N° 5 - Maggio 2016
Incenso
di Giuseppe Cecchinelli


Riproponiamo questo articolo di Giuseppe Cecchinelli, pubblicato nel ’94: come è sempre di stretta attualità ancora oggi!

 

Da qualche tempo, entrando in chiesa, dentro di me risento profumo d’incenso, ne rivedo le delicate volute salire verso la cupola, mentre la luce, dal finestrino lassù in alto, le illumina di mille colori. E per un piacevole gioco di memoria riascolto la voce nasale di don Tito riempire la navata con le note del “Tantum ergo”. In quei momenti così radi e così brevi, ritorno bambino e ritrovo la stessa certezza assoluta: Dio c’è.
Ai miei tempi, un chierichetto poteva dirsi tale, solo se era capace di incensare il Santissimo. Ogni particolare era studiato attentamente: l’apertura del turibolo, il ritmo e l’ampiezza di pendolazione…, ma la vera abilità consisteva nel far risuonare le catenelle proprio quando l’ostensorio era al centro della croce tracciata da don Tito nella Benezione Eucaristica: in quell’istante raggiungeva il culmine il Vespro domenicale e la tecnica incensatoria.
Se era facile capire perché si incensava il Santissimo, restava assai oscuro perché bisognasse compiere lo stesso gesto liturgico verso il popolo cioè le suore, le ragazze del collegio, la signorina Rocchi, la signorina Gilda, la Jolà e le vecchiette di Nicola. In verità, era assai gratificante sentirsi osservati mentre, con gesti lenti e misurati, lanciavamo fumi d’incenso prima a destra, poi al centro, poi a manca, nella sopita speranza che prima del dietro-front finale, le ragazze del collegio non rompessero la solennità del momento con alcuni falsi e perfidi colpi di tosse.
E’ difficile, oggi, sentire profumo d’incenso in chiesa; forse perché i chierichetti non sanno più usare il turibolo; forse perché ai preti, come massaie perennemente affaccendate, piacciono liturgie snelle; forse perché non si cantano più i Vespri…In fondo a chi importa se nelle nostre chiese non sale più l’incenso verso gli altari: i nostalgici possono sempre andare in Cattedrale per un Pontificale del Vescovo.
Ma sorge spontaneo un dubbio: “Che cosa risponderemo ai nostri figli quando, davanti al Presepe, ci chiederanno che cosa è e a cosa serve l’incenso che i Re Magi hanno portato a Gesù?”. Sarà difficile dare una risposta sufficiente e, forse, lo scopriranno durante qualche viaggio in Oriente alla ricerca di emozioni, di misticismo, di preghiera. Certamente i nostri figli non andranno nei boschi intorno a Nicola a raccogliere la resina che cola dalla corteccia dei pini, né potranno gustare il profumo che sale dalle mani intrise di resina per giorni. Non sapranno pestare le gemme d’incenso dentro il mortaio di marmo e farne povere finissima, così che, quando don Tito ne avrebbe versato la punta d’un cucchiaino nel turibolo acceso con le braci del forno della Fortù, subito sarebbe esplosa nell’aria una nuvola piena di fragranza.
Nei giorni sterili della mia fede, vorrei riprendere il turibolo e, durante un Vespro solenne, incensare il Santissimo e il sacerdote, ricercare tra le panche le ragazze del collegio e le vecchiette di Nicola, e cantare a squarciagola: “Magnifi-i-cat anima mea Dominum…”.

                                                                   


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