La corruzione - “Una volta ho fatto una domanda a un
ministro dell’Argentina: un uomo onesto, che ha lasciato l’incarico, perché non
poteva andare d’accordo con alcune cose un po’ oscure. Gli ho chiesto: quando
voi inviate aiuti, siano pasti, siano vestiti, siano soldi ai poveri e agli
indigenti, di quello che inviate, quanto arriva là, sia in denaro, sia in
spese? Mi ha detto: il 35 per cento. Significa che il 65 per cento si perde.
Questa è la corruzione: un pezzo per me, un altro per me”.
(da un’ intervista rilasciata a “STRAATNIEUWS”,
giornale di strada olandese)
Le tre “T” - “Un credente non può parlare della
povertà o dei senza tetto e condurre una vita da faraone. Gesù è venuto al mondo
senza tetto... Nei movimenti popolari si lavora con le tre “T” spagnole:
trabajo (lavoro), techo (tetto), tierra (terra). La Chiesa predica che ogni
persona ha diritto a queste tre cose”.
(dall’omelia in S. Marta, 6 nov.)
Convegno Ecclesiale di
Firenze - Papa
Francesco chiede: a) di “non essere ossessionati dal potere, anche quando
questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale
della Chiesa”. b) “umiltà, disinteresse, beatitudine, perché si trovi la via
del rinnovamento”. c) abbandonare un’antica eresia che porta ad “avere fiducia
solo nelle strutture”. “Evitiamo, per
favore, di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione,
nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui
ci sentiamo tranquilli. Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per
essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e
la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze... Ai vescovi chiedo di
essere pastori: sia questa la vostra gioia. Sarà la gente, il vostro gregge, a
sostenervi”. E per dare un esempio concreto di come uscire in strada cita con
palese simpatia don Camillo di Guareschi.
(Firenze, 10 nov. Basilica
di S.M. del Fiore)
La famiglia - “Condividere e saper condividere è una
virtù preziosa! Il suo simbolo, la sua icona, è la famiglia riunita intorno
alla mensa domestica. La condivisione del pasto - e dunque, oltre che il cibo,
anche degli affetti, dei racconti, degli eventi - è un’esperienza fondamentale.
Quando c’è una festa, un compleanno, un anniversario, ci si ritrova attorno
alla tavola. In alcune culture è consuetudine farlo anche per un lutto, per
stare vicino a chi è nel dolore per la perdita di un familiare. La convivialità
è un termometro sicuro per misurare la salute dei rapporti: se in famiglia c’è
qualcosa che non va, o qualche ferita nascosta, a tavola si capisce subito. Una
famiglia che non mangia quasi mai insieme o nella quale a tavola non si parla,
ma si guarda la televisione o lo smartphone, è una famiglia “poco famiglia”.
Quando i figli a tavola sono attaccati al computer o al telefonino e non si
ascoltano fra loro, questa non è famiglia, è un pensionato. Oggi molti contesti
sociali pongono ostacoli alla convivialità familiare. E’ vero, oggi non è
facile. Dobbiamo trovare il modo di recuperarla: a tavola si parla, a tavola si
ascolta. Niente silenzio, quel silenzio che non è il silenzio delle monache, è
il silenzio dell’egoismo: ognuno ha la sua televisione o il suo computer e non
ci si parla. No, niente silenzio. E’ indispensabile recuperare quella
convivialità familiare pur adattandola ai tempi”.
(dall’
Udienza generale in Piazza S. Pietro, 11 nov.)