Nelle lingue semitiche
mediorientali come l’aramaico, l’ebraico e l’arabo, la pietàs latina, ovvero la misericordia di Dio,
è espressa dalla radice r-h-m; da questa trae origine il
termine ebraico rehem, il cui significato è “utero” o “seno materno”, mentre il
suo plurale o accrescitivo, rahamin, significa uteri o, meglio,
“grande utero” a indicare l’unione infinita di tanti uteri materni. Lo stesso
Isaia (Es 49, 15) ci conferma l’identità del carnale legame materno con quello
di Dio: “Si dimentica forse una donna del
suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se
queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”.
Purtroppo oggi di madri che si
dimenticano dei figli, li abortiscono, li abbandonano, li sopprimono, li trascurano
per “cose più importanti”, li sacrificano alla carriera, al successo, ecc., ne
abbiamo anche troppi esempi. Chiusa la parentesi, torniamo a capire il senso
della parola misericordia e della sua centralità nella vita del cristiano, ma
non guasterebbe anche in quella del non-cristiano, perché la realtà cruda del
mondo in cui viviamo cambierebbe radicalmente. Il Dio biblico, misericordioso,
cioè uterino o materno, ama, dunque, la sua creatura di quell’amore tipico
della madre verso il figlio; amore di madre fatto di tenerezza e di protezione
totale che solo nelle viscere della propria carne può essere garantito. Nella
Bibbia l’aggettivo più comunemente accostato a Dio non è tov, buono, ma rachum, normalmente tradotto in modo traslato con misericordioso. Nella
celebre epifania sul monte Sinai, Dio si presenta a Mosè come “il Signore, Dio misericordioso e pietoso,
lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che perdona la colpa, la
trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione” (Es 34, 6-7) se
non c’è la disponibilità sincera al pentimento e alla reciprocità del dono
verso il nostro prossimo (“Siate misericordiosi come il Padre è misericordioso
con noi”. Così papa Francesco all’ Angelus dell’Immacolata).
Gli episodi del figliol prodigo e del
buon samaritano sono gli esempi più
calzanti del pentimento e della reciprocità. Definendosi misericordioso Dio si
attribuisce la caratteristica distintiva e cardine del femminile, cioè si
presenta come madre. In sostanza, il Dio
della Bibbia si propone con un ossìmoro (due concetti contrapposti), come “madre-padre”
o “padre-madre”. Inoltre, Dio è buono soltanto perché la sua bontà
coincide con la sua misericordia proprio come la parola latina miseri-cordis,* che mirabilmente esprime il portare nel proprio cuore la miseria
del prossimo. Ricordo, a suo tempo, lo stupore suscitato da
Giovanni Paolo I (il pio Albino Luciani)quando si rivolse al Creatore
chiamandolo Madre. Ora papa Francesco ci ripropone con forza la medesima immagine di Dio: ecco il senso
del Giubileo della Misericordia.
A noi, poveri umani, la certezza della volontà di Dio al perdono
misericordioso, dovrebbe sollecitare la voglia di non peccare e di essere a
nostra volta misericordiosi verso il vicino in difficoltà, ma non credo che
questi siano i pensieri primari dell’uomo moderno. La conclusione sta nell’
invito pressante, sempre, di papa Francesco: “ Lasciamoci sorprendere da Dio”,perché la sua misericordia è
tenerezza, poco importa se paterna o materna, mentre ciò che conta è la nostra
voglia di tenerezza filiale come segno di risposta positiva.
* Misericordis dal verbo latino miserèo,
ho pietà e cordis, cuore: sentimento
per il quale la miseria altrui tocca il mio cuore.