Venerdì,
1° gennaio: solennità di Maria Santissima, Madre di Dio (Lc 2, 16-21)
49^
Giornata Mondiale della Pace
Oggi, inizio del nuovo anno,
si celebra la solennità di Maria Santissima, Madre di Dio, la Theotokos, come
la chiamano i nostri fratelli ortodossi. La nostra mente fa fatica a concepire
un concetto così alto, come sia possibile che una creatura possa essere madre
del suo creatore; alcuni immaginano Maria come un cielo che contiene il sole:
Dio.
Certo ella fu ed è la più grande fra tutte le creature. Il suo sì permise a
Gesù di scendere sulla terra e di compiere la sua opera di salvezza. Fattosi
uomo come noi, Egli ci ha innalzati alla sua dignità, in grado di chiamare Dio
con il nome filiale, pieno di tenerezza, di Abbà, Papà, Padre.
Maria era consapevole che l’Onnipotente aveva fatto in Lei cose grandi,
permettendo, attraverso Lei, l’incarnazione di Gesù e conservava e meditava
tutte queste cose nel suo cuore. I pastori, dal canto loro, avevano accolto con
gioia l’annuncio dell’angelo e si erano “alzati” e messi prontamente in
cammino. Giunti dinanzi alla mangiatoia percepirono il grande mistero del Dio
fatto bambino, lo adorarono e si fecero i primi evangelizzatori, comunicando a
tutti ciò che avevano visto. In alcune pagine del Vangelo di Luca, leggiamo che
le folle accorrevano dal Battista, che annunciava la salvezza, chiedendo: “Cosa
dobbiamo fare?”.
E noi, oggi, cosa dobbiamo fare? Ci è
richiesto di metterci anche noi in viaggio, verso le periferie e annunciare con
gioia al mondo il grande evento della nascita di Gesù, il solo capace di
scongiurare l’odio e la violenza e di farci vedere, nell’altro, il fratello da
accogliere e da amare.
Domenica,
3 gennaio (Gv
1, 1-18)
La Chiesa, questa domenica,
ci propone la lettura di uno dei brani più alti e intensi della Sacra
Scrittura: il prologo del Vangelo di Giovanni. L’apostolo vuole rispondere alla
domanda: chi è Gesù? Il Cristo è presentato in tutta la sua potenza, presente
al fianco del Padre nella creazione: Egli è il Figlio di Dio, il Verbo incarnato
che, essendo nel seno del Padre, ce ne rivela il volto. Egli è la luce che
illumina il mondo e perciò la vita degli uomini, la luce che vince le tenebre.
E “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Ecco l’annuncio,
il cuore del Vangelo, il dono incommensurabile che Dio ci ha fatto nel suo
grande amore per noi!
Nei tempi antichi la Sapienza, lo Spirito divino, aleggiava sulle acque e aveva
posto la sua dimora in Sion. Nella pienezza dei tempi Gesù si è incarnato ed è
sceso sulla terra per tutta quanta l’umanità, il suo progetto di salvezza è
stato rivolto al mondo intero. Però non tutti lo hanno riconosciuto e accolto.
Ma quanti si sono abbandonati al disegno di Dio ed hanno spalancato gli occhi
del cuore per vedere la luce e la verità, sono divenuti figli di Dio “per
essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità“, come dice San Paolo, e
sono stati riempiti di grazia su grazia.
E noi, oggi, cosa dobbiamo fare? Aprire il cuore a questo meraviglioso annuncio
e riconoscere e annunciare quale grande speranza ci è stata donata. La nostra
vita, pur nelle tribolazioni quotidiane, sia come trasfigurata e gli altri
possano conoscere Gesù attraverso la nostra gioia e l’amore reciproco.
Mercoledì,
6 gennaio: Epifania del Signore (Mt
2, 1-12)
L’arrivo dei Magi
dall’Oriente dà alla celebrazione del Natale un respiro universale. Questi
saggi vengono da molto lontano, affrontano un viaggio pieno di pericoli e
incognite per adorare il re dei Giudei che intuiscono essere molto di più: il
re dell’universo. Hanno avuto fede nei segni letti nelle stelle e non hanno
indugiato. Con la loro presenza, la salvezza, riservata solo al popolo di Sion,
in Gesù diventa salvezza per tutte le genti. Leggiamo dal libro di Isaia che
uno stuolo di dromedari e cammelli da Madian, Efa e Saba invaderanno
Gerusalemme portando oro e incenso. I Magi, entrati nella casa, adorarono il
bambino offrendo oro al re, incenso per glorificare Dio e mirra, un unguento
usato per profumare le salme dei defunti, all’uomo che avrebbe concluso la sua
vita sul Calvario. Infine intrapresero il viaggio di ritorno. Nel Vangelo di
Luca, il tema del viaggio assume un ruolo centrale. Gesù, nella sua
predicazione, si incammina lentamente verso Gerusalemme, meta e conclusione del
suo peregrinare. Maria, saputo che Elisabetta era incinta, “si alzò e andò in
fretta” da lei per offrirle il suo aiuto. Anche i pastori, dopo aver ascoltato
l’annuncio dell’angelo, decidono mettersi in viaggio alla volta di Betlemme. E
così fecero i Magi.
E noi, oggi, cosa possiamo fare? Ritorna insistente quell’uscire nelle
periferie esistenziali, suggeritoci da papa Francesco, alzarci e metterci in
viaggio verso i più sfortunati e svantaggiati, dopo aver fatto il vuoto dentro
di noi (come il chicco di grano che se non muore non porta frutto) per poter
accogliere l’altro.
Domenica,
10 gennaio: Battesimo di Gesù (Lc
3, 15-16; 21-22)
Gesù, sul Giordano, volle
essere battezzato da Giovanni per dare risalto alla necessità di penitenza e
conversione per gli uomini di tutti i tempi, necessità che anch’Egli proclamerà
nel Vangelo. Questo battesimo è amministrato con acqua, quello che Gesù è
venuto a portare è in Spirito Santo e fuoco (“fuoco sono venuto a portare sulla
terra e come vorrei fosse già acceso!”). Dio benedice il gesto del Figlio,
solidale con noi peccatori e lo glorifica apertamente: “Tu sei il Figlio mio,
l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.
Il battesimo di Gesù rimanda al nostro battesimo. Il profeta Isaia e l’apostolo
Paolo sono unanimi nel manifestare la loro gioia per i doni che Dio ha dato al
suo popolo. Per Isaia, Dio è un pastore che raduna il suo gregge con tenerezza
e lo perdona di tutte le sue colpe. Paolo canta che “è apparsa la grazia di
Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini”: Gesù che ha dato se stesso per
tutti noi. Egli ci ha salvati con la sua misericordia, con un’acqua che
rigenera e rinnova nello Spirito Santo.
E noi, oggi, cosa dobbiamo fare? Benedire il Signore per la sua bontà e
misericordia. Egli provvede a tutte le nostre necessità, ma soprattutto ci ama
e ci perdona, e concede, a chi la voglia accogliere, la salvezza.
Domenica,
17 gennaio (Gv
2, 1-11)
Giornata
mondiale del Migrante e del Rifugiato
A Cana di Galilea Gesù
trasforma l’acqua in vino. E’ il primo dei segni - che l’apostolo Giovanni ci
mostra - che manifestano la gloria di Gesù e fanno scaturire la fede nei suoi
discepoli. In questo brano del Vangelo, Maria riveste un ruolo di primo piano:
è Lei che quasi spinge Gesù a dare l’avvio al suo ministero pubblico, consapevole
di quanto l’umanità lo attendesse e ne fosse assetata. Queste nozze sono il
simbolo delle nozze messianiche tra Cristo e la sua Chiesa. Anche il profeta
Isaia paragona il popolo eletto ad una vergine e Dio allo sposo che gioisce per
la sua sposa. La Chiesa, sposa di Cristo, è ricca di carismi, ciascuno dei
quali è dato dallo Spirito per il bene di tutti. Domani inizia la Settimana per
l’Unità dei Cristiani. Gesù ha chiesto con insistenza al Padre l’unità, poco
prima di morire. Cattolici, protestanti, ortodossi hanno in comune la fede in
Gesù, la Parola, il sacramento del battesimo. Occorre rimarginare questa
profonda ferita causata dalle divisioni.
E noi, oggi, cosa possiamo fare? Chiediamo al Padre di condividere il suo sogno
di unità per la Chiesa: quanto più scopriamo Gesù nei fratelli delle altre
Chiese, tanto più diventiamo autentici testimoni di Dio.
Domenica,
24 gennaio (Lc 1, 1-4; 4, 14-21)
Il brano di oggi inizia col
prologo del Vangelo di Luca. L’evangelista vuol rassicurare i suoi lettori
(raffigurati in un non meglio identificato Teofilo) ai quali rivolge la sua
catechesi, che egli non solo ha accolto la tradizione orale di chi aveva
vissuto in prima persona i fatti narrati, ma di aver compiuto ricerche e studi
molto accurati per dare al suo lavoro un taglio storiografico. Dopo aver
superato le tentazioni nel deserto, Gesù ritorna in Galilea dove, con la
potenza dello Spirito, inizia il suo ministero insegnando nelle sinagoghe e
diffondendo la sua fama ovunque. Egli, dunque, almeno all’inizio, si rivolge
prevalentemente al popolo di Israele. Giunto a Nazareth, la città dove era
cresciuto, entra nella sinagoga e con autorità apre il rotolo della legge e si
trova di fronte il passo di Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per
questo mi ha consacrato… e mi ha mandato… a portare il lieto annuncio…”. Poi
riavvolge il rotolo e si siede in silenzio. Tutti gli occhi sono puntati su di
Lui. Allora Egli annuncia con solennità, tra lo stupore dei presenti, che quel
giorno si è compiuta in Lui quella profezia.
Non aggiunge altro per permettere di meditare sulla grandiosità
dell’annuncio fatto. Ma noi sappiamo che non tutti accolsero quelle parole,
anzi, alcuni lo osteggiarono apertamente.
E noi, oggi, cosa dobbiamo fare? Gesù è veramente il Figlio di Dio. Le sue
parole sono spirito e vita e noi dobbiamo accoglierle con gioia e semplicità di
cuore. Egli è la nostra roccia e la speranza che non delude e non ci abbandona
mai e ci accoglierà, se lo avremo ascoltato, nella sua gloria.
Domenica,
31 gennaio – San Giovanni Bosco (Lc
4, 21-30)
L’ostilità dei compaesani di
Gesù non si fece attendere. Dopo le parole pronunciate nella sinagoga di
Nazareth, allo stupore e alla meraviglia, seguì il dubbio e il sospetto. La
gente si chiedeva se Gesù non fosse un uomo come tutti gli altri e come potesse
essere l’eletto del Signore, dato che era il figlio di Giuseppe e i suoi
genitori e parenti erano conosciuti da tutti nei dintorni. Gesù, allora, dopo
aver sottolineato ai presenti che nessun profeta è mai stato accolto nella sua
patria, ricordò che anche nei tempi antichi, in seguito al rifiuto del popolo
eletto, Dio manifestò la propria benevolenza, durante carestie e malattie
devastanti, ad una vedova e ad un generale stranieri. Ciò suscitò l’ira degli
astanti che cercarono di ucciderlo. La durezza di cuore degli ascoltatori e il
loro sdegno non tolgono nulla alla grandezza del suo messaggio che appare come
il suo “programma” di liberazione e salvezza. Gesù ha dovuto conoscere molto
presto l’ostilità e il rifiuto dei suoi contemporanei che lo porteranno sul
Calvario. Analoga sorte era toccata ai profeti prima di Lui e toccherà anche ai
suoi seguaci. Per essi San Paolo scrive lo stupendo inno alla carità, compendio
dell’amore portato nella terra di Gesù. La carità infatti “tutto scusa, tutto
spera, tutto sopporta”.
E noi, oggi, cosa dobbiamo fare? Identificare Gesù negli scartati, i rifugiati,
gli emarginati, ricordando che, quando saremo dinanzi al Padre, la fede e la
speranza non avranno più importanza, ma conteranno solo gli atti d’amore che
porteremo nelle nostre mani.