La
mia passione di scrivere storie locali e famigliari è motivata da quella di
tramandare le medesime ai miei figli e nipoti.
Questa in particolare, poiché parlerò di un loro nonno e bisnonno da
loro mai conosciuto.
Fulvio
Puglia (1910 – 1962) era padre di Silvano (mio marito) e, quindi, bisnonno dei
miei due nipoti (Davide di 21 anni e Giada di appena 2), oltre che nonno dei
miei figli, Federico e Martina. Quest’anno (2012) ricorre il 50° anniversario
della sua morte e pur non avendolo conosciuto a lungo neanch’io, sono a
conoscenza di un insieme di episodi che dicono molto di lui e che voglio
esternare.
Nel soggiorno della nostra casa c’è un quadro con un Diploma di Benemerenza a
lui intestato, datato 17 settembre 1950, rilasciato dalla Pubblica Assistenza
di Sarzana nel 75° anno di fondazione e con una medaglia d’argento, come
testimonianza del suo impegno come capo-squadra. A quel tempo la sede della
P.A. era in Piazza Firmafede, in una chiesa sconsacrata molto antica, dove ora si
trova il Museo degli arredi sacri.
La P.A. di allora non era attrezzata come oggi: il telefono era scarsamente
diffuso, i mezzi di trasporto pochi e fatiscenti; quando arrivava una richiesta
di aiuto al volontario di turno, questi faceva suonare la sirena posta sul
campanile per richiamare i volontari che si trovavano sparsi nella città e
dintorni; ovviamente sarebbero intervenuti quelli liberi dal lavoro e quindi
disponibili subito.
Fulvio era uno di questi: lavorava in Arsenale a La Spezia ma abitava nella
vicinissima Via Cattani ed era stato uno dei primi ad arrivare alla sede quando
la sirena della P.A. fece sentire il prolungato suono delle emergenze gravi e
multiple in un triste e freddo pomeriggio dell’autunno del 1944.
Quel giorno, a Sarzana, era successo un fatto gravissimo: i bombardieri alleati
avevano sganciato bombe incendiarie sul distretto del 21° reggimento fanteria,
da tempo occupato dai soldati tedeschi, che si trovava vicinissimo all’ospedale
S. Bartolomeo, dove dagli anni ’80 ci sono scuole e parcheggi; ebbene, alcune
di quelle bombe finirono, per errore o per il forte vento, sul tetto nord-ovest
dell’ospedale con le ben immaginabili conseguenze. I primi soccorritori
arrivati con lettighe a ruote e barelle a mano trovarono una situazione tragica.
Il fumo che già si stava espandendo per le vie del centro storico, davanti
all’ospedale era ancora più fitto e le fiamme già si vedevano uscire dal tetto.
I volontari si avventurarono con coraggio su per le ampie ma uniche scale che
portavano ai reparti del primo e secondo piano. Nonno Fulvio era tra questi e
fu di certo solo il caso che lo portò verso un letto già avvolto dalle fiamme,
e Fulvio quelle persone le conosceva bene: era la famiglia Marciò quasi al
completo che si trovava intorno al letto del padre, ferito da una bomba qualche
giorno prima, per il quale però i soccorsi furono inutili, mentre i due figli e
la nuora furono portati giù per le scale, fino all’aperto, da Fulvio, caricati
sulle spalle uno alla volta e in gravissime condizioni per le ustioni
riportate. Uno solo di loro si salvò, il figlio Milto; l’altro figlio e la
nuora morirono poche settimane dopo. Anche altre furono le vittime fra i
degenti (circa una decina), ma senza l’intervento del nonno e di altri
volontari, quel giorno si sarebbe consumata una tragedia ben più grave.
Spontaneamente, senza conoscere il passato di quel nonno, anche il nipote
Federico, in un periodo della sua vita, ha sentito il bisogno di aiutare gli
altri col volontariato nella P.A. e certamente lui è orgoglioso di
quell’esperienza che può averlo soltanto arricchito di valori umani, anche se
non ha partecipato a salvataggi estremi come quello del nonno, ma solo come autista delle moderne ambulanze nel
trasporto dei malati nella zona di Piacenza, dove si trovava per lavoro.
Io personalmente non posso fare a meno di esprimere un elogio ai giovani che
oggi fanno questa scelta; loro indubbiamente danno tanto sacrificando ore del
tempo libero, ma è niente in confronto a ciò che ricevono in cambio sotto forma
di autostima e gratificazione personale.
Caniparola
2012