Dall’”Evangelii Gaudium” all’”Amoris Laetitia”: un
filo d’oro lega insieme i due più importanti documenti dei primi tre anni del
pontificato di Francesco. Sin dalle prime parole che, come sempre nella storia
della Chiesa, danno l’impronta ai documenti stessi. “Gaudium” e “Laetitia” sono
sinonimi, vogliono dire “gioia”, “allegrezza” ma anche “Buona notizia”.
Volendo proprio sottilizzare, il “gaudium” è, nella lingua latina, la gioia
interiore, quella che si vive nel proprio animo e che plasma la nostra umanità;
“laetitia” è invece la gioia che si manifesta all’esterno, l’allegrezza, che
non può non essere espressione anche dell’amore umano. Ma, come detto, sono
termini tra loro molto vicini, ed indicano un modo di essere, dell’uomo e della
Chiesa, perché la Chiesa, sin dal suo nascere, è “maestra di umanità”.
Il filo che contrassegna il pontificato di Francesco, risale però ben più
indietro nella storia.
“Gaudet Mater Ecclesia”, lo ricordavamo qui altra volta, è l’esordio del grande
discorso di san Giovanni XXIII il giorno dell’apertura del Concilio Vaticano
II. “Gaudium et Spes” è invece l’esordio della costituzione pastorale del
Concilio stesso, approvata nel 1965 sotto il pontificato di Paolo VI. Risalendo
molto più indietro nel tempo, “Laetentur Coeli” (la radice di “laetentur” è la
stessa della parola “laetitia”) è il documento della prima riunificazione tra
Chiesa Romana e Chiesa d’Oriente: documento votato nel 1439 al Concilio
ecumenico di Firenze e scritto nella sua gran parte da un “esperto” che si
chiamava Tommaso Parentucelli, nato a Sarzana e destinato dopo meno di dieci
anni a diventare papa con il nome di Niccolò V.
Anche il Quattrocento fu – come la nostra – un’epoca di grandi cambiamenti. Ed
anche allora la Chiesa, nella sua saggezza e nella sua forza primigenia, che è
l’ascolto dello Spirito (la Pentecoste ce lo ricorderà ancora una volta tra due
settimane !), risponde al mondo non, come anche ora in modo superficiale (e
spesso interessato) afferma qualcuno, arrendendosi al mondo e alle sue
“lusinghe”, bensì accettandone la sfida, e dimostrando che – nel confronto tra
Cristo e la Storia – sarà comunque la Storia a doversi inchinare all’unica vera
e grande “buona notizia”, ovvero il Vangelo, e non viceversa.
Di qui la “gioia”, l’”allegrezza” di un annuncio sempre nuovo e insieme sempre
antico.
Il papa, raccogliendo le indicazioni di
ben due Sinodi, declina tutto questo all’insegna della famiglia, Chiesa
domestica e nucleo fondamentale di una società capace davvero di dare risposte
ai bisogni umani, alle attese e alle speranze dei suoi componenti. Per questo,
come è stato scritto in un recente inserto di “Avvenire” dedicato a “famiglia
& vita”, “l’Esortazione postsinodale richiama la dottrina e rivoluziona la
pastorale nella logica del Vangelo. Tre parole che rinnovano lo sguardo della
Chiesa: accogliere, discernere e integrare tutti. Nessuna nuova norma, ma
indicazioni ancora più impegnative per accompagnare caso per caso”. La
“rivoluzione” c’è tutta, ma è nel senso che “Avvenire” sottolinea: rovesciare
la logica del mondo, e porre al primo posto non il divieto, bensì l’abbraccio,
la logica dell’amore, non indiscriminata, ma capace di accogliere e insieme di
diventare fecondo di umanità. “Deus Charitas est” aveva scritto Benedetto XVI
in una enciclica bellissima, ed ecco dunque ancora il collegamento stretto – a
dispetto di alcuni occhiuti commentatori – tra gli ultimi due pontificati, del
resto reso manifesto sin dall’inizio in quella prima enciclica di Francesco,
“Lumen Fidei”, scritta per così dire a quattro mani con il suo predecessore:
caso unico nella storia della Chiesa, e certo da tenere ben presente. La “luce”
della Fede illumina il mondo, e si accompagna alla manifestazione della
“gioia”. Forse anche per questo san Giovanni Paolo II, con un altro gesto
profetico e senza precedenti, aveva aggiunto ai tradizionali “misteri” del Rosario
i “misteri della Luce”.
Non è forse tutto questo l’attuazione di un’altra importante frase di Paolo VI
nella “Evangelii nuntiandi” circa l’importanza, nel tempo di oggi, di farsi
ascoltare “più da testimoni che da maestri”? Il testimone (parola che poi
traduce il greco “martyros”, martire) non si arrende alle obiezioni, ma sa
rovesciarle, riportandole alla verità, con metodi che si adattano al tempo e
alla storia, che sono sempre diversi.
Che dire di più? Una cosa sola: leggiamo con attenzione, nonostante la sua
oggettiva lunghezza, questo grande dono che papa Francesco ha fatto alla Chiesa
e al mondo, dedicandolo alla famiglia, alla sua bellezza e alla sua importanza.
Poi, certo, ci sono le conseguenze “pratiche”, anche relative alla vita della
Chiesa e nella Chiesa. Spesso i mezzi di comunicazione sociale (e questo è un
modo classico per sminuire argomenti “scomodi”) si soffermano solo su una o più
di queste questioni, come quella, certo significativa, della comunione
eucaristica a persone divorziate. Come ha detto lo stesso papa, anche durante
il recentissimo (e importantissimo) viaggio a Lesbo, non è davvero questa la
questione più importante. Chi è interessato, sappia mettersi in ascolto,
dovunque e in qualunque condizione si trovi: troverà risposte. Sul piano
specifico, queste risposte arriveranno dalle autorità competenti, anche molto
presto. Già mercoledì scorso, alla Spezia, il consiglio presbiterale della
diocesi, riunito dal vescovo Luigi Ernesto Palletti, ha discusso, tra gli
altri, anche questo punto: Individuazione delle
priorità per l’accompagnamento delle famiglie alla luce dell’Esortazione
apostolica “Amoris Laetitia”.
Come si vede, non si sta perdendo tempo. Non occorre avere fretta. La gioia e
la preghiera, di solito, non vanno molto d’accordo con la fretta…