Fede ed etica
Una
cara signora, lettrice spezzina del Sentiero, si è lamentata, molto delusa, per
la mancanza delle mie graffiature sul numero di Marzo e di Aprile. L’accontento
subito toccando un argomento di cronaca molto sensibile e delicato, che insieme
ad altri eventi spiacevoli rattristano non poco papa Francesco e rendono più
complicata la sua missione apostolico-pastorale e di guida della Chiesa.
Avevo già in passato affrontato il tema, che pur riguardando, per fortuna, una
minoranza di personaggi, reca danno all’immagine della maggioranza che nessuno
vede, solo perché presta silenziosamente e coscienziosamente il proprio
servizio: mi riferisco alla “chiamata” ed alla presunzione di superiorità che
ne consegue e che, talvolta, serpeggia, involontariamente quanto si vuole, ma
serpeggia visivamente e condiziona.
Mio padre, persona integerrima e buon cristiano, mi suggeriva di radermi tutte
le mattine, perché, sosteneva, fosse l’occasione migliore per vedere riflesso il
mio viso sullo specchio e domandarmi: “Posso guardarti negli occhi, o,
abbassandoli, devo usare la saliva?”.
Un’espressione sicuramente inelegante e volutamente rozza, perché fosse impattante
e infatti, nella realtà, rappresentava il suo pressante invito alla quotidiana
autovalutazione del mio sentire e agire. Quanto ci autostimiamo e ci vogliamo
bene! Quanto siamo sempre pronti a individuare le puntuali motivazioni che
vorrebbero e dovrebbero nelle intenzioni giustificare comunque il nostro
operato, contraddicendoci spesso, perché le bugie aggrovigliano le idee
appalesando appieno la nostra miseria etica e intellettuale, resa nuda da noi
stessi in bella evidenza!! E, se per mera casualità, ci sembra, o ci viene
detto, di aver fatto una cosa buona, il pensiero è: santo subito!!
Gesù, che la sa lunga e conosce bene l’uomo, nella sua meravigliosa preghiera
ci fa ripetere “non c’indurre in tentazione”: e ha colto nel segno. Può il buon
Dio indurci in tentazione? Certamente no, ma impuro è ciò che esce dall’uomo e
non ciò che vi entra, dice sempre Gesù ai farisei che lo tentavano. Qualche
anno addietro si vociferava di volerla cambiare quella “ frasetta” del Padre
Nostro, perché, si diceva, troppo ermetica, sibillina e, forse, anche
fuorviante per i non addetti ai lavori. Invece è così chiara ed esplicita nella
sua essenziale sinteticità, che a certe coscienze “ultra-delicate” può
suscitare un certo prurito fastidioso di rimorso e, allora, ecco il tentativo
di ammorbidirla.
Pinocchio prende a martellate il grillo, voce della sua coscienza, per metterla
a tacere.
Con le dovute cautele e le più che dovute proporzioni, sempre la “ frasetta”,
richiama nel contenuto la rozza e povera espressione paterna.
Se quel principe della Chiesa avesse riflettuto con umiltà sincera e senza
l’autoreferenzialità della sua specifica ed alta “chiamata” legata alla
“continuità apostolica” del suo ruolo, sul “non c’indurre in tentazione” o
avesse avuto tra i contigui chi gli
suggeriva l’espressione di mio padre, non sarebbe da tempo così “chiacchierato”
e messo, indifendibile, alla gogna, né avrebbe arrecato tanto male alla divina
istituzione, cioè, alla Chiesa, che afferma, con sufficiente dose di
presunzione saccente e irritante, che richiama la citata chiamata, di aver
servito al meglio. Le domande sono sequenziali: ha più servito o si è più
servito? Ha più dato o ha più preso? La misericordia divina abbisogna di
innocenza e di candore, cioè, di onestà: metterò gli occhiali per cercarli al
meglio questi tre attributi, perché, causa l’età, sono presbite e miope, ma
penso, con molta amarezza, che potrei, in questo caso, farne a meno, poiché fa
tanto male vedere la Chiesa così frequentemente, in questi ultimi anni,
aggredita dal suo interno e da parte di coloro che dovrebbero, per libera
scelta, dico io, per chiamata, dicono loro, essere di esempio ai credenti e ai
non credenti.
02
– aprile - 2016