono da perdonare fino a tre volte) ma Gesù invita a perdonare settanta volte sette, che simbolicamente significa “sempre” ( nella cultura ebraica il numero Sette indica “pienezza e totalità”).
Questa risposta vuole portare una nuova mentalità nella cultura dell’uomo: si oppone chiaramente al desiderio di vendetta che ispirò la frase di Lamech, discendente di Caino, che voleva essere vendicato “settanta volte ”.
Per farci comprendere meglio il concetto di perdono Gesù narra una parabola che ha come protagonisti principali un re e un servo in debito con lui.
La vicenda si svolge in tre atti.
Il primo vede il debitore davanti al re che gli chiede la restituzione del prestito ( cifra esorbitante se si pensa che un talento corrispondeva a 35 kg di oro!).
Ma l’uomo non riesce a restituire il debito e implora il sovrano di condonargli quanto gli deve.
Il re, preso da compassione, lo libera dal debito e lo lascia tornare dalla sua famiglia.
Ma il perdonato non sa perdonare: nel secondo atto lo vediamo inveire contro un altro servo che gli doveva restituire un prestito equivalente a tre mesi del salario di un bracciante.
Una bella cifra ma insignificante se confrontata con quella che gli era stata appena condonata.
In questo atto Gesù mette a confronto la grettezza umana con la misericordia del Padre: c’è lo stesso atteggiamento dei  due debitori, la stessa preghiera di supplica, ma antitetica la reazione dei due creditori.
L’atteggiamento del servo creditore fa rattristare gli altri servi  che vanno dal re a raccontargli l’accaduto.
E il re ( = Dio ), di fronte al cuore indurito del servo incapace di perdono, pur avendo avuto la bella esperienza di averlo ricevuto, ritorna sulla sua decisione e condanna il debitore a saldare quanto dovuto.
Gesù ci esorta a perdonare con il cuore, ad essere misericordiosi con tutti perché Dio fa così.                                                                                                                           

24 Settembre 2017- XXV DOM. T.O.A - Mt 20, 1-16

La parabola che ci narra Gesù in questo brano evangelico vuole spiegare come si viene retribuiti nel “Regno dei cieli” per le azioni che si compiono.
Per farsi ben comprendere dagli  uditori il Maestro utilizza delle immagini che erano conosciute nella società del tempo.
Le scene  che qui ci vengono presentate si possono vedere ancora oggi in alcune parti del mondo, soprattutto in Oriente.
Il mattino presto vengono ingaggiate persone “a giornata”, solitamente per lavori agricoli, dai cosiddetti “caporali” che spiegano il tipo di mansione da svolgere e concordano la paga.
Alcuni operai vengono chiamati  dal padrone della vigna a lavorare fin dal mattino per la  paga concordata di una moneta d’argento ( un denaro).
Ma il padrone della vigna, vedendo che sulla piazza alle nove c’erano ancora dei disoccupati, li assume promettendo la giusta retribuzione.
Poi ripete la stessa azione a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio (un’ ora prima della fine dei lavori) prendendo a lavorare tutti quelli che erano in attesa di ingaggio.
A sera ( come previsto dalla legge di Mosè nel Deuteronomio 24,15) il fattore procede al pagamento degli operai. Eseguendo le indicazioni del suo padrone inizia a retribuire gli ultimi, quelli delle cinque, ai quali il padrone non aveva detto nulla in merito all’ammontare della loro paga, con un denaro.
Poi retribuisce tutti gli altri in ordine inverso di chiamata sempre con la stessa moneta d’argento. Gli operai che avevano iniziato a lavorare al mattino presto, testimoni della generosità del padrone della vigna verso gli operai che avevano lavorato per meno tempo, si aspettano una retribuzione più alta.
Ma ricevendo la stessa moneta degli ultimi si lamentarono.
Il loro malcontento ci sembra ragionevole: il padrone ha trattato alcuni operai con giustizia e altri con generosità.
E Dio ( = il padrone) ci dà ragione del suo agire:
si è comportato con giustizia perché ha dato quanto concordato; vuole essere libero di usare i suoi beni come crede e poiché li usa con generosità, facendo il Bene, non deve essere giudicato; invita a non  criticare  per invidia i comportamenti buoni degli altri.
Questa parabola ci invita a pensare alla maniera del Padre: non è il Quanto si fa che viene valutato, ma è il Come si agisce che ci farà avere la giusta paga.

Quando Dio ci chiama dobbiamo rispondere impegnandoci a lavorare bene nella Chiesa e avremo ciò che ci spetta.  

                                                                       


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