Domenica
4 – XXXIII del T.O. (Lc
14, 25-33)
Chi legga il brano del
Vangelo di oggi, in modo un po’ superficiale, può rimanere perplesso, quasi che
Gesù inviti a non amare i propri cari. Ma non è così: Egli vuole che lo
scegliamo e che lo mettiamo al primo posto, che amiamo Dio con tutto il cuore,
con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le nostre forze. Da un amore
così tutti gli altri amori sono illuminati, resi più intensi e quasi divini. Non
solo, ma per metterci alla sua sequela, ci chiede di abbracciare la nostra
croce con radicalità e senza attaccamenti. Quando si parla di dolore, bisogna
farlo in punta di piedi e con estremo rispetto. E tuttavia esso è merce
preziosa: ci permette di percepire la ricchezza e la profondità degli affetti
delle persone che ci circondano e ci porta all’essenzialità delle cose, come mi
confidava recentemente un amico che di dolore se ne intende parecchio. Ma
anche, esso è preziosissimo nell’economia divina, perché abbracciato e offerto
entra a far parte del progetto salvifico di Gesù.
Essere suo discepolo non è quindi cosa semplice: occorre valutare bene, con
ponderatezza, la scelta che si sta per compiere. Certamente le nostre sole
forze non bastano, occorre ricorrere alla Sapienza, abbandonarsi allo Spirito
Santo, consapevoli che non siamo noi ad operare, ma Lui, come ebbe a cantare
Maria nel Magnificat: “Grandi
cose ha fatto in me l’Onnipotente!”
Tra pochi giorni ricorrerà la festa della Natività della B.V. Maria, durante la
quale, al Santuario del Mirteto, si farà memoria della lacrimazione della
Vergine, colei che, nella sua desolazione, rimase ben radicata nella volontà di
Dio. Chiediamole che ci indirizzi sempre nel fare, non la nostra, ma la volontà
del Padre celeste, in modo da essere come Lei realizzazione concreta della
Parola. Potremo, così, vivere una divina avventura, impegnativa certo, ma ricca
di grazie, perché anche in noi lo Spirito potrà realizzare grandi cose.
Domenica
11 – XXIV del T.O. (Lc
15, 1-32)
Oggi l’evangelista Luca propone alla nostra meditazione una delle più
belle pagine del Vangelo, che riempie di significato l’Anno Santo della
Misericordia, prossimo alla conclusione, ma non per questo esaurito nel suo
messaggio: quella del padre misericordioso, conosciuta anche come il ritorno
del figliol prodigo. Sì, perché il protagonista principale della vicenda è lui,
il padre che, offeso e abbandonato dal figlio, non si lascia trasportare
dall’ira, non medita tremendi castighi, ma ogni giorno sale sulla parte più
alta della casa e scruta lontano, sperando nel ritorno del figlio. E quando lo
vede gli si precipita incontro, lo abbraccia e lo bacia, dimentico di tutto e
gli ridona la dignità, perduta col peccato, di figlio. Non ascolta le sue
parole: “Padre…non son degno…”, ma lo riveste dell’abito migliore, gli rimette
l’anello al dito e i sandali ai piedi. Poi ordina di fare festa, perché tutti
possano godere e condividere con lui la sua gioia.
Quale grande dono, per noi, avere in cielo un Padre che ci ama così tanto da
perdonare e dimenticare ogni offesa! Egli aspetta con ansia il nostro ritorno;
di più, talvolta, ci stupisce la sua divina fantasia nel predisporre occasioni
che ci invitano ad alzarci e a metterci in cammino verso casa.
Oggi mi sforzerò di assomigliare un poco al Padre, di amare per prima, di
scusare le mancanze degli altri e di non ricordare i torti subiti. Dio mio,
donami un cuore puro, libero da incrostazioni e giudizi pesanti come macigni.
Fa che io possa guardare che mi sta accanto con occhi nuovi, come quelli di un
bambino, perché lo possa vedere come fosse la prima volta!
Domenica
18 – XXV del T.O. (Lc 16, 1-13)
Ai tempi di Gesù,
l’amministratore dei beni altrui non percepiva salario, ma, secondo un tacito
accordo, aveva la possibilità di gonfiare le richieste per garantirsi un
guadagno personale. Il nostro amministratore, però, aveva avuto la mano
particolarmente pesante: si calcola che con due sole ricevute, avrebbe
incassato una cifra pari allo stipendio di due anni di un bracciante! Nel
ridurne gli importi, però, egli non ruba al padrone ma ci rimette del suo per
garantirsi degli amici nel momento del bisogno. Però Gesù non loda tanto la sua
disonestà, quanto la sua scaltrezza e prontezza nel risolvere una situazione
difficile.
Egli non perde occasione per scagliarsi con durezza contro la ricchezza. Tutti
abbiamo ben presenti le sue parole sulla difficoltà, quasi impossibilità per un
ricco ad entrare nel regno di Dio!
Nel brano odierno ci ammonisce con forza: non potete servire Dio e la
ricchezza! Non è che Egli intende demonizzarla, ma rimprovera l’eccessivo
attaccamento ad essa, tanto da farne un idolo da adorare e contrapporre a Dio
stesso.
Da questo punto di vista, siamo tutti un po’ ricchi, perché tutti, più o meno,
abbiamo i nostri piccoli o grandi attaccamenti; perfino il povero può arrivare
a difendere con accanimento il poco che è riuscito a racimolare nella giornata!
Oggi passerò in rassegna i miei attaccamenti per cercare di ridimensionali
almeno un poco. Mio Dio aiutami ad accumulare un tesoro nei cieli, che né tarlo,
né ruggine possano intaccare e fa che dov’è il mio tesoro, lì vi sia anche il
mio cuore.
Domenica
25 – XXVI del T.O. Lc
16, 19-31)
Fin da piccola, l’ascolto di
questa parabola suscitava in me
sentimenti e immagini molto forti, soprattutto mi colpiva la visione,
che si formava nella mia mente, del ricco epulone tra i tormenti delle fiamme
eterne. Allora, a differenza di oggi,
avevamo ben chiara la visione dell’inferno e del paradiso. Ma Gesù non
lascia dubbi in proposito. Nell’ultimo giorno separerà le pecore dalle capre;
accoglierà le prime, che avevano molto amato, nel regno preparato per loro nel
seno del Padre. Le capre, invece, che non avranno fatto la sua volontà, saranno
cacciate nel fuoco eterno, preparato per il demonio e i suoi angeli.
Allora pensavo, anche, che epulone fosse
il nome proprio del ricco. Ho scoperto, più tardi, che Gesù chiama per nome i
suoi amici, quelli che si sono sforzati di vivere il
comandamento dell’amore. Il ricco epulone, invece, è totalmente chiuso verso i
poveri e gli indigenti, non li vede neppure, non fa scacciare Lazzaro dai suoi
servi, per lui è come uno dei cagnolini che stanno sotto la sua tavola. Sono
queste cecità, questa chiusura totale, un egoismo smisurato a suscitare lo
sdegno di Gesù e il suo definitivo categorico castigo.
Oggi mi sforzerò di essere più attenta ai bisogni materiali e spirituali di chi
mi sta accanto. Dare soprattutto aiuto concreto, ma anche ascolto, tempo,
disponibilità, un sorriso… a chi ne ha bisogno, perché Gesù possa dirmi, un
giorno: l’hai fatto per me!