Il Concilio
di Costantinopoli IV dell’869-870, caratterizzato dall’esiguo numero di
padri conciliari (nella seduta iniziale del 5 settembre 869 sono presenti 5 metropoliti e 7 vescovi, oltre ai due
legati papali e di Gerusalemme; in quella finale, del 28 febbraio 870 sono 103)
e dominato dalle tesi romane decise nel sinodo appositamente organizzato da
papa Adriano II a Roma nel giugno dell’869, cioè in prossimità della partenza
dei legati per Costantinopoli, manifesta subito la sua fragilità. L’imperatore
Basilio I, già all’indomani della
chiusura del Concilio febbraio 870), convoca, come arbitri della questione
bulgara, i legati dei patriarcati orientali per far assegnare al patriarcato di
Costantinopoli la giurisdizione sulla nascente Chiesa bulgara, suscitando
subito la reazione dei legati di Roma ancora in città.
L’allora patriarca Ignazio, che la Chiesa di Roma riteneva l’unico legittimo,
procede subito alla consacrazione di un metropolita e di una decina di vescovi
da inviare in Bulgaria.
Papa Adriano II riceve gli atti
conciliari nella traduzione latina di Anastasio Bibliotecario, perché
gli originali in greco sono andati perduti nel viaggio di ritorno.
Nel novembre 871 papa Adriano II risponde all’imperatore con una lettera nella
quale protesta e contesta la decisione sulla Bulgaria, ma riconosce il Concilio
che da allora è l’VIII ecumenico per la Chiesa di lingua latina e
cattolica. Anche papa Giovanni VIII (872 -882) nell’875 in una lettera dà al
Concilio l’imprimatur di ecumenicità, mentre a Costantinopoli già nell’871 si
comincia a metterne in dubbio la validità, perché la posizione di Fozio,
anatemizzato e deposto da patriarca in quel Concilio, riprende quota.
Testardamente l’imperatore mira alla definitiva riappacificazione dei due
contendenti: infatti alcuni vescovi foziani sono inviati nella missione bulgara
e lo stesso Fozio è chiamato a corte come precettore dei figli di Basilio I.
Ormai anziani e fiaccati per una vita da avversari, Ignazio e Fozio, trovano
modo di fare pace, così alla morte di Ignazio (ottobre 877), su esplicita
richiesta dell’imperatore, Fozio, senza altri pretendenti, torna sul trono
patriarcale di Costantinopoli, per il suo secondo mandato, sconfessando di fatto
e nella sostanza il Concilio ecumenico dell’869-870.
Basilio I si affretta a chiedere al papa Giovanni VIII, come primo tra i
patriarchi, la convocazione di un concilio di pacificazione di tutta la Chiesa
bizantina intorno al patriarca di Costantinopoli. Quando i legati papali
arrivano nella città si trovano di fronte inaspettatamente alla nuova realtà:
patriarca è lo scomunicato Fozio e non Ignazio, quindi devono chiedere a Roma
nuove istruzioni, mentre Basilio I e Fozio invocano il Papa di riconoscere il
patriarca e accoglierlo nella sua comunione. Papa Giovanni VIII, meno risoluto
del predecessore Adriano e bisognoso dell’aiuto
militare dell’imperatore contro i saraceni che attaccano le città
costiere dell’Italia, nell’agosto dell’879 accoglie la richiesta a precise
condizioni: Fozio avrebbe dovuto chiedere perdono e la giurisdizione della
Bulgaria passare alla Chiesa di Roma. Richieste ovviamente respinte, sebbene
nella traduzione greca della lettera papale le condizioni vengano edulcorate.
Questi sono gli antefatti che portano al Concilio dell’879-880, che si
svolge nella cattedrale di Santa Sofia tra il 17 novembre 879 e il 13 marzo
880. Sono presenti 378 vescovi in maggioranza foziani, i legati pontifici e del
patriarca di Gerusalemme.
L’imperatore non partecipa, lasciando più liberi i padri conciliari. Fozio assume la presidenza dell’assemblea. Fin
dagl’interventi iniziali si sollecita il Papa, che ha riconosciuto la validità
dell’incarico patriarcale a Fozio, a dissociarsi dagli ultimi irriducibili
ignaziani anti-Fozio e si invitano i legati papali a fare opera di
convincimento e pacificazione presso costoro. Indirettamente si riconosce a
Roma il ruolo di centro della comunità ecclesiale e quindi il compito di
doversi adoperare per dare unità e pace alla Chiesa di Costantinopoli. I legati non possono che ribadire la
posizione del Papa di cui sono solo latori: spetta a lui riabilitare Fozio e
giuste sono le rivendicazioni sulla Bulgaria.
Al termine della prima sessione, Fozio
si mostra disponibile sulla questione bulgara affermando che lui non ha preso
nessuna decisione in merito e sottolinea come con Ignazio negli ultimi anni
fosse scoppiata la pace, tanto che alla sua morte (877), l’imperatore con
insistenza lo prega di tornare sul trono patriarcale.
Ritenendo valide le argomentazioni di Fozio, i legati papali esprimono il loro
assenso al suo reintegro, mentre da entrambe le parti si evita accuratamente
ogni menzione del Concilio precedente (869-870). Il 26 gennaio 880 le
deliberazioni conciliari, con la riabilitazione di Fozio, sono sottoscritte da
tutti i padri. Rimane irrisolta la questione bulgara, perché il khan (re)
Boris, desideroso di una Chiesa autonoma sul modello di quelle orientali, si
oppone ad ogni intromissione di Roma. I primi firmatari dei documenti
conciliari, che annullano tutti i deliberati del Concilio ecumenico di dieci anni prima (869-870) sono
proprio i legati papali, i quali approvano anche il pronunciamento di fede che,
dopo aver confermato tutte le definizioni precedenti, vieta ogni mutamento, in
aggiunta o in sottrazione, al Simbolo niceno-costantinopolitano.
E’ un chiaro e netto avvertimento contro il Filioque, che, tra l’altro, la
Chiesa di Roma non ha ancora fatto proprio, ma circola in alcune Chiese locali.
Papa Giovanni VIII, ratifica le deliberazioni del Concilio 879-880, sebbene
insoddisfatto dei contenuti e dei suoi legati, sul comportamento dei quali
manifesta perplessità e riserve. Per non creare altri motivi di attrito,
preferisce riconoscere il Concilio che annulla e ribalta i contenuti del
precedente gestito dai legati romani. I suoi successori, che non accettano la
legittimità di Fozio, rifiutano in toto la validità del Concilio e le
sue deliberazioni.
Difatti il Concilio di Costantinopoli
IV dell’869-870 lo troviamo tra i 21 ecumenici, mentre quello dell’879-880
è solo un evento storicamente documentato. Sorte migliore non ha avuto nelle
tante Chiese autonome orientali: solo per gli ortodossi costantinopolitani è ecumenico.
Le conclusioni sono un po’ amare, poiché due Concili così ravvicinati per
discutere non di problemi teologici e dogmatici, ma di personalismi e di
discutibili personaggi chiaramente tanto ambiziosi quanto scarsamente
cristiani, evidenziano come il cammino della Chiesa sia stato e sia, in ogni
tempo, travagliato. La responsabilità ce la indica Gesù, quando afferma ai
perfetti farisei, molto numerosi anche fuori dall’orbita ebraica, che è impuro
ciò che esce dall’uomo, non ciò che vi entra e quando ci mette in guardia dal
diffuso vizietto dell’autoreferenzialità e dell’onnipotenza con il “non
c’indurre in tentazione” del Padre nostro. La volontà di prendere atto di
questi due lapalissiani concetti è ancora di là da venire, ma la speranza è
l’ultima risorsa ad abbandonare l’uomo.