4 Ottobre 2015 - XXVII Dom
T.O. - Mc 10,2-16
Ancora
una volta Gesù viene messo alla prova
dai Farisei, gli “esperti” delle Sacre Scritture mentre è in viaggio verso
Gerusalemme. L’argomento è il divorzio o “atto di ripudio” che potevano subire
le spose ebree se il marito trovava in loro “qualcosa di sconveniente”
(Deuteronomio 24,1). Gesù chiarisce perché si trova nelle Scritture una simile
affermazione spiegando che Mosè ha reso lecito il ripudio della moglie per la
“durezza del cuore” degli Ebrei. Il cuore nella Bibbia è considerato il luogo
in cui l’uomo prende le decisioni e se
l’uomo ha ‘orlat lebab’, cioè il “cuore non circonciso”, non segue la Parola di
Dio quando compie le sue scelte. Gesù, citando Gn 1,27 e Gn 2,24, risale al
Bereshit, cioè all’Inizio, a quando Dio ha messo in opera il Suo progetto
sull’ultima creatura a cui ha dato la vita. L’uomo è stato creato da Dio maschio
e femmina, con la predisposizione alla relazione e all’unione. In tale
relazione c’è l’immagine di Dio stesso. Un Dio che ha stretto un’alleanza
eterna d’amore col suo popolo, quel patto che Gesù ha portato a compimento col
sacrificio della Sua vita.
I cristiani che si trovano impegnati nel
matrimonio sono chiamati a vivere la logica di questa alleanza. Sono chiamati a
vivere quella solidarietà senza compromessi e definitiva che Gesù ha vissuto e
che lo ha condotto sulla croce, cioè una donazione totale e irrevocabile. In
questa luce le prime pagine della Genesi acquistano tutto il loro significato:
è il Signore che ha legato i due in un’alleanza che li coinvolge e impegna le
loro persone in maniera definitiva. Il Dio che Gesù rivela non è un solitario,
ma una pluralità di Persone legate fra loro da un’alleanza eterna e infinita.
Di conseguenza, creando l’uomo a sua immagine, ha creato la famiglia. Quando un
uomo e una donna si sposano in ogni giorno della loro vita insieme, si ripete
questa scena della Genesi: il Signore “regala” la donna all’uomo e viceversa.
Li dona l’uno all’altro per sempre. Ogni partner dovrà perciò ogni giorno
considerare l’altro come un dono dell’amore di Dio per lui e considerare se
stesso come un dono dell’amore di Dio per l’altro [Cfr. la formula del consenso
nel rito del Matrimonio: “Io accolgo te (non solo nel senso che tu ti
doni liberamente a me, ma anche nel senso che ti ricevo da Dio) come mio
sposo, come mia sposa”]. Gesù spiega poi ai discepoli “in separata sede”
che non è lecito ripudiare il coniuge, né da parte del marito, né da parte
della moglie. Li prepara così ad evangelizzare il mondo romano, dove anche le
mogli potevano rescindere il patto coniugale. Gesù dà importanza ai bambini che
lo circondano rumorosamente.
Anche quest’azione è rivoluzionaria poiché i bambini nella cultura ebraica, al
pari di donne e malati, erano esclusi dalla vita sociale attiva (cioè
emarginati) poiché considerati deboli ed insignificanti. Gesù presenta i
bambini come modelli per l’accoglienza gioiosa e incondizionata del Regno,
poiché caratterizzati da una fiducia limpida e assoluta.
11 Ottobre 2015 -
XXVIII Dom T.O. - Mc 10,17-30
L’incontro che ci viene narrato oggi ha ispirato nei secoli
la scelta di vita di molti uomini e donne. L’Evangelista ci racconta di
un tale che corre incontro a Gesù e lo implora di insegnargli cosa deve fare
per avere la vita eterna. Per Gesù è il rispetto del Decalogo l’azione da compiere e la consiglia
al suo interlocutore. Ma quell’uomo vive già nel rispetto della Legge fin dalla
sua giovinezza e lo dice a Gesù. Questa affermazione suscita in Lui una
sequenza di stati d’animo che vanno dall’interesse all’ammirazione per sfociare
in un forte sentimento d’amore. Non gli dice che quello che fa è sufficiente ma
gli chiede di fare un passo impegnativo, ma necessario, per essere veramente
felice: deve liberarsi dei suoi beni terreni e diventare poi un Suo discepolo… Le biografie di molti
Santi ci dicono che proprio questo brano evangelico ha ispirato la scelta della
povertà materiale di Sant’Antonio abate, di San Francesco, di Santa Chiara e di
milioni di frati e suore, di missionari sacerdoti e laici che, liberati dal
fardello dei beni terreni, hanno seguito Gesù interessandosi delle necessità
dei fratelli. Molti altri però, come l’uomo che avvicinò Gesù, non riescono a
distaccarsi dalle loro ricchezze e
persistono nel loro stato di insoddisfazione. Riusciranno a raggiungere la
felicità ( = la vita eterna)? Gesù risponde che è difficile, è come far passare
un cammello in una cruna d’ago…ma
aggiunge che non è impossibile… poiché nulla è impossibile a Dio!
La metafora del cammello, letta come uno slogan anticapitalista, ha fatto
appassionare a Gesù “social- comunista” molti compagni negli anni 1950-1960.
Anche a Papa Francesco, nel corso del suo viaggio a Cuba e negli USA, è stato
attribuito l’aggettivo “comunista” per
le sue affermazioni contro lo sfruttamento dei lavoratori, contro
l’inquinamento, contro tutte le ingiustizie sociali…
Attenzione però: l’ideologia comunista non dice soltanto questo !
18 Ottobre 2015 - XXIX
Dom T.O. - Mc
10,35-45
Gesù e i Discepoli stanno compiendo il terzo viaggio verso Gerusalemme che, per
il Maestro, sarà anche l’ultimo. Egli ha appena terminato di parlare della sua
prossima Passione e Morte, ha anche parlato della Sua Resurrezione ma i suoi compagni di viaggio manifestano di
non avere capito nulla. Due di loro, i fratelli Giacomo e Giovanni, si
avvicinano a Gesù e, spudoratamente, gli chiedono di poter sedere accanto a
Lui, nei posti d’onore, quando avrà
ottenuto la Sua gloria. Subito Gesù li accusa di essere insensati (“Voi non sapete ciò che domandate”) e
ricorre all’immagine del Calice e del Battesimo. Nell’ A.T. il Calice è
immagine del giudizio di Dio; in un libro apocrifo (Martirio e Ascensione di
Isaia) è simbolo del martirio.
Significato simile ha il Battesimo: essere sommersi dalle acque indica
sofferenza ed angoscia. Nel greco popolare il verbo BAPTIZESTHAI (“ESSERE
IMMERSO”) indicava anche una situazione di estremo affanno. Egli dunque chiede
loro se sono disposti a condividere la Sua Passione. Alla loro risposta
affermativa ribatte che saranno associati al Suo destino doloroso, ma che è il
Padre che ha il compito di assegnare i posti d’onore. Poi coglie l’occasione per sottolineare che la comunità che vuole
costruire non deve essere un duplicato di quella civile, ma anzi i rapporti
devono essere capovolti. Nella Chiesa di Gesù ogni ruolo di responsabilità è un
servizio che deve fare il bene maggiore possibile per la comunità, ogni
cristiano per “essere il primo sia il
servo di tutti”. Il termine “servo”
definisce una persona che non ha diritti, di cui tutti possono disporre,
che non si appartiene, che è in balia degli altri. L’unico uomo che ha assunto
totalmente questo ruolo nella società è Gesù.
Egli è il “Servo del Signore” che Isaia
ci presenta nella prima lettura odierna, il Messia sofferente e glorificato da
Dio che accetta la morte per amore e a vantaggio degli uomini. Gesù si fa
modello di vita per i suoi seguaci: ogni cristiano deve trasmettere amore anche
nei più piccoli gesti di ogni giorno,
deve rendere veramente felice ogni persona che incontra. Per poter avere
un’esistenza al servizio del Bene è necessario, oltre che ad avere Gesù come
modello, anche riconoscerLo come
fondamento e sorgente della Vita vera nel nutrirci di Lui con l’Eucarestia.
25 Ottobre 2015 - XXX
Dom T.O. - Mc 10,46-52
L’Evangelista Marco in questi versetti
racconta l’ultimo miracolo che Gesù compie prima di giungere a Gerusalemme,
dove lo attende la crocifissione. Il miracolato è un cieco, Bartimeo, che,
incontrando Gesù, trasforma completamente il suo modo di vivere. Prima di
incontrare Gesù era un emarginato, un essere inutile, seduto sul ciglio della
strada a chiedere l’elemosina per poter sopravvivere. Dopo l’incontro con Gesù,
che riconosce come Messia (“ Figlio di Davide” era un attributo del
Messia) e come Maestro affettuoso (“Rabbunì”), ottiene la guarigione
fisica e, unico tra tutti i miracolati di Gesù, lo segue percorrendo la Sua
stessa strada. La strada che sta percorrendo Gesù è il tratto che da Gerico va
verso Gerusalemme. Una strada in salita (Gerusalemme è in collina), una
strada su cui è possibile incontrare chi
è stato assalito dai briganti, derubato e lasciato per terra come morto (Lc 10,
30-37), una strada sulla quale, dopo l’esodo da Babilonia, hanno camminato “il
cieco, lo zoppo, la donna incinta e la partoriente”( Ger 31,8). Quindi sulla strada di Gerico si possono incontrare tutte le manifestazioni
delle miserie umane che solo chi segue
Gesù riesce ad accettare per giungere
con Lui a Gerusalemme, alla città santa, al luogo della Croce e del Sepolcro vuoto .