I primi sorsero dopo la costruzione
della villa Malaspina e nell’800 i mulini ad acqua sul torrente Isolone erano
famosi e importanti; frequentatissimi dai contadini dei dintorni per macinare i
loro sudati raccolti di vari cereali, ma anche castagne che allora abbondavano
nei boschi delle colline dell’Alto Isolone, lato nord-est.
Gli antichi mulini ad acqua che per oltre un secolo hanno caratterizzato il
territorio erano sei: i primi tre si trovavano più in alto, sul greto del
torrente, e l’acqua alimentava direttamente le grandi ruote di legno per far
girare le macine dei mulini. Il primo era detto dei “Piston”, come il nome
dell’ultimo proprietario, ed è stato il più longevo dei tre, perché ha
funzionato fino a metà del ‘900. Un nipote, discendente, gestisce ancora oggi
con la famiglia un mulino a Caniparola. Un poco più in basso c’era il mulino di
“Meo”, e si trovava sotto la casa di “Nocé”, di Via Fravizzola: ci sono ancora
tracce delle antiche mura, sebbene sia stato abbandonato negli anni ’30 a causa
di una frana che fece diventare pericoloso quel luogo. L’altro mulino, forse
abbandonato ancora in precedenza, si trovava di poco più avanti, era detto
della “Polveriera”, perché fino al ‘600 lì esisteva una fabbrica di polvere da
sparo per il castello dei marchesi Malaspina. Oggi quell’antico mulino è un
rudere sommerso dalle piante ed è ricordato anche come “Mulin d’ Pollo”, dal
nome dell’ultimo mugnaio che lo ebbe in gestione. In quel luogo, oggi
abbandonato e inselvatichito, fino a oltre metà del ‘900 c’era vita: ortaggi
freschissimi, animali domestici, persone che lavoravano… Lo testimonia una
vecchia casa, ormai ricoperta di edera, sulla sponda sinistra del torrente
Isolone, detta “Ca’ d’ Mazzon”, soprannome della grande famiglia dei Masetti
che in quella casa abitò per generazioni. Un figlio morì partigiano nel ’44,
Carlin.
Ho un ricordo degli anni ’50, quando un giovanissimo discendente di quella
famiglia andava da solo alla scuola elementare di Caniparola percorrendo la mulattiera
fra il torrente e il bosco della “Trina”. Naturalmente a piedi, con
attraversamento del torrente medesimo sopra un traballante ponticello.
Prima di parlare degli altri tre mulini più a valle, è indispensabile ricordare
che nei pressi di quel luogo c’è una presa d’acqua del torrente Isolone, non
direttamente come i precedenti, ma con il sistema del “botazo”, che consisteva
in un grande invaso che si trovava al di sopra del mulino e si riempiva con
l’acqua proveniente dalla “l’vada”. Al momento opportuno il mugnaio arriva alle
chiuse liberando l’acqua che, cadendo con forza sulla grande ruota di legno
esterna, la faceva girare vorticosamente
con un rumore caratteristico, trasmettendo l’energia alle pesanti macine
interne del mulino che riducevano in preziosa farina i vari cereali.
Quell’antico corso d’acqua chiamato “l’vada” scorreva lungo l’alta sponda
destra del torrente, dirimpetto al bosco della “Trina” (unico tratto ancora
esistente), portava la preziosa acqua fino a Caniparola (tre chilometri circa)
ed era affiancato da un sentiero molto frequentato dai mugnai, ma anche dai
contadini mezzadri della fattoria dei Malaspina e altri piccoli proprietari di
orti che, lungo il suo percorso, beneficiavano di quell’acqua. La “l’vada”
aveva bisogno costante di manutenzione, così uomini volenterosi si alternavano
lungo quel sentiero armati di zappa per tamponare quel corso d’acqua (largo dai
50 agli 80 cm. circa) dalle perdite provocate dai granchi che scavavano le loro
tane nelle sponde laterali; ed erano numerosi perché, essendo quell’acqua priva
d’inquinamento, trovavano lì il loro habitat naturale; e come lo era il
torrente dove abbondavano non solo granchi, ma anche anguille e altre specie di
pesci.
A quel tempo era cosa frequente fare un giro lungo i corsi d’acqua per
rimediare un pasto più proteico del solito. Durante la stagione invernale i
mugnai si ritrovavano soli a curare la “l’vada” dove, oltre alle perdite
d’acqua provocate dai granchi, c’erano le varie ostruzioni dovute alla pioggia
e alle piene del torrente ed era frequente che lungo quel sentiero c’era chi
andava a piedi nudi anche d’inverno per la mancanza di calzature adeguate, come
stivali di gomma o scarponi.
Il
mulino “della Novella”
Il primo di quei mulini funzionanti con
l’acqua della “l’vada” era una casa-mulino (oggi l’abitazione della famiglia
Zuzzolo); anche questo vicino all’Isolone, in fondo a Via Novella di Sotto, che
fino a metà del ‘900 era una mulattiera che attraversava il torrente con
saltuari ponticelli di legno per le persone, mentre i muli o asini addetti al
trasporto di cereali, olive o altro guadavano il corso d’acqua. Oggi,
ingiustamente, non è più possibile accedere al torrente in quel punto e, di
conseguenza, nemmeno alla via sulla sponda sinistra che porta verso Castelnuovo
(che è rimasta mulattiera). Quel mulino, detto “della Novella”, funzionava con
il sistema del “botazo”; l’acqua che arrivava dalla “l’vada” riempiva il grande
invaso e, all’apertura delle chiuse scendeva sulla grande ruota di legno che
faceva andare il mulino. All’occorrenza quell’energia veniva indirizzata alle
macine del frantoio che si trovava al piano di sotto che lavorava nei mesi invernali. Ai bordi delle
finestre del frantoio arrivò la piena dell’Isolone nel 1941: la più grande a
memoria d’uomo.
Anche questo mulino apparteneva ai Malaspina ed è stato gestito per quasi un
secolo dalla famiglia Tusini, ben cinque generazioni. E’ per me un’emozione
avere fra le mani un contratto d’affitto (in fotocopia) del 1886 fra il
marchese Alfonso Malaspina e Michele Tusini, firmato con una piccola croce,
perché era il mio bisnonno materno. Il prezzo annuale di affitto era di 550
lire, due capponi a Natale e metà dell’olio ricavato dal frantoio e dei
prodotti dell’orto. Tutto questo e altro
scritto su carta bollata.
Dei sei mulini ad acqua sull’Isolone, quello “della Novella” è stato il più
longevo, ed è stato l’unico che, a fine anni ’30, si è “incontrato” col
progresso, perché ha iniziato a funzionare con l’energia elettrica, così anche
il frantoio, pur mantenendo attiva anche quella derivata dall’acqua. Quel
mulino e frantoio, dopo i Malaspina, ha avuto diversi proprietari: Corona,
Piccioli, Fontana di Sarzana e, infine, il Moro, che ancora oggi gestisce con
la famiglia mulino e frantoio a Caniparola (dagli anni ’70). Con “lui” è finita
l’era dei mulini sull’isolone: erano gli anni ’70, ed è stato l’unico che è
diventato una casa privata, dove ancora c’è vita. (fine prima parte)