N° 5 - Maggio 2017
CATTOLICI E LAVORO: DUE LE DATE DEL MESE DI MAGGIO
di Egidio Banti

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Il 28 aprile 1906 “Il popolo”, settimanale cattolico che dal settembre dell’anno prima usciva ogni sabato a Spezia, con notevole diffusione anche nelle parrocchie, pubblicava in prima pagina un articolo intitolato “1° maggio”.
Ne riportiamo la parte finale, perché ci sembra di particolare interesse: “Noi vorremmo che il 1° e il 15 maggio, invece che costituire delle antitesi, si riunissero e si armonizzassero, che la festa del lavoro fosse informata dello spirito della democrazia cristiana. Quando avverrà questo, la società potrà sentirsi tranquilla, perché in mezzo alle ansie della crisi che attraversa, avrà trovata la via della salvezza: la classe lavoratrice sotto l’influsso dell’idea cristiana, sempre giovane e sempre potente, compirà la sua ascensione calma ed ordinata e su tutte le classi armonicamente congiunte brillerà la croce, segno di amore e di pace”.
Al di là di un tono piuttosto enfatico, frutto di un tempo nel quale non esistevano i social network né le post verità, quel brano è interessante perché, anzitutto, collega tra loro due date del mese di maggio. Il 1° maggio, come è ben noto, è la festa del lavoro, avviatasi nella seconda metà dell’Ottocento negli USA, e poi diffusasi in Europa e in tutto il mondo, nell’ambito delle lotte e delle rivendicazioni sociali. Furono i movimenti socialisti ed anarchici aderenti alla “prima internazionale”  a promuovere nei primi anni Ottanta di quel secolo una giornata annuale di sintesi delle lotte e delle rivendicazioni operaie. La scelta del 1° maggio venne avvalorata dai gravi incidenti avvenuti a Chicago ai primi del maggio 1886, con scontri violenti tra manifestanti e polizia, e molti morti da entrambe le parti.
La data del 15 maggio, forse meno nota, è invece quella in cui, nell’anno 1891, papa Leone XIII pubblicò la “Rerum novarum”, ovvero la prima delle encicliche sociali. Se, a cavallo tra Ottocento e Novecento, socialismo e anarchia spopolavano, si fa per dire, nel campo operaio, diffondendovi le loro idee rivoluzionarie, l’enciclica leoniana, che da un lato condannava sì il socialismo e la violenza, ma dall’altro riconosceva la sacrosanta giustezza di molte rivendicazioni operaie, suscitò in campo cattolico un’eco vastissima.

Ce ne dà il senso il grande scrittore francese George Bernanos, che nel “Diario di un curato di campagna” fa dire all’anziano abate di Torcy, in un colloquio con il giovane prete protagonista del libro, alcune frasi che già mi è capitato di ricordare altra volta sul “Sentiero”: “La Rerum novarum
voi oggi la leggete tranquillamente con l’orlo delle ciglia, come una qualunque pastorale di quaresima. Alla sua epoca, giovanotto, ci è parso di sentire tremare la terra sotto i piedi. Quale entusiasmo! Questa idea così semplice che il lavoro non è una merce sottoposta alla legge dell’offerta e della domanda, che non si può speculare sui salari, sulla vita degli uomini come sul grano, lo zucchero e il caffè, metteva sottosopra le coscienze. Lo credi? Per averla spiegata in cattedra alla mia buona gente, sono passato per un socialista». Bernanos non era quello che si dice un progressista, ma in questo passo non fa che dar voce a una considerazione condivisa a 360 gradi nel mondo cattolico di allora.
Non è da escludere che Leone XIII abbia pubblicato l’enciclica proprio a maggio per collegarla, almeno indirettamente, con la data ormai consolidata del 1° maggio. Ecco perché a Spezia “Il popolo”, settimanale che dava voce al nascente movimento democratico cristiano (da non confondersi con il partito della Democrazia cristiana del secondo dopoguerra, anche se certamente suo antenato), pubblica quell’articolo che unisce insieme le due date.

E’ ancora valido quell’articolo ? Io credo di sì, ed anzi lo ritengo, al di là dei suoi toni enfatici, di particolare attualità. Tutte le encicliche sociali dei papi del Ventesimo secolo, e poi quelle di Benedetto XVI e di Francesco (“Deus Charitas est” e “Laudato si’”) fanno infatti riferimento al solco fecondo tracciato da Leone XIII, via via aggiornandolo: e quali cambiamenti ci siano stati nel mondo e nella vita sociale negli ultimi cento anni è davvero sotto gli occhi di tutti!

Se il primo maggio resta la festa del lavoro – unita, per i credenti cattolici, alla celebrazione della festa di San Giuseppe lavoratore, istituita appositamente da papa Pio XII nel 1955 -, è del tutto evidente che oggi parlare di lavoro è cosa ben diversa, nelle sue forme esteriori ed economiche, rispetto all’epoca della grande fabbrica, il secondo Ottocento.

Oggi siamo in presenza di un mondo del lavoro dominato dall’avanzare della tecnologia, a cominciare da quello dei campi. La tecnologia “ruba” posti di lavoro, almeno nel senso tradizionale, e modifica la storica struttura delle classi. Non è neppure vero che tutti siamo divenuti “classe media”. La classe “lavoratrice” esiste sempre, e si distingue purtroppo con divari crescenti da quella che i cattolici del primo Novecento chiamavano “dei latifondisti e dei capitalisti”. Ma è composta in gran parte anche da pensionati, da giovani disoccupati, da lavoratori atipici, e così via. La percentuale di uomini e donne è ormai paritaria, anche se permangono gravi squilibri nei salari e spesso anche nei rispettivi diritti.

Il primo maggio, dunque, ha ancora motivo di essere celebrato, e festeggiato, in nome di un valore irrinunciabile per una società bene ordinata, quello del lavoro. Ma, allo stesso modo, ha motivo di essere ricordato il 15 maggio.
Già san Giovanni Paolo II, nella “Laborem exercens” del 1981, aveva tracciato il senso aggiornato del lavoro in una compiuta e aggiornata visione cristiana, che fa perno sulla dignità irrinunciabile della persona umana, troppe volte dimenticata se non disprezzata. Francesco lo ha allargato alla dimensione planetaria, ed alla difesa della Terra intesa nel suo valore più nobile (e con una forte dimensione ecumenica). Non è dunque vero che i cattolici, nel tempo cosiddetto secolarizzato, abbiano più nulla, o poco da dire ai loro contemporanei. L’incrocio tra 1° e 15 maggio ci indica esattamente il contrario.

 

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