Da padre Damarco a papa Francesco di Egidio Banti
Il
carisma di papa Francesco, tra i tanti aspetti che non cessano di stupire, ha
la caratteristica, non frequente, di coinvolgere a pieno titolo tanto i
giovani, i cosiddetti “millennials”, ovvero figli del nuovo millennio, quanto i meno giovani, comprese molte persone,
diciamo così, attempate. Questo non è frequente, dal momento che il sentire
comune ci spinge, anche se non sempre a proposito, a mettere in
contrapposizione le generazioni, come in un ancestrale conflitto perenne.
Papa Francesco – come in altri aspetti della vita della Chiesa e della società
– ribalta quella contrapposizione, alla quale, se mai, se ne sostituiscono
altre, facendo emergere una forte spinta unitaria di riforma, intesa nel senso
che il papa non cessa di indicare nei suoi scritti e nelle sue omelie.
Una spiegazione di un tale fenomeno, che ha caratteri di originalità
sociologica, è emersa alcuni sabati fa a Sarzana, nel corso della presentazione
di una ristampa, quella del libro “Commenti ai Vangeli” scritto all’inizio
degli anni Settanta, pochi anni prima di morire, dal sacerdote vincenziano
padre Vincenzo Da Marco. L’incontro, organizzato dal vivace gruppo degli “Amici
di padre Damarco”, aveva per tema “Dignità della persona e apertura agli altri”.
Questa frase rappresenta una bella sintesi del testo di Damarco ma, a sua
volta, interpreta fedelmente il “succo” di molti importanti documenti del
Concilio Vaticano II: dalla costituzione “Gaudium et Spes” alla dichiarazione
“Dignitatis Humanae”.
Il Concilio, come è noto, preannunciato a sorpresa da Giovanni XXIII nel 1959,
si svolge dal 1962 al 1965. Già nel 1964, con la riforma liturgica, inizia un
periodo non facile di attuazione post conciliare. In questo contesto si
colloca, a Sarzana e in Val di Magra, l’azione pastorale, culturale ed
educativa di Damarco, che vive nella Casa della Missione tra la seconda metà
degli anni Cinquanta e l’inizio dei Settanta. La sua opera, sempre rispettosa
delle regole della Chiesa ma molto aperta ed incisiva verso gli altri, in
particolare i non credenti, rappresenta un vero e proprio “esempio” di solerte,
quasi immediata applicazione dei testi conciliari. E come tale creò fermento ed
amicizia in tante persone.
Quelle persone rappresentavano, e quindi rappresentano ancora oggi la
“generazione del Concilio”: uomini e donne che, nati all’ombra delle tragedie
della guerra, o subito dopo, vedevano nel Concilio del “papa buono” – così
come, per altri versi, nell’azione politica di uomini come Kennedy e Kruscev - l’attuarsi di un disegno provvidenziale di
pace, di vera solidarietà e di possibile giustizia sociale.
La storia non percorre mai strade diritte, e così quella generazione – a
Sarzana, per di più, presto privata di un amico e di un vero maestro come
Damarco, prima allontanato e poi morto di malattia nel 1974 – ha incontrato nei
decenni successivi molte delusioni, quando non vere e proprie frustrazioni.
Troppe volte, forse anche oltre la verità delle cose (ma spesso, si sa, le
apparenze prevalgono e fanno breccia nella nostra vita, divenendo sostanza), il
cammino del Concilio è sembrato accidentato o addirittura bloccato. Ora,
a oltre quarant’anni dalla morte di Damarco, la riedizione dei suoi “Commenti”
coincide con il pieno svilupparsi – anche se probabilmente ancora graduale –
dell’azione riformatrice di papa Francesco, di fatto anticipata dal gesto
clamoroso ma in sé davvero profetico della rinuncia di Benedetto XVI al
pontificato. Ecco dunque il sorriso tornare metaforicamente sui volti degli
amici di quella generazione cresciuta e forgiata in anni ormai lontani. Questa è la storia, e di questo si è parlato nel convegno di Sarzana. Con due
relazioni magistrali, tenuta una da Gaetano Lettieri, docente di Storia del
Cristianesimo alla “Sapienza” di Roma, che ha parlato sulla “Centralità della
persona nella prospettiva teologica”, l’altra da don Giovanni Cereti, noto
teologo e cappellano della Confraternita dei Genovesi a Roma, su “Speranze del
Concilio e incertezze del dopo Concilio”. “Scuola, Vangelo e Profughi” è stato
invece il tema della bella testimonianza di don Sandro Lagomarsini, che fu
giovane sacerdote a Sarzana ai tempi di Damarco e che ora, in alta Val di Vara,
realizza importanti e niente affatto facili processi di integrazione tra quella
antica civiltà contadina e la novità rappresentata dai profughi non italiani
dei programmi di accoglienza. Nel pomeriggio, l’incontro è proseguito con scambi di opinioni e messa a fuoco
di nuove attese e speranze, proprio perché la storia non si ferma e, sebbene lenta
nei suoi percorsi, prosegue in qualche modo inesorabile. Questa, del resto, è
la Provvidenza, visione cristiana delle cose e del mondo che, ben collocata nel
suo ordine, non lascia indifferenti coloro che non credono e, anzi, rappresenta
una base importante di confronto.
Così è avvenuto a Sarzana, ed è l’ultimo regalo (sino ad ora) che ci ha fatto
padre Damarco.
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