Il secondo Concilio ecumenico di Nicea è convocato su richiesta di
papa Adriano I (772 – 795) dall’imperatrice d’Oriente Irene l’Ateniana, cioè di
origine ateniese, per condannare l’iconoclastia, “rifiuto delle immagini”, e il ripristino del culto delle immagini,
“ iconodulia”.
Il contesto storico in cui si inserisce
questo Concilio è molto complesso e difficile dal punto di vista politico e
religioso e presenta rapidi mutamenti legati all’instabilità del potere
imperiale, che, invece, come costante, interferisce pesantemente nella sfera religiosa.
La Chiesa orientale e in particolare il
Patriarcato di Costantinopoli, per più di un secolo, sono coinvolti dal
flagello iconoclastico che distrugge materialmente non solo ogni raffigurazione
sacra, ma depaupera un immenso patrimonio artistico-culturale costituito da
icone, mosaici, dipinti che le grandi comunità conventuali avevano prodotto.
Un esempio, vicino a noi, ci fa capire la situazione di estremo disagio vissuto
da molte comunità cristiane. L’arrivo sulla spiaggia della città di Luna intorno al 780 delle reliquie del Volto Santo, oggi a Lucca, e del Preziosissimo Sangue, oggi nella
cattedrale di Sarzana, rappresentano l’estremo tentativo di salvare le venerate
reliquie dalla follia iconoclasta affidandole a marinai diretti in Occidente o,
addirittura, sigillandole entro tronchi d’albero e consegnate alla benevolenza del mare. Nella
chiesa di san Lorenzo a Porto Venere è conservato uno di questi legni.
Torniamo a Costantinopoli, sede del patriarcato e capitale dell’Impero
bizantino.
Sembra che certi uomini di Chiesa non possano vivere senza inventarsi il modo
di creare attriti e polemiche, pertanto, superate ormai le dispute teologiche
sulle nature di Gesù e le persone della Trinità, si tira in ballo la liceità
della venerazione delle immagini che potrebbe sfociare in idolatria, cioè nel
dare culto alle immagini e non alla realtà che esse rappresentano. Il pericolo
è reale e latente anche oggi. Provocatoriamente, ripeto, provocatoriamente: si
è più vicini a Maria nella grotta di Lourdes piuttosto che al Santuario mariano
del Mirteto? Il silenzio e la pace che si respira sul colle del Mirteto, come
in altri luoghi romiti, ritengo che faciliti di molto la ricezione e la
trasmissione del segnale da parte del cellulare di cui è dotata la nostra
anima. Più di uno sarà dissenziente, ma per me è così. Chiudo la parentesi
diversiva.
Gli iconoclasti a sostegno delle loro tesi, si richiamano al Vecchio Testamento
che vieta la rappresentazione visiva del sacro e del divino. Lo stesso
cristianesimo primitivo e paleocristiano faceva uso di simboli come il pesce,
l’agnello, l’ancora, ecc., per indicare Gesù. Solo dal IV secolo si comincia a
decorare i luoghi di culto con figurazioni sacre che ricordano episodi dei Vangeli
e a produrre icone soprattutto con volto di Maria, oggetto di particolare
venerazione. Il rifiuto ostile all’immagine, in Oriente e nella Chiesa
Orientale, trova la sua giustificazione quando esse finiscono, sempre più
spesso, per avere, non più una funzione decorativa, ma sostanziale, in quanto
diventano il centro della vita liturgica e, col tempo, intorno ad esse comincia
a svilupparsi un vero e proprio culto.
Anche i Padri della Chiesa non hanno intravisto il pericolo e, poi, c’è poca
chiarezza sul significato delle parole culto,
venerazione e adorazione. Il
Concilio, non ecumenico, di Quinisesto (691-692) affronta il problema, vietando
la rappresentazione figurativa di Gesù, ormai presente ovunque, persino sulle
monete di Giustiniano II (685 – 695). Con l’ascesa al trono di Leone III,
l’Isaurico, da Isauria, regione turca di provenienza (717 – 740), inizia la vera e propria “caccia alle streghe” con la distruzione
e cancellazione violenta di ogni immagine sacra. Le grandi istituzioni
monastiche e il grande teologo, nonché Padre della Chiesa, Giovanni Damasceno,
si oppongono alla politica imperiale ingaggiando una dura lotta di resistenza
che avrà termine ben dopo il Concilio di Nicea II e cioè nell’843.
Costantino V (740 -775) continua con vigore la politica paterna e convoca un
Concilio nel 754 a Hieria (vicino a Calcedonia, dove esiste una reggia) nel quale si afferma come il culto delle
immagini sia, non solo idolatria (adorazione di idoli), ma anche eresia. Solo
il Patriarcato di Costantinopoli, in mano a uomini contigui all’imperatore,
riconosce e fa proprie le decisioni conciliari. Gli altri patriarcati (Gerusalemme,
Alessandria, Antiochia, Roma) non riconoscono il Concilio e rifiutano gli atti conciliari.
La politica imperiale cambia radicalmente con la morte prematura di Leone IV (780),
poiché diventa imperatrice-reggente del minorenne Costantino VI (770 – 797), la
madre Irene, favorevole al culto delle immagini. Con il pieno assenso del papa
Adriano I, convoca il Concilio che doveva svolgersi a Costantinopoli, ma la
sede iniziale e la data d’inizio sono spostate a causa dei disordini provocati
dagli oppositori iconoclasti. Il Concilio si riunisce sotto la presidenza di
Tarasio, patriarca di Costantinopoli, nella chiesa dei Santi Apostoli della
città, nel 786. La maggioranza dei vescovi presenti è notoriamente iconoclasta
ed applaude all’improvvisa irruzione della Guardia imperiale che costringe
l’Imperatrice a sciogliere l’assemblea. Irene non si dà per vinta, epura la
Guardia infedele e, per garantire maggiore sicurezza ai lavori e ai padri
conciliari, trasferisce il Concilio a Nicea, dove i lavori riprendono il 14 settembre
787. Sono presenti circa trecento
vescovi e molti abati. L’Occidente è rappresentato da una quindicina di vescovi
dell’Italia meridionale, che non hanno mai partecipato alle lotte iconoclaste e
da due rappresentanti di papa Adriano I, entrambi di nome Pietro. Nella prima sessione ai vescovi
dichiaratamente iconoclasti viene data una scomoda scelta: o rimanere sulle
proprie posizioni e quindi essere deposti, oppure accettare le decisioni del
Concilio, ma restando in silenzio durante i lavori.
Nella seconda sessione viene letta e approvata la lettera di papa Adriano, dove
si legge questa affermazione: “I
cristiani non testimoniano il loro rispetto ai legni o ai colori, ma a
quelli di cui le immagini recano il nome”.
A Nicea si tengono sette sessioni,
l’ottava si tiene nel palazzo imperiale della Magnaura a Costantinopoli il 13
ottobre 787, dove, dopo aver letto il documento finale (Horos) alla presenza di un
grande concorso di popolo, vengono apposte le firme imperiali di Irene e del
figlio Costantino e in successione dei presenti all’Assemblea.
Si può concludere che il Concilio definisce e fa chiarezza sui termini, indicando la netta differenza
tra venerazione delle immagini, ammessa,
e adorazione (latria) assolutamente negata, perché riservata solo a Dio. Viene
ben evidenziato che la venerazione delle immagini vuol dire venerazione delle
persone che rappresentano e non delle icone stesse in quanto tali. Dal
documento finale ho estrapolato queste due frasi che mi paiono molto utili da
ricordare anche oggi: “L’onore reso
all’immagine, in realtà, appartiene a colui che viene rappresentato e chi
venera l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto…. Quanto più
frequentemente queste immagini vengono contemplate, tanto più quelli che le
contemplano sono portati al ricordo e al desiderio dei modelli originali e a
tributare loro rispetto e venerazione”. Ovviamente neppure il Nicea II e l’impegno
dell’imperatrice mette a tacere gli ultra-iconoclasti: la lotta tra le opposte
fazioni continua come se le decisioni conciliari fossero acqua fresca. Nell’815
l’imperatore Leone V annulla, motu
proprio, il Concilio di Nicea, ripristinando le decisioni del Concilio
iconoclasta di Hieria del 754; il suo successore Michele II nell’820 annulla
Hieria a favore di Nicea. L’altalena ha
termine con Michele III e sua madre Teodora che convocano un Sinodo a
Costantinopoli, l’11 marzo 843, nel quale si arriva alla conclusione del
conflitto eliminando definitivamente l’iconoclastia. Gli imperatori sono sempre
più alle prese con problemi politici e militari gravissimi a causa dell’islam che
erode e conquista territori asiatici dell’Impero, per perdersi dietro a
polemisti per vocazione e professione. Comunque il problema della venerazione
eccessiva di immagini o di oggetti che richiamano il sacro è una suggestione
latente ed una tentazione anche
dell’oggi.
NOTE.
1.
Culto di DULIA : termine teologico per
indicare l’onore reso ad un santo. Sinonimo è VENERAZIONE
2.
Culto di LATRIA: termine teologico per
indicare il culto più alto, reso solo a Dio, cioè alle tre Persone della
Santissima Trinità. Sinonimo è ADORAZIONE
3.
Culto di IPERDULIA: termine teologico per
indicare il particolare culto a Maria, Madre di Dio.
4.
L’imperatrice Irene aveva una fede così “
profonda e sincera” e un forte senso
della maternità che nel 797, organizza una congiura e acceca il figlio
Costantino VI, che muore per le conseguenze delle ferite, per poter governare
da sola, senza il figlio, che ormai maggiorenne, non vuole più la tutrice.
Questa nota per dire in quali mani è passata la nostra fede per diversi secoli.