Di Walter, amico, confidente, cantore fedele, vorrei
raccontare «qualcosa» circa il suo impegno nel Coro della parrocchia. Altri
hanno già scritto di lui splendidi ritratti che ne disegnano la natura, il carattere, l’attività sociale e religiosa,
da cui si ricava l’immagine di un uomo generoso e umile, che si è speso per il
prossimo in tanti modi. Io, invece, mi limiterò a ricordarlo come un corista,
uno di quelli che tutti i direttori vorrebbero avere nel proprio coro.
Quando sono venuto ad Ortonovo, chiamato dal parroco di allora, don Mario
Rinaldi, degli Orionini, per dare vita ad una «Schola cantorum», non avrei mai
pensato che la mia vita si sarebbe legata a questo paese per oltre trent’anni.
Che avrei suonato e cantato ai matrimoni di coristi e dei loro figli e nipoti e
avrei accompagnato, con la musica, alcuni di essi all’ultimo addio.
Nell’estate del millenovecentottantaquattro, si erano ritrovati, nel Santuario
del Mirteto, alcuni volenterosi, in verità non molti: di questi, gli uomini
erano davvero pochi, cinque o sei. Questo fu il primo nucleo del futuro coro.
Poi ci fu l’occasione del giubileo sacerdotale di padre Placido Franciosi.
Allora il numero dei coristi crebbe.
Arrivarono rinforzi anche dalle località vicine, attratti dalla voglia di
cantare e dalla novità del «coro di Ortonovo».
E giunse anche Walter che, all’epoca, viveva in via delle Rose a Casano e
quindi, come molti altri colleghi, doveva «salire» in paese per partecipare
alle prove.
Ricordo bene l’entusiasmo, la forza e i sacrifici di quegli esordi, mentre si
muovevano i primi passi nella polifonia nel canto gregoriano.
Padre Placido prima e, in seguito, padre Oriano, religiosi carmelitani e zii di
Walter, iniziarono ad organizzare pellegrinaggi e visite in città d’arte.
Walter, da corista, essendo a loro legato da ammirazione e affetto, ne divenne
prezioso collaboratore e sposò in pieno il progetto del «volontariato
cristiano» (il copyright di questa espressione è di padre Oriano e traduce
benissimo quello che oggi si definisce «impegno laicale a servizio
dell’evangelizzazione»). Non appena
maturava qualche idea su un possibile «viaggio della fede», Walter, con spirito
collaborativo, mi contattava, per
chiedere, rispettosamente, se si poteva coinvolgere tutto il Coro.
Da lì, da queste proposte, sorprendenti e originali, che poi si precisavano in
qualche conversazione o telefonata, sono
nate le trasferte corali a Lourdes, Parigi, Ars, Nevers, a Firenze, Siena,
Arenzano. Una domenica o più giorni. Non importa. Ciò che conta è che al canto
si univano momenti di svago e di preghiera per crescere tutti nella fede.
Davvero anni indimenticabili e
benedetti. Che hanno trasformato un gruppo variegato di appassionati cantori,
in una compagnia di amici.
Da quel momento, nell’ultratrentennale storia del Coro, Walter è rimasto al suo
posto: ha sempre cantato da «basso», e lo ha fatto con convinzione. Il «basso»,
nel coro, è la sezione che sostiene tutte le altre voci e deve infondere calore
e sicurezza. È quasi una figura mitica e
paterna, un punto di riferimento indispensabile cui aggrapparsi, se si vuole
salire fino nelle zone più acute della partitura. Ebbene la voce di Walter,
grazie alla costante pratica corale, era diventata, nel corso degli anni,
ferma, decisa e bronzea: non era potente, ma aveva la qualità non comune di
legare i suoni, smussando le differenze timbriche. Ciò accresceva la sicurezza
di tutti e trasmetteva un senso di stabilità.
Corista assai intonato e scrupoloso nell’imparare le parti, non tollerava le
perdite di tempo in chiacchere o distrazioni.
Posizionato sempre dietro tutti, faceva giungere le sue note scure e
profonde alle voci femminili che ne traevano soddisfazione e agevolazioni per
le loro acrobazie vocali.
Aveva un po’ di allergia alle pagine musicali stampate, e quindi alla cartella
che le conteneva, poiché riusciva a memorizzare tutto. Ciò, nondimeno,
determinava un sicuro vantaggio: senza avere l’occhio incollato sulla
partitura, poteva concentrarsi interamente sui gesti del direttore e
rispondervi all'istante. So, per sua
confidenza, che alcune volte, a casa, riguardava le parti, per non dimenticarne
neanche una sillaba.
In privato, mi sollecitava a spiegare
bene oltre che la linea melodica, anche il contesto storico e liturgico, e il
significato delle parole latine usate nel canto. «Se sappiamo cosa vogliono
dire – puntualizzava – si canta meglio». E quando coglieva nel mio sguardo una
qualche delusione o sgomento di fronte alla difficoltà dell’esecuzione, non
esitava a dirmi «insisti, bisogna insistere…».
Nel Coro la sua voce ha risuonato per oltre trent’anni, fino a che le forze
glielo hanno consentito. L’ultima volta è stato per la festa di San Lorenzo, lo
scorso 10 agosto.
Di quella sera ne ha fatto, come sua abitudine, un appassionato resoconto nella
rubrica «Diario di un parrocchiano», pubblicato sul «Sentiero» di Agosto 2016.
Purtroppo il 7 e l’8 settembre, con la malattia e il dolore in progressione, ha
dovuto ascoltarci, da sotto, in mezzo
all’assemblea. Chissà che struggimento,
non poter salire fino in cantoria e unirsi al gruppo.
Posso, infatti, testimoniare che Walter, in più occasioni, anche sofferente,
febbricitante, dolente, ha avuto la forza di cantare e di adempiere con serietà
e abnegazione a quello che considerava un suo impegno primario nell’ambito
della liturgia.
Caro Walter, ci mancherà la tua voce, ci mancheranno le belle, serie,
stimolanti conversazioni a fine prova sul sagrato della chiesa. Siamo però
sicuri che adesso il tuo canto potrà unirsi alle schiere del cielo, laddove «in
sempiterno si loda» e che un giorno ancora potremo cantare insieme, e per
sempre.