N° 1 - Gennaio 2016
Una favola ortonovese: Torp’shin (Già pubblicata nel 1998)
di Romano Parodi

 

          Durante le feste natalizie (del 1997), nella Sala Consiliare del Comune di Sarzana, alla presenza di autorità e critici, è stato presentato un libro di favole liguri inedite. Uno dei tre autori era il nipote di “Pina”, il sarto. Lo ricordate? Nel libro c’è anche una favola ortonovese e una nicolese con due belle illustrazioni dei nostri borghi. Ma nel canicio, alla fine del secolo scorso, Lazarin del Fosso quella ortonovese la raccontava così.

         

“C’era una volta un grande orco che aveva la cattiva abitudine di mangiare i bambini. Come un segugio ne annusava la presenza e ne seguiva le tracce. “A sent’odor d’ cristianin, o ka i né, o ka i né stà, o ka d’aven ka nò magnà”, diceva. Lui li catturava e sua moglie li cuoceva. Gli abitanti del luogo vivevano nel terrore e i bimbi, chiusi in casa, non uscivano quasi mai.  Solo un trovatello, agile e smilzo, continuava la vita di sempre.
Un giorno l’orco lo sorprese su una pianta di fico. “Oh Torp’shin, t’ m’l dà ‘n fikin!”.
Torp’shin, generoso com’era, gliene gettò uno. “G’iè’ndà ‘n t’la cacà”. Gliene gettò allora un altro. “G’iè ‘ndà ‘n t’la pipì: dam’do con la tu manina d’oro!”. Alla fine Torp’shin, ingenuamente, si spikodò un poco e quello, che non aspettava altro, con un balzo lo prese, lo mise dentro un sacco e s’incamminò verso casa. Circa a metà strada all’orco venne voglia di fare un bisognino. Posò il sacco e si mise in disparte per fare quel che doveva. Torp’shin cominciò a reclamare: “Va’ pu ‘n là ka sent la puza: ‘n t’ vorà mika magnara d’la cicia puzolenta!”.  E quello s’allontanò un poco. “Va’ pu ‘n là ka sent la puza:
‘n t’ vorà mika magnara d’la cicia puzolenta!”.
E quello s’allontanò ancora, finché, svoltata una curva, Torp’shin si levò di tasca un cort’din, si liberò e riempì il sacco con dei sassi.
L’orco ritornò e si caricò il sacco sulle spalle: “Kom  t’ sen p’santo, a n’ serva nemanko ka t’ meto a la grassa”, diceva l’orco durante il percorso. “P’rché aiò magnà tanti fiki”, rispondeva Torp’shin che lo seguiva di soppiatto. Arrivato in vista della casa, l’orco cominciò a chiamare: “Oh mog’iera, met su la caldera k’ò pig’ia Torp’shin; oh mog’iera, met su la caldera k’ò pig’ia Torp’shin!”. La moglie, uditolo, mise sul fuoco il lauegio (grosso paiolo), dove l’orco, appena giunto in casa, scaricò il contenuto del sacco. Immaginatevi le conseguenze: l’acqua bollente schizzò dappertutto, ustionando l’orco e l’orchessa.
Passò un po’ di tempo ed ecco che l’orco ritrovò Torp’shin sempre sull’albero di fico. “Oh Torp’shin, t’m’l dà ‘n fikin?”. “No, ke se no t’ m fa kome d’altra volta”. Ma quello insistette mai tanto, che il ragazzo gliene gettò uno. “G’iè ‘ndà ‘n t’la cacà”. Poi: “G’iè ‘ndà ‘n t’la pipì”. Poi: “I s’è smaguzà”… Allora Torp’shin scese sul ramo più basso e l’orco con un balzo ne prese la cima e, reggendosi sopra con la sua enorme mole, lo cioncò di schianto facendo così precipitare e catturare Torp’shin. Arrivato poi direttamente a casa, pensò di tirargli subito il collo, ma s’accorse che il ragazzo era magro come un grignon e, d’accordo con l’orchessa, decise di metterlo alla grassa. Torp’shin non aveva mai mangiato tanto e così bene. L’orco rincasando andava a palpeggiarlo e gli veniva l’acquolina in bocca; finché un mattino, prima di partire, ordinò alla moglie di schiappare la legna ché era giunto il momento di fare la festa. Ma l’orchessa era un’incapace e Torp’shin, cavallerescamente, si offrì di aiutarla. Tanto disse e fece che quella aprì la gabbia (abbiamo già visto che gli orchi sono un po’ tonti) e lo fece uscire. Mentre lui spaccava la legna lei la sistemava; ma eccola a portata d’ascia e giù un colpo secco e preciso: la testa dell’orchessa recisa di netto rotolò sul pavimento. Torp’shin la mise nel lauegio e cominciò a far fuoco.
Al rientro l’orco dalla strada chiamò invano la moglie, poi, accortosi che il fuoco ardeva già sotto il paiolo, tolse il coperchio e assaggiò per la cottura. Ed ecco dal tetto una risata di scherno: “Magna, magna la tu mog’iera…magna, magna la tu mog’iera!”. L’orco capì subito tutto; imprecando e bestemmiando salì sul tetto per vendicarsi, ma, grosso com’era, traballò e, in precario equilibrio, Torp’shin agile come una scimmia, gli saltò sulle gambe facendolo cadere e sfracellare sul selciato.
Nel paese i festeggiamenti per quella liberazione durarono parecchi giorni; il trovatello era diventato un eroe e mai più avrebbe patito la fame”.

                                                                            


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