Domenica 3 luglio 2016 - XIV T.O.
(Lc 10,1-12.17-20)
Il Vangelo di oggi ci presenta la missione temporanea affidata
da Gesù a settantadue suoi
discepoli, il cui numero sta simbolicamente ad indicare il numero delle nazioni
presenti sulla terra, secondo quanto scritto in Gn 10, per cui possiamo interpretare sia che la Parola è
destinata a tutti i popoli, sia che ogni uomo della terra battezzato è un “inviato”.
La Missione
è universale: è affidata a tutti i discepoli ed è destinata a tutti gli uomini.
Prima della venuta del Regno di Dio, che si fa presente in Gesù, il Maestro
manda i Suoi ( “ .. e li inviò a due a due davanti a sé
in ogni città e luogo dove stava per recarsi….”).
Il compito degli Inviati è di essere Testimoni di ciò che hanno visto e udito,
di dare la Buona Notizia che l’uomo non è stato fatto per sparire con la morte,
che Dio è un Padre che ama i suoi figli
e che vuole dare loro “pace e
misericordia” (Gal 6,14-18).
L’Annuncio, perché sia efficace, si deve svolgere seguendo un protocollo. Prima
di tutto è necessario affidarsi a Dio perché protegga l’azione missionaria (“Pregate
il Padrone della messe…”) e partire senza portare oggetti con sé, essendo portatori soltanto del Signore che
deve essere glorificato con l’attenzione concreta per chi soffre, spostandosi “a due a due” sia per
sostenersi a vicenda, sia per vivere l’amore reciproco, realizzando la
comunione e permettendo così a Gesù di
essere presente tra loro e con loro. L’evangelizzazione si svolgerà in
condizioni di costante pericolo (“come agnelli in mezzo ai lupi”) e gli
Inviati non potranno permettersi di
attardarsi a sbrigare formalità sociali come saluti e convenevoli: dovranno
portare la Pace e l’Amore a chi li accoglierà e ricordare a chi non li
accoglierà che il Regno è vicino. Gli
Inviati del Signore saranno artefici di azioni straordinarie contro il
male, ma Gesù li consiglia di non esaltarsi per questi fatti ma di rallegrarsi
invece per avere il nome scritto nei cieli, per aver cioè ottenuto la Salvezza.
Domenica 10 Luglio 2016
- XV T.O. (Lc 10, 25-37)
Gesù, interrogato su quale sia il modo per avere la vita eterna (desiderio che
è presente in ogni uomo, anche se manifestato in forme differenti), richiama il
versetto veterotestamentario “Amerai il
Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la
tua forza e con tutta la tua mente, e
il tuo prossimo come te stesso” e lo stabilisce come lasciapassare per
l’eternità.
Interrogato ancora sulle caratteristiche di chi dobbiamo considerare “prossimo”
il Maestro scardina le certezze dei
presenti che, secondo la mentalità giudaica, definivano “prossimo” un
consanguineo, un concittadino, un circonciso o uno che osservava la stessa
Legge. Egli narra le tristi vicende di un uomo che viene derubato e ferito dai
ladri e lasciato abbandonato in un fosso. Nessuno si cura di lui, neanche
quelli che avevano a che fare con la fede in Dio (un sacerdote del Tempio ed un
levita), finché non giunge un uomo samaritano, considerato un peccatore perché non praticava la religione del Tempio. Egli
ha compassione di lui ed ha anche il
necessario (vino, olio, bende…) per curarlo. E dopo avergli prestato il primo
soccorso non lo abbandona ma lo affida a sue spese ad un oste perché lo risani
completamente.
Il Samaritano è colui che si fa prossimo del bisognoso e lo fa non per
assolvere ad un obbligo della Legge ma perché prova per lui misericordia, vive i suoi dolori con tutta la sua
persona e pratica una compassione attiva.
Il Samaritano è Gesù che si ferma accanto ad ogni uomo bisognoso di cure e con
la sua Parola e con i Sacramenti lenisce
le ferite che porterebbero alla morte eterna. In seguito si avvale dell’aiuto
degli osti (o operai della sua messe, come li definisce in altre parti del
Vangelo) per fare in modo che alle prime cure seguano le attenzioni della
convalescenza e si giunga ad una completa guarigione del “ferito a morte dal
male”.
Nell’Anno dedicato alla Misericordia impariamo a vivere interessandoci a tutti col cuore.
Domenica 17 Luglio 2016 -
XVI T.O. (Lc 10, 38-42)
Nel suo viaggio verso Gerusalemme Gesù si ferma a Betania, paese in cui abitavano tre fratelli suoi amici:
Marta , Maria e Lazzaro (di cui parla l’evangelista Giovanni, riguardo al
miracolo operato da Gesù quando lo risvegliò dalla morte).
Le due sorelle che lo accolgono si comportano nei suoi confronti in modo molto
diverso: Marta si preoccupa di soddisfare i bisogni primari di Gesù ed è indaffarata a preparare cibo e
ambiente accogliente, Maria, invece, si siede ai piedi del Signore per
ascoltare la Sua Parola. Il comportamento di Maria spinge Marta a lamentarsi
confidenzialmente con Gesù, affinché Egli, con la Sua autorità di Maestro,
mandi Maria ad aiutarla.
Ed ecco la reazione inaspettata di Gesù: Egli bonariamente la rimprovera per il
suo affannarsi e apprezza invece il comportamento di Maria che “si è scelta la
parte migliore”. Maria secondo la mentalità di quel tempo stava comportandosi
in modo inadeguato perché l’istruzione era un’attività riservata principalmente
agli uomini, ma ha il nullaosta del Maestro, che, per primo nella storia umana,
ha equiparato maschi e femmine nel campo dei diritti e dei doveri. Questi pochi
versetti evangelici ci devono far riflettere sul nostro modo di rapportarci con
le persone che ci stanno attorno. Non dobbiamo dare agli altri quello che noi
riteniamo importante, ma cercare di capire con attenzione quello di cui gli
altri hanno bisogno. Spesso ci fermiamo a dare cose materiali perché è più
semplice, meno coinvolgente.
Ma, come ci ha detto Papa Francesco, non è vera Carità dare una moneta al
povero, evitando accuratamente di toccare la sua mano …Maria è considerata da
Gesù il modello del vero cristiano che si pone in ascolto attento, amoroso e
assiduo della Parola: cerchiamo di imitarla, di trovare l’Essenziale per
essere veri Figli.
Domenica 24 Luglio 2016 - XVII T.O. (Lc
11,1-13)
Il pregare non è un’azione semplice: richiede una fede forte, una grande umiltà
e un totale abbandono in Dio.
L’evangelista Luca ci presenta la versione “ridotta” della preghiera del Padre
nostro, rispetto a quella scritta da San Matteo. Tutte due le
versioni concordano nel punto fondamentale che è la richiesta “venga il tuo
Regno”, una realtà che è già presente in Gesù, ma che il Padre realizzerà in modo perfetto. Con la preghiera
insegnata oggi Gesù ci dona il privilegio di chiamare Dio “Abbà” che in
aramaico è il termine usato in famiglia per chiamare il padre, potremmo
tradurlo con “babbo” o “papà”. In questo modo il dialogo uomo-Dio si colloca su
un piano confidenziale e i due interlocutori si sentono più vicini.
La preghiera del cristiano
deve essere essenziale:
-chiedere che Dio si faccia
conoscere come il Santo (cfr. Ez
36,23-28) e che tutti gli uomini lo riconoscano;
- chiedere “venga il tuo
Regno”, una realtà che è già presente in Gesù, ma che il Padre realizzerà in modo perfetto;
- chiedere che non manchi il necessario per vivere ( il pane
quotidiano, simbolo di tutto ciò che ci serve materialmente) perché riconosciamo Dio come CREATORE;
-chiedere il perdono dei
peccati perché riconosciamo Dio come SALVATORE;
-chiedere di non farci
entrare nella tentazione perché riconosciamo Dio come SANTIFICATORE.
Domenica 31 Luglio 2016 -
XVIII T.O. (Lc 12, 13-21)
La vita dell’uomo ha un senso o non lo ha?
E’ la questione posta dal Vangelo proposto oggi dalla liturgia. Vengono
presentati due brani che trattano scelte morali che l’uomo si trova a dover
fare nel corso della sua vita.
Nel primo brano viene presentata una
lite tra due fratelli per un’eredità e uno di loro chiede a Gesù di risolvere
il contenzioso. Ma Egli li ammonisce di non attaccarsi ai beni terreni, poiché
la ricchezza materiale dà soltanto un’apparenza di sicurezza. L’altro brano è
una parabola che ci fa conoscere un ricco agricoltore che è completamente
assorbito dalla sua proficua attività. Il suo obiettivo nella vita è sistemarsi
economicamente per poter vivere gli ultimi anni dell’esistenza riposando,
mangiando, bevendo e divertendosi …Ma prima di raggiungere il suo scopo morirà:
“questo succede a chi accumula tesori
per sé e non si arricchisce
presso Dio”.
Dio non maledice il ricco o la ricchezza, ma invita gli uomini a concepire
e a vivere l’esistenza come elemosina (= Misericordia) e come dono di sé,
condividendo i beni che abbiamo. La cultura dominante oggi si contrappone
all’insegnamento di Gesù in ogni tipo di rapporto sia tra le persone sia tra i
popoli. La tendenza è quella di ricercare la felicità in ciò che non è Dio e che viene trasformato in Assoluto, in un
idolo. Come afferma San Cipriano “Qualunque cosa preferisci a Dio diventa
Dio per te”.