Il quinto Concilio ecumenico è convocato
dall’imperatore Giustiniano I (527- 565) e si sviluppa in otto sessioni dal 5
maggio al 2 giugno 553. Il tema è la condanna dei Tre Capitoli, ovvero di alcuni
scritti di tre autorevoli teologi della Scuola Antiochiena in odore di eresia
nestoriana (due nature e due persone in Gesù Cristo), e precisamente: Teodoro
di Mopsuestia (Contra impium
Apollinarium libri III), Teodoreto di Ciro (lettera contro Cirillo d’Alessandria)
e Iba di Edessa (lettera a Mari, vescovo nestoriano di Ardashir dopo il 433).
La condanna è teologicamente corretta, ma molto sospetta, perché i tre autori
incriminati, che si erano riconciliati con la Chiesa, sono morti da oltre un
secolo. Ma andiamo con ordine, poiché i contenuti del concilio sono poca cosa,
mentre gli eventi che lo precedono e lo seguono sono indicativi del clima poco
gradevole che si respira nella Chiesa e nell’Impero.
E’ un momento delicatissimo per la Chiesa, dilaniata dalle non assopite
polemiche post-concilio di Calcedonia, ma neppure Giustiniano se la passa
meglio nel suo tentativo di recuperare territori perduti come l’Italia
(divenuta longobarda) e l’Africa (Egitto), quindi ha bisogno e cerca la
collaborazione stretta del Patriarcato di Roma e del Papa, e del Patriarcato di
Alessandria definitivamente monofisita. Pensando, in realtà, alla sua politica
espansiva, Giustiniano vuole apparire il difensore solerte dell’ortodossia,
pertanto interviene a piene mani con sue iniziative legislative. Un’occasione propizia gli viene offerta dal
grande complesso conventuale di la Grande Laura a Mars Saba, vicino a
Gerusalemme, dove alcuni monaci diffondono dottrine origeniste, già condannate,
quali la preesistenza, la trasmigrazione delle anime e la riparazione finale.
Il vecchio abate, san Saba, si oppone con tutte le sue forze e si reca a
Costantinopoli per chiedere l’espulsione degli eretici, ma dopo la sua morte
addirittura due monaci riescono a farsi nominare vescovi con l’aiuto della
corte imperiale: Domiziano ad Ancira e Teodoro Aschida a Cesarea di Cappadocia.
Gelasio, successore di san Saba, denuncia l’ampliarsi dell’eresia al
rappresentante del Papa presente al Sinodo di Gaza del 539. Questi rientrato a
Costantinopoli, sollecita l’imperatore ad intervenire contro questo rigurgito
dell’eresia origenista. Nel 543 Giustiniano scrive un Trattato contro gli
errori di Origene che termina con dieci anatemismi e lo pubblica come un
Editto. Per il timore di cadere in disgrazia e perdere la carica di vescovo,
l’editto è sottoscritto anche da Teodoro Aschida, il quale però solleva
un’altra questione: se si condanna con un Editto imperiale la teologia di
Origene, si condannino in modo analogo anche gli scritti e i loro autori legati a Nestorio. Sebbene
Teodoro fosse morto in piena comunione con la Chiesa e Teodoreto e Iba,
anch’essi morti, erano stati riabilitati nel Concilio di Calcedonia, i
monofisiti (tra cui Teodora, moglie dell’imperatore) insistono per la loro
condanna, in quanto nemici di san Cirillo, quindi costituiscono nella Chiesa
l’ostacolo maggiore all’unione.
Giustiniano, convinto da queste argomentazioni, pensa che condannando le due
opposte posizioni, l’ortodossia possa trarne vantaggio, così nel 544 emette un
altro Editto, che contiene tre anatemi contro i tre teologi, già citati. Da qui
il nome di Editto dei Tre Capitoli, che rappresenta il tema cardine del
Concilio di cui stiamo parlando. La condanna in sé è corretta, in quanto gli
scritti non sono immuni da gravi lacune teologiche (papa Pelagio, nei suoi interventi in merito,
individua almeno 60 espressioni eretiche), ma la circostanza la rende
quantomeno molto sospetta: viene riesumata una vecchia questione di oltre 120
anni prima e che i Concili di Efeso e di Calcedonia hanno “obliterata”, come
scrive Facondo, un vescovo dell’epoca. Questo editto di condanna non porta gli
effetti sperati, perché in Oriente è accolto con molta perplessità sulla sua
opportunità: infatti Mena, patriarca di Costantinopoli, si rimette al parere
della sede apostolica romana. In Occidente è accolto molto male, perché sembra
mettere in discussione il Concilio di Calcedonia, cui gli occidentali sono
particolarmente legati, essendo stati i protagonisti. Papa Vigilio (537-555) è
molto incerto sul da farsi e prende tempo, mentre Giustiniano ha fretta di
chiudere la diatriba nel modo da lui voluto. Convoca Vigilio a Costantinopli,
anzi, nel 546 il Papa è prelevato e forzosamente è condotto a Costantinopoli,
ma Vigilio non firma un documento in contrasto
con Calcedonia. Il domicilio coatto e le pressioni imperiali e della corte
ottengono il loro effetto: l’11 aprile 548 (giorno di Pasqua) il pontefice
invia al patriarca Mena uno scritto (Iudicatum)
nel quale si condannano i Tre Capitoli. I vescovi dell’Africa, dell’Occidente e dell’Illiria
(Dalmazia) non riconoscono il documento pontificio e si arriva a minacciare il
Papa di scomunica. La Chiesa è vicina allo scisma. Vigilio, temendo il peggio,
ritira il suo Iudicatum (550) e chiede all’imperatore di indire un concilio
ecumenico. Giustiniano, stanco delle indecisioni e dei cambiamenti di posizione
del papa, emana un nuovo Editto di condanna dei Tre Capitoli (551).
Solo i vescovi orientali danno la propria adesione al documento. A questo punto
l’imperatore e il patriarca Eutichio, successore di Mena, convocano un concilio
ecumenico a Costantinopoli. Il papa concorda sul concilio, ma lo vuole in
Italia o in Sicilia. La sua richiesta non è accolta, così, pur essendo
prigioniero a Costantinopoli, decide di non partecipare ai lavori. Giustiniano convoca un egual numero di
vescovi dai cinque patriarcati apostolici (Gerusalemme, Roma, Alessandria,
Antiochia, Costantinopoli).
Per la dichiarata assenza del Papa, i vescovi occidentali disertano l’assise:
sono presenti solo otto vescovi africani. Il Concilio si apre il 5 maggio 553
nella basilica di S. Sofia, cattedrale della capitale. Presiede il patriarca
Eutichio. Immediatamente i padri conciliari approvano con i 160 voti dei
presenti i decreti di condanna dei Tre Capitoli, dei suoi autori e
dell’origenismo. Il 14 maggio il Papa cerca di intervenire nei lavori
conciliari, inviando all’imperatore una sua dichiarazione, firmata anche da 16
vescovi, che prende il nome di
Constitutum Vigilii papae de tribus capitulis (decisioni di papa Vigilio
sui Tre Capitoli).
Questo documento condanna gli errori di Teodoreto e Teodoro, ma non le persone,
per il principio canonico secondo il quale non si può condannare una persona
morta nella comunione ecclesiastica; mentre per Iba viene accettata la sua
giustificazione esposta a Calcedonia.
Per Giustiniano è l’ennesimo voltafaccia del papa e quindi non riconosce
l’intervento papale e presenta al Concilio i precedenti atti di consenso e
chiede che il suo nome venga escluso dagli atti. Furbescamente, sottolinea che
è Vigilio che si è separato dalla comunione dei vescovi difendendo gli autori
dei Tre Capitoli, mentre si ha la premura di mantenere l’unione con la sede
apostolica romana; in altre parole: ce l’ho con Vigilio, non con la Chiesa
d’Occidente e dell’Africa. Il concilio
prosegue senza più preoccuparsi del papa. Nell’ultima sessione (l’ottava) il 2
giugno 553 vengono promulgati 14 anatemismi (formule di condanna) nei quali si
condannano gli scritti dei tre nestoriani e si accetta la validità teologica
dei quattro Concili precedenti compreso Calcedonia. Vigilio dice di aver
seguito il consiglio di Agostino di Ippona, ma è anche il pressing che lo
convince a riconoscere e approvare il Concilio con lettera al patriarca Eutichio
dell’8 dicembre 553. Forse ritenendo inutile continuare una disputa alimentata
solo da contrasti ormai obsoleti, il 23 febbraio 554, a Costantinopoli, papa
Vigilio pubblica un nuovo Constitutum nel quale giustifica la
condanna dei Tre Capitoli, perché non è in contrasto con Calcedonia e riconosce
il Concilio. Ormai Giustiniano ritiene che
non serve più trattenerlo e libera papa Vigilio che intraprende il
viaggio di ritorno a Roma, dopo dieci anni di forzato esilio, ma muore in
giugno a Siracusa.
Morto Vigilio, da Costantinopoli viene inviato il diacono Pelagio per essere
eletto papa.
L’imposizione imperiale è accolta molto male e costringe Pelagio a
giustificarsi in San Pietro con una pubblica professione di fede verso i suoi
predecessori, in particolare san Leone Magno. L’opposizione alla condanna dei
Tre Capitoli e alla nomina di un papa imposto non si attenua nel Nord Italia e
in Illiria (Dalmazia) coinvolgendo diocesi importantissime come Milano e
Aquileia e provocando lo scisma tricapitolino che durerà più di un secolo.
La conclusione è una sola: la fede è una cosa semplice, volerla complicare con
argomentazioni cavillose porta a discussioni che di tutto odorano tranne che di
carità e misericordia. Cambiano i tempi,
passano i secoli, ma la miopia umana è sempre la stessa e non si arrende mai.