In
ebraico Jehohanan, Dio è propizio; in
greco Joànnes o pròdromos, Giovanni il precursore; in latino Ioannes Baptista, iniziatore di una nuova vita, infatti il
battesimo che lui suggerisce è di penitenza dei peccati verso una vita diversa.
Nasce sul finire del I sec. a.C. (7 a.C.?) ad Aln Karim, villaggio della
regione montuosa della Giudea a 7-8 Km da Gerusalemme, da Zaccaria, sacerdote
della classe di Abia e da Elisabetta, discendente della famiglia di Aronne. La
fonte principale di notizie sulla vita e la figura del Battista sono i Vangeli,
i quali ci dicono che nasce da genitori anziani, quasi a sottolineare
l’eccezionalità dell’evento e del personaggio; infatti anche Abramo ha avuto in
tarda età Isacco e, secondo alcune tradizioni, anche Maria è figlia di genitori
avanti negli anni. Mentre Zaccaria nel Tempio offriva l’incenso, gli appare
l’arcangelo Gabriele che gli dice: “Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è
stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio che chiamerai
Giovanni.
Molti si rallegreranno della sua nascita, poiché sarà grande davanti
al Signore”. Al sesto mese di gravidanza
di Elisabetta, figlia di Esmeria, sorella di Anna madre di Maria, l’arcangelo
Gabriele appare alla cugina Maria nella sua casa di Nazareth annunciandogli il
progetto divino: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra
e la potenza dell’Altissimo”.
Quando Giovanni nasce, Zaccaria, che per
l’emozione all’annuncio dell’Angelo aveva smesso di parlare, riprende l’uso
della parola ed esprime tutta la sua gioia per il dono del Signore. Divenuto
adulto, Giovanni, conscio della sua missione di anticipatore, si ritira a vita
ascetica nel deserto, vestendosi con pelli di cammello tenute insieme alla
meglio e cibandosi di miele selvatico e di locuste. Nell’anno quindicesimo,
dice Luca, dell’Impero di Tiberio (28-29 a.C.) inizia sulle rive del fiume
Giordano la sua missione di predicazione
alla penitenza annunciando l’avvento
ormai prossimo del regno messianico e quindi della necessità della
conversione. In segno di purificazione dai peccati e di nascita a vita nuova,
pratica l’immersione nel fiume, cioè non propone la rituale abluzione ebraica,
ma un battesimo di pentimento e conversione. Molti cominciano a pensare che
fosse lui il Messia promesso e atteso, ma Giovanni è categorico. “ Io vi
battezzo con acqua per la conversione, ma colui che viene dopo di me è più
potente di me e io non sono degno neanche di sciogliere il legaccio dei
sandali, egli battezzerà in Spirito Santo e fuoco”.
Ad una delegazione ufficiale inviatagli dai
sommi sacerdoti - a dimostrazione di quanto fosse guardato con attenzione e
preoccupazione il suo operare - esclude categoricamente di essere il Messia,
asserendo che il Messia è già tra loro, sebbene nessuno lo conosca e si
definisce così: “Io sono la voce di uno che grida nel deserto: preparate la via
del Signore, come disse il profeta Isaia”.
Espressione degna di un grande profeta che conosce molto bene la natura
umana di ogni epoca (sembra detta oggi!). Quando si trova davanti Gesù che
chiede il suo battesimo, esclama: “Ecce agnus Dei, ecco Colui che toglie i
peccati dal mondo”. E a Gesù aggiunge:
“Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni a me?”. Gesù ribatte: “Lascia fare per ora, poiché
conviene che adempiamo ogni giustizia”. Solo ora Giovanni acconsente di
battezzare Gesù e durante il rito vede la manifestazione dello Spirito Santo che
scende su di Lui come colomba, mentre una voce (l’epifania del Padre) scandisce:
“Questo è il mio Figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto”.
L’evangelista omonimo, Giovanni, ricorda che
il Precursore confidava ai suoi, di cui faceva parte insieme all’altro apostolo
Andrea: “Ora la mia gioia è completa. Egli deve crescere e io invece diminuire”.
Difatti la sua missione è compiuta, mentre Gesù inizia la sua triennale predicazione.
Giovanni è stato educato dal padre sacerdote alla fede giudaica, quindi è un
giudeo osservante e rigoroso (niente a che vedere con la rigida esteriorità dei
farisei), pertanto non indietreggia neppure di fronte ad Erode reo di aver
sposato Erodiade, la moglie divorziata del fratello.
La Toràh, la Legge, ne fa esplicito divieto,
perché il matrimonio è regolare e fecondo.
Non è solo Erodiade a chiedere di farlo tacere per sempre, ma anche i
sacerdoti del Tempio che vedono i loro remunerati riti e sacrifici diminuire a
causa del carisma del Battista, quindi si aspetta il momento propizio. Durante
un solenne banchetto si esibisce in una conturbante danza Salomè, figlia di
Erodiade e nipote di Erode. Al termine il re estasiato sollecita la ballerina:
“Chiedimi qualsiasi cosa e io te la darò”.
La madre suggerisce alla figlia la testa di Giovanni, rinchiuso nel
carcere della reggia-castello di Macheronte dove si svolge la festa. Poco dopo
arriva il macabro dono della testa su un prezioso vassoio: è il 29 agosto del
34-35 d.C.. Lo storico latino Giuseppe
Flavio sottolinea, a conferma della grandezza di Giovanni, che il popolo
ebraico ritenesse la sconfitta di Erode da parte di Areta, avvenuta nel 36-37
d.C., la punizione divina per la
decapitazione dell’ultimo profeta del Vecchio Testamento. Il suo culto è tra i
più diffusi ovunque e innumerevoli sono i luoghi e le chiese a lui dedicati: la
memoria liturgica del 24 giugno si riferisce al giorno della nascita, mentre
quella del 29 agosto si riferisce al dies
natalis, cioè al giorno in cui morendo inizia la sua nuova vita immortale.
Anche il Corano parla di lui col nome di Yahya
come di uno dei massimi profeti prima di Maometto.
Un inno in latino in suo onore offre a Guittone d’Arezzo l’idea dei nomi delle
note musicali: UT queant laxis - Resonare fibris - Mira gestorum - Famuli
tuorum - SOLve polluti - Labii reatum - Sancte Johannes (Ut, Re,
Mi, Fa, Sol, La, Si).
Sebbene la sua applicazione sia stata assurda, cruenta e
inutile, l’iconoclastia (distruzione violenta di immagini e reliquie) aveva
evidenziato un fenomeno religioso pericoloso per la fede e un mercato di
oggetti, ritenuti sacri e venerabili, di dubbia credibilità e correttezza
(fenomeno presente ancora oggi ): basta fare un piccolo e incompletissimo
elenco delle reliquie attribuite a san
Giovanni in circolazione. Abbiamo tre crani, forse un po’ troppi per una sola
persona. Uno è a Roma nella chiesa di san Silvestro in Capite, la mandibola
mancante è nella cattedrale di san Lorenzo a Viterbo; il secondo si trova nella
cattedrale di Amiens in Francia e il terzo nel Palazzo Topkapi di Istanbul
insieme a un braccio. Il braccio destro è nel Duomo di Siena. La mano che si
trova a Rapagnano (Fermo) l’avrebbe prelevata l’evangelista Luca direttamente
nella tomba di Sebaste, poi portata ad Antiochia, a Costantinopoli e infine in
modo rocambolesco o miracoloso arriva nelle Marche. L’altra mano, ritenuta la
reliquia più preziosa dell’Ordine di Malta, che ha come patrono proprio il
Santo di cui parliamo, si trova in un monastero del Montenegro.
Due piccole
reliquie sono nella parrocchiale di S. Giovanni Battista all’Olmo in Massaquano
(frazione di Vico Equense, Golfo di Sorrento). Nella famosa chiesa
napoletana dei presepi, san Gregorio Armeno, è custodito una teca con il sangue
che si aggiunge a quella di san Gennaro. L’antipapa Giovanni XXIII (1410 -1415)
ha donato al Duomo di Firenze un dito non bene identificato del Santo. Anche a
Damasco nella grande moschea degli Omayyadi sono conservati frammenti ossei. Un
dente è a Ragusa; un altro insieme ad una ciocca di capelli è a Monza. A Nepi (Viterbo)
nella chiesa di san Giovanni decollato, la Confraternita omonima venera
un’ennesima reliquia. Anche la Liguria ha la sua dotazione: nel Duomo di san
Lorenzo a Genova è custodito, insieme a parte delle ceneri, il piatto di
portata che avrebbe accolto la testa del Santo per essere presentato a Salomè;
un’altra parte delle ceneri si trova nell’Oratorio di san Giovanni a Loano.
Solo per dire basta all’elencazione da capogiro, riporto la notizia recente
secondo la quale i monaci copti del monastero egiziano di san Macario il grande,
hanno ritrovato alcune reliquie durante il restauro del convento, con chiaro
riferimento al Santo. Ancora più lunga è
la lista dei patronati. E’ patrono dei sarti, dei pellicciai, dei conciatori,
perché si cuciva da solo gli abiti con pelli. Avendo pronunciato la frase “Ecce
agnus Dei” è patrono dei lanaioli.
Il
lussuoso banchetto che fu causa della sua morte, lo ha fatto patrono dei ristoratori
e degli albergatori. La spada usata per il supplizio lo ha fatto diventare il
patrono dei fabbricanti di lame e coltelli; ovviamente è il patrono dei
condannati a morte. Infine, è patrono anche di una Contrada del Palio di Siena:
il Leocorno.
Per completare le informazioni, aggiungo che san Giovanni Battista
è il santo che ha richiamato l’attenzione e l’estro dei maggiori artisti di
ogni tempo da Raffaello a Leonardo e che contende a Maria il primato di questa
attenzione artistica.