Francesco è un Papa
coraggioso. Di fronte alla profonda crisi che la Chiesa sta attraversando ed
ancora di più di fronte alla crisi di gran parte dei valori umani cui sempre ci
siamo riferiti, in primo luogo quelli della vita e della famiglia, ed anche
quelli del rispetto dell’uomo e della natura (pensiamo ad un film straordinario
come fu “L’albero degli zoccoli”, del cattolico Ermanno Olmi), il Papa non ha
scelto la linea della difesa ideologica o della chiusura in se stessi, talora
comoda e all’apparenza confortante, bensì quella ben diversa che in termini
calcistici potremmo chiamare del contropiede, dell’uscire in campo aperto.
Senza paura. Il viaggio a Cuba e poi negli Stati Uniti, sotto questo profilo, è
stato davvero significativo, forse – sinora – la tappa più importante di un
pontificato che non cessa di stupire. Che in pochi, tre anni fa, si sarebbero
attesi. E’, se vogliamo, la grandezza della Chiesa. Mi pare di averlo scritto
altre volte: quando si dice che i cardinali in conclave sono assistiti dallo
Spirito Santo, non dobbiamo pensare che una forza esterna o misteriosa scriva
al loro posto il nome del candidato prescelto. Non è questo: è la sapienza
millenaria di una Chiesa che non ragiona per se stessa, nell’ottica modesta e
parzialissima della vita di ciascuno di noi, ma in una prospettiva ben più
grande e infinita: “sub specie aeternitatis”, “nella prospettiva
dell’eternità”, come si diceva un tempo.
Ogni Papa è diverso da chi lo ha preceduto, ma straordinaria è la continuità di
fondo nel loro insegnamento. Una continuità che non è statica, ma dinamica, nel
senso che si sviluppa, pontificato dopo pontificato, non solo seguendo, ma
spesso anticipando i risvolti della storia. Paolo VI, ricordiamolo, fu il Papa
che ammonì: “Il nostro tempo non ha tanto bisogno di maestri, quanto di
testimoni”. Che cosa voleva dire, se non che, all’orizzonte, libertà e sviluppo
scientifico facevano intravvedere modificazioni profonde nei costumi e nella
vita delle persone umane, per cui compito della Chiesa (così come, in diversa
misura, delle diverse “agenzie” umane, politica compresa) non sarebbe più stato
tanto quello dell’”alfabetizzazione” delle coscienze, quanto la sfida alla solitudine
ed alla debolezza umana? Giovanni Paolo II sviluppò quell’intuizione con il
grande programma della “nuova evangelizzazione”, del “Non abbiate paura !”, e
Benedetto XVI lo fece proprio sin dalla semplicità del richiamo al suo essere
“umile lavoratore nella vigna del Signore”, un richiamo di cui la rinuncia al
pontificato è parsa la testimonianza forse più alta, oltre che più sofferta.
Francesco sta rilanciando con forza tutto questo percorso. Se è vero, come
riferisce la sua biografa argentina Elisabetta Piqué, che all’inizio del
conclave diversi cardinali lo avrebbero avvicinato e incoraggiato, dicendo
“Bergoglio, ora tocca a te”, quando i media di tutto il mondo invece lo
ignoravano tra i favoriti, a che altro si può pensare se non alla forza di una
storia millenaria ed al soffio dello Spirito? Ascoltando, giorno dopo giorno,
la straordinaria serie degli interventi nel viaggio americano, pensavo a tutto
questo. Alla grandezza di un Papa e della sua Chiesa, ed alla debolezza di
ciascuno di noi, in particolare di noi italiani ed europei, che ancora non ci
rendiamo conto del fatto di come la “nostra” Chiesa non sia più quella
euro-centrica e romano-centrica cui da generazioni eravamo abituati. La Chiesa
del nuovo millennio respira con tanti polmoni, e nelle due Americhe quei polmoni,
carichi di difficoltà e forse di contraddizioni, ma anche di amore e di
speranza, sono particolarmente efficaci. Ci spaventiamo dei migranti che
bussano a casa nostra, che dilagano sulle nostre strade, e spesso non ci
rendiamo conto che i primi migranti siamo noi: migriamo, come gli ebrei nel
deserto, dalle nostre convinzioni di un tempo, dalle nostre abitudini, dagli
scenari abituali e comodi di una Chiesa che faticava a riscoprirsi “ospedale da
campo”.
Il Papa ci indica questo, e ci accompagna con coraggio lungo strade nuove,
inesplorate. Davvero, noi spezzini, dovremmo comprendere ed amare i nostri
missionari, e penso ora in particolare a quelli nativi di Ortonovo, che nei
decenni scorsi, scontando forse la perplessità di tanti, hanno lasciato la loro
terra per annunciare il Vangelo altrove, e per ritrovarsi diversi: non ad
insegnare, ma ad imparare. I discorsi più belli del Papa, nei giorni scorsi,
non sono stati a mio giudizio quelli delle grandi celebrazioni, pur così
affollate ed intense, quanto quelli rivolti ai vescovi, ai sacerdoti, alle
suore oppure quello, semplice ma anch’esso straordinario, ai detenuti nel
carcere di Filadelfia, con lo spunto di Gesù che lava i piedi ai discepoli: “Vivere comporta “sporcarsi i piedi” per le
strade polverose della vita e della storia. E tutti abbiamo bisogno di essere
purificati, di essere lavati. Tutti, io per primo. Tutti siamo cercati da
questo Maestro che ci vuole aiutare a riprendere il cammino. Il Signore ci
cerca tutti per darci la sua mano”.
Vorrei concludere con una bella vignetta comparsa su un quotidiano americano e
citata da Andrea Tornielli in uno dei suoi commenti. Ci sono un politico
democratico ed uno repubblicano che discutono davanti al Papa. “Sul cambiamento
climatico è con me”, dice il primo. “Sulla vita è con me”, dice il secondo. Un
po’ più distante, c’è Gesù, che commenta: “Scusatemi, ma io sono ben sicuro che
sia con me”…