Ha
fatto epoca, si fa per dire, una delle prime espressioni usate da Papa
Francesco dopo l’elezione per sintetizzare il suo programma pastorale: quella
della Chiesa “ospedale da campo” verso le attese, le sofferenze, le angustie
dell’umanità di oggi. Che sembra, all’apparenza, o crede di essere sempre più
sicura e padrona di sé, ed invece ricorda sempre di più i celebri versi di
Ungaretti: “Si sta come d’autunno/ sugli alberi le foglie”.
Papa Francesco voleva dire, come poi non si è stancato e non si stanca di
ripetere quasi ogni giorno, che la Chiesa e gli uomini di Chiesa non possono e
non devono restare tranquilli nelle loro attività “ufficiali”, bensì devono
scendere in mezzo alla gente, rimboccandosi le maniche sin quasi al limite del
consentito (dalle leggi, oberate di burocrazia, o anche solo dalle
consuetudini) per incontrare chi cerca una parola di speranza, ma anche, in
primo luogo, una mano tesa, che senza porsi troppi problemi – proprio come il
samaritano della parabola -, lo aiuti, lo curi, gli rimbocchi le coperte …
Intendiamoci, una Chiesa così c’è sempre stata, specie nella vita quotidiana
delle nostre parrocchie, ed anche a Ortonovo e dintorni, ogni giorno, è
possibile sperimentarla, vederla all’opera. Nondimeno, nell’epoca delle
esposizioni mediatiche, spesso la bontà e la fatica quotidiana della pastorale
dell’accoglienza e della sofferenza stentano ad essere riconosciute.
Così ci vengono incontro, proprio come nelle parole di Gesù ai suoi discepoli,
quelle che potremmo chiamare le “parabole” dei nostri tempi: esempi non
esclusivi, ma significativi di quello che il Papa raccomanda ai suoi figli,
consacrati o laici che siano.
E’ stato il caso che si è visto a Sarzana, poche settimane or sono, quando un
anziano parroco, don Renzo Cortese, ha lasciato il suo incarico dietro
l’avanzare dell’età e di una salute ormai malferma. La sua chiesa di San
Francesco, una delle più antiche della Val di Magra – costruita verosimilmente
quando il poverello di Assisi era ancora in vita, quindi all’inizio del
Duecento -, era affollata come non mai in occasione dell’ultima Messa che una
domenica di gennaio vi ha celebrato da parroco.
Commozione, rimpianto per la sua peraltro inevitabile decisione, ma soprattutto
attestazione di un impegno ed espressione di gratitudine. Per che cosa ? Per
una cosa molto semplice e forse proprio per questo “rivoluzionaria”: aver fatto
di quella chiesa, così antica e così impegnativa nel nome, quello che il
Francesco dei giorni nostri non si stanca di raccomandare, appunto un “ospedale
da campo”, aperto ed attivo ventiquattr’ore su ventiquattro, dodici mesi
all’anno, per venti anni.
Quando venne parroco a Sarzana nel 1997, sostituendo i frati francescani
costretti a rinunciare per la scarsità di vocazioni, don Renzo, fosse stato un
laico, era già quasi in … età da pensione: sessantacinque anni, e alle spalle
una esperienza sacerdotale e pastorale molto intensa. Da giovane fu parroco a
Madrignano, in Val di Vara, ed ancora oggi lo si ricorda per aver guidato di
persona il trattore che aprì una strada attesa da decenni, quella per la
frazione di Usurana. Poi, per molti anni, guidò il santuario – parrocchia delle
Grazie, il che volle dire fare del bene ma anche tante conversioni. E fu poi
anche a lungo direttore diocesano della Caritas, ed ancora parroco a Fossitermi
(in un’altra parrocchia dedicata a Francesco) e poi cappellano ospedaliero alla
Spezia. Non si fece mancare la testimonianza missionaria, non in modo
permanente – per lui la vera “missione” era proprio qui da noi, e in questo
anticipava i tempi -, ma certo efficace, proprio, per così dire, da “pronto
soccorso” internazionale: così lo vediamo in Croazia e in Bosnia durante la
furibonda guerra balcanica degli anni Novanta, ed ancora in Ruanda, rischiando
la vita a portare generi di soccorso, medicinali e quant’altro proprio nelle
settimane della grande carneficina …
Arrivato a Sarzana, ricominciò con lo slancio di un ragazzo. Sotto gli archi
silenziosi di quella chiesa antica, le sue omelie, e insieme i suoi gesti di
generosità hanno richiamato per due decenni sarzanesi e non sarzanesi. Non si
saprà mai, e forse neanche lui è in grado di ricordarlo tutto, il bene che don
Renzo ha seminato in questi vent’anni. Un po’ testardo, incurante delle
difficoltà e degli ostacoli, specie se imposti da burocrazie occhiute (fece
clamore la protesta contro le multe per divieto di sosta elevate dai vigili
alle auto di chi era alla Messa), fiducioso nella provvidenza ogni volta che,
un po’ come in una versione moderna dei “Miserabili”, qualcuno che magari aveva
appena beneficato gli rubava il denaro restante in qualche cassetto … Questo è
stato don Renzo nei suoi vent’anni a Sarzana, e la folla presente al suo saluto
di commiato, sindaco in testa, qualcosa ha voluto pur dire.
Che cosa ? Che ci sono tanti preti che ogni giorno, spesso in silenzio, ma con
la “loro” gente che li sa “riconoscere” anche e proprio per questo, realizzano
in concreto quell’”ospedale da campo” che è sembrato un richiamo nuovo, ma che
nuovo, specie in alcuni casi, non lo è mai stato.
Grazie, dunque, don Renzo, grazie anche di questa testimonianza. E resta nostro
amico nel periodo – che tutti ti auguriamo molto lungo – del tuo meritato
riposo. Che però, probabilmente, proprio riposo pensiamo non sarà …