Durante le feste Natalizie
del 1997, nella sala Consiliare del Comune di Sarzana, alla presenza di
autorità e critici è stato presentato il libro
“Favole Liguri”, fra le quali una
ortonovese e una nicolese. Quella ortonovese, anche se molto diversa (la
racconta anche Italo Calvino) è stata ri-pubblicata sul “Sentiero” dello
scorso gennaio. Era quella della mia
infanzia, quella di Lazzarin del Fosso. Nel libro invece di Torp’shin
(topolino) è titolata Pogh’tin ed è un po’ diversa. Entrambe erano conosciute
in tutto il Comune, anche se con qualche variante. Quella di Nicola, invece, ve
la racconto così come la raccontavano a Ortonovo. (All’autore del libro è stata
raccontata da Fulvia Marchini nata a
Nicola nel 1921).
“C’era una volta una brava
sposa che desiderava tantissimo avere un bambino, ma invano. Un giorno una
Vecchietta (forse la Madonna) le si avvicinò e le regalò un semino di mela
dicendo: “Mettilo sul davanzale, e prega”. L’indomani la donna aprì la finestra
e… dentro un cesto c’era un bellissimo bambino. Aveva due ‘pometti’ (gote
rosee) che erano un amore e, piena di gioia, se lo strinse al cuore e lo chiamò
Bel Pomo. Passarono gli anni e Bel Pomo crebbe bello, felice e coraggioso.
A vent’anni decise di cercarsi una moglie. Avendo saputo che in un castello
c’era una giovane chiamata “La bella dalle tre arance”, prigioniera di un orco,
decise di liberarla. In molti ci avevano già tentato, ma invano, e nessuno era
mai tornato.
Bel Pomo non aveva dubbi, prese un cavallo e partì. Cammina e cammina, incontrò
una Vecchietta che gli chiese: “Dove vai?”. Bel Pomo le raccontò le sue
intenzioni.
“Le ragazze sono prigioniere dentro tre arance: compra dell’olio, degli stracci
e delle pantofole di velluto e cerca di non farti vedere dall’orco che le tiene
prigioniere; aspetta quando è addormentato”, gli dice la Vecchietta e gli
indica la strada. Bel Pomo comprò l’occorrente e arrivò al cancello. Prima di
aprirlo lo oliò ben bene per non farlo cigolare. Entrato nell’atrio, trovò
alcune donne che stavano pulendo il pavimento con i loro capelli: diede loro
gli stracci e quelle lo fecero passare. Dovendo salire per una scaletta di
vetro si mise le pantofole di velluto e così arrivò indisturbato alla camera
della Bella dalle tre arance.
A guardia della camera, dove si trovava un cesto con tre arance, c’era un orco che stava dormendo. Appena il giovane
prese il cesto l’orco si svegliò. Bel Pomo fuggì e l’orco gridò: “Scaletta,
rompiti!”. La scaletta rispose: “No, perché lui si è messo le pantofole di
velluto, mentre tu sali sempre con gli scarponi chiodati!”. E quando l’orco
scese dalla scaletta per rincorrerlo, questa si ruppe facendolo cadere.
“Donne fermatelo!”, gridò l’orco. “No, lui è stato gentile e ci ha dato degli
stracci, mentre tu ci facevi asciugare il pavimento con i capelli!”. E lo
lasciarono passare.
Anche il cancello si aprì facilmente e invece ostacolò l’orco.
Mentre fuggiva a cavallo Bel Pomo sbucciò la prima arancia e da questa apparve
una bellissima fanciulla che disse: “O bel bebè, da mangiare dove ce n’è?”.
“Non ce n’è!”, rispose Bel Pomo. E la bella fanciulla sparì. Così successe
anche con la seconda arancia.
Allora il giovane per evitare che anche l’ultima fanciulla sparisse si fermò a
una locanda e ordinò da mangiare e quando apparve la terza ragazza poté
mangiare e diventare di carne e d’ossa.
A questo punto Bel Pomo le chiese di sposarlo e lei accettò. Ordinò alla
locandiera di preparare la ragazza con i migliori vestiti che aveva e corse a
prendere i genitori per la festa di nozze. La locandiera, che era una strega e
si era invaghita di Bel Pomo, piantò uno spillone nella testa della ragazza che
si trasformò in una colomba, e prese il suo posto. Al ritorno Bel Pomo, che non
si era accorto di nulla, andò all’altare per sposarsi, ma ecco che una colomba
gli volò sulla spalla; egli le accarezzò la testa e sentendo una spina sul
capino dell’animale, la tolse. A questo punto riapparve la sua vera sposa. Bel
Pomo scacciò la strega che si trasformò in una cornacchia e sposò la sua
principessa. Andarono ad abitare nel loro castello, dove vissero felici e
contenti”.