Ho visto la foto ufficiale
dell’incontro fra Trump, la sua famiglia e papa Francesco. Mi hanno
impressionato la postura curva del rassegnato, il volto stanco e rugoso, gli
occhi spenti, quasi invecchiato d’improvviso e la palpabile delusione per non essere
riuscito a farsi ascoltare da un interlocutore sordo e protervo.
Ho visto le foto di Francesco a Genova tra i lavoratori dell’Ilva, tra la folla
che festosamente l’acclamava, al Gaslini tra i piccoli ricoverati e i loro
preoccupati genitori, al pranzo tra gli emarginati e al santuario della Madonna
della Guardia con i giovani: un altro viso, sorridente, disteso, sereno, capace di infondere fiducia e
speranza, felice di essere nel suo habitat naturale di parroco sempre pronto a
sostenere chi è in difficoltà, lesto a lanciare le sue affermazioni graffianti
e dure come il granito a chi nega la sicurezza e il lavoro, quindi la dignità
ad ogni uomo. “L’obiettivo da raggiungere non è un reddito
per tutti, ma il lavoro per tutti.” Espressione che sembra sottintendere
come il reddito per tutti a prescindere, renderebbe i giovani e meno giovani inutili
bamboccioni: gli esempi eclatanti non mancano nei ceti alti – solo per censo –
della società civile. “Come si cambia”
recitava una canzone di successo. Per esempio, nell’ XII – XIII secolo (ma non solo)
i papi Innocenzo III e IV pretendono di essere “il più potente sovrano della
Chiesa che la storia conosca. Per loro Chiesa e Impero non sono che due aspetti
consostanziali e complementari dello stesso mandato divino ed umano concesso
loro per dominare i popoli…. È scontato il diritto delle due spade, cioè il
potere religioso e politico su tutti gli uomini.” (padre N. Fabbretti ) Non ci troviamo di
fronte al Vicario di Cristo che si pone al servizio dell’umanità intera senza
distinguo, ma ad un superman, al superuomo con la pretesa di soli diritti e
privilegi. Mi si obietterà che erano
altri tempi. Certo, ma la Parola è immutabilmente la medesima e la capacità di
ascolto la stessa. Forse allora si preferiva pensare che il ruolo di Vicario
significasse imporre supremazie di potere che nel Vangelo non hanno spazio o
suggerire guerre sante (le crociate). Oggi papa Francesco sostiene con forza
che “soltanto la pace è santa: violenza e
fede sono incompatibili.” “Come si cambia.” Dalle tiare, triregni, sedie
gestatorie, fastose dimore, lussuose carrozze, plurale maiestatis, mille
orpelli che mirano a divinizzare l’uomo, le auto blindate, siamo passati al
linguaggio confidenziale – che non sminuisce o svilisce oratore e concetti –
alle camminate a piedi tra la folla per immergersi nella realtà e farsi sentire
di tutti e per tutti, alla dignitosa residenza di Santa Marta, infine,
all’utilitaria Focus Ford. Saranno stati altri tempi e altri contesti storici,
ma allora, i due coevi Innocenzo III e Francesco di Assisi leggevano e meditavano
Vangeli diversi? Paolo di Tarso anche oggi si sentirebbe perfettamente
integrato in questa società difficile e ostile e non avrebbe nessun problema a
svolgere la sua missione evangelizzatrice, mentre i suddetti, strappandosi i
loro aulici paludamenti, scomunicherebbero, per far prima, il mondo in blocco. Solo questione di stile? Se è “attendibile”
che Gesù abbia detto che qualunque cosa farete nel mio nome al più piccolo dei
miei fratelli lo avrete fatto a me, penso si possa affermare che
l’umanizzazione dell’alto compito di guida della Chiesa, istituzione divina, sia
la grande novità del papato di Francesco. Il nome non è stato scelto a caso!
Papa Francesco ai 10 neosacerdoti romani da lui consacrati nel periodo pasquale
suggerisce: “Siate pastori, non chierici
di Stato”, ovvero, assenteisti pur timbrando il cartellino di presenza. Nella
cattedrale di San Lorenzo a Genova durante l’incontro con i consacrati,
risponde così ad una domanda su come vivere la fraternità sacerdotale: “Oggi i bambini direbbero “Questo è un prete
google o wikipedia. Sa tutto.” Come succede anche per i laici, non è
persona simpatica, né è gradita la sua presenza. E continuando invita ad
imitare Gesù che “è stato sempre un uomo
di strada, un uomo aperto alle sorprese di Dio. Invece il sacerdote che ha
pianificato tutto, generalmente è chiuso alle sorprese di Dio e si perde quella
gioia della sorpresa dell’incontro.” Prete di strada e mi viene in mente il
genovesissimo don Andrea Gallo. Ma l’espressione più pesante è questa: “Senza rapporti con Dio e con il prossimo,
niente ha senso nella vita di un prete. Quando un prete parla troppo di se
stesso, troppo delle cose che fa…. è autoreferenziale.
E’ un segno che quell’uomo non è un uomo d’incontro, al massimo è un uomo dello
specchio, gli piace specchiarsi come se avesse bisogno di riempire il vuoto del
cuore parlando di se stesso.” Sembra
Gino Bartali quando diceva: “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare.” Il suo parlare a ruota libera comincia la
mattina nel grande capannone dell’Ilva, quando mette all’angolo il reddito di
cittadinanza e chiede con forza il lavoro che dà dignità e prosegue con un
affondo così duro e innovativo da far scomparire nel nulla gli apicali
dirigenti sindacali, sul punto di forza del nuovo capitalismo industriale: la
meritocrazia. “La competizione
all’interno dell’impresa dimentica che l’impresa è prima di tutto cooperazione,
mutua assistenza, reciprocità. Quando un’impresa crea scientificamente un
sistema di incentivi individuali che mettono i lavoratori in competizione tra
loro, magari, nel breve periodo può ottenere qualche vantaggio, ma finisce per
minare presto quel tessuto di fiducia che è l’anima di ogni organizzazione.”
La meritocrazia “affascina perché è una
parola bella: il merito,” ma l’uso strumentale la snatura e la perverte. La
meritocrazia sta diventando la legittimazione etica ed economica della
disuguaglianza e il nuovo capitalismo, sempre più vorace, veste di valore
morale le disuguaglianze attraverso la meritocrazia; ciò determina “il cambiamento della cultura della povertà.
Il povero è considerato un demeritevole, quindi un colpevole. E se la povertà è
colpa del povero, i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa” sentendosi a
posto con una coscienza di comodo. La denuncia contro l’imprenditoria
finanziaria e industriale non si ferma e procede senza mezzi termini: chi
licenzia e delocalizza le aziende per avere più profitto è uno speculatore,
mentre far lavorare 11 ore al giorno per 800 euro al mese, magari, con un contratto
part time, per pagare meno tasse e
contributi previdenziali, è un ricatto.
Papa Francesco si commuove quando, davanti al porto, ricorda la partenza con il
transatlantico Giulio Cesare verso la lontanissima Argentina dei suoi nonni
Giovanni e Rosa e di suo padre Mario, appena ventenne, il 1 di febbraio del
1929. Il ricordo di un momento particolarmente sofferto e difficile di una
famiglia che lascia per sempre la propria terra e le radici per andare verso un
futuro fumoso e incerto, fa comprendere l’umana sensibilità e la determinazione
con cui affronta il tema e i drammi dell’odierno fenomeno migratorio e delle nuove
povertà.
Papa Francesco è il pastore buono e semplice, ma tenace e risoluto, eccezionale
comunicatore capace di tradurre con espressioni talvolta colorite ed altre
sferzanti il suo pensiero sui mali del mondo e la sua alta preparazione
teologica - non per niente è un gesuita -, cioè è il grande pastore di cui la
Chiesa di oggi ha estremo bisogno per essere ancora promotrice di pace e
fraternità e non di inciuci politici
ed economici.