IL SEMINATORE e i seminatori
Ogni
qualvolta -e sono tante, ormai- ho
ascoltato i commenti alla parabola del seminatore dal Vangelo di Matteo (13,
1-9) si è sempre appalesato qualcosa che non mi tornava, quasi una stonatura o
una contraddizione, perché, in modo più o meno velato o palese, il seme caduto
sul viottolo sassoso o tra i rovi, quindi sprecato, risultava essere il solo
responsabile. Mi torna alla memoria nonno Paolo, che non era agricoltore di
professione, ma utilizzava il terreno ereditato per seminare quanto necessario
alla famiglia.
Rammento a novembre la semina del grano.
Dopo aver arato e frantumato le zolle, divideva il campo rettangolare in due
parti posizionando due paletti al centro dei lati corti che univa con un filo,
poi, messosi a tracolla una gerla semicircolare con dentro il sacco della
semenza, cominciava a percorrere con passo cadenzato avanti e indietro il campo
depositando il seme. Man mano che l’andirivieni lo avvicinava ai margini i suoi
gesti mutavano: il lancio del seme si faceva sempre più corto fino a farlo
soltanto cadere dalla mano, evitando così che raggiungesse il viottolo, la
siepe e il fosso che circondavano il terreno.
Da questo ricordo nasce una considerazione che dà soddisfazione alla mia
perplessità palesata all’inizio: che colpa può avere il seme che si ritrova,
suo malgrado, in un luogo inadatto alla crescita? Il suo compito cerca comunque
di farlo, infatti la piantina nasce, ma le è impedito di crescere e dare frutto
da cause estranee alla sua volontà e possibilità.
E allora? Per me la risposta che offre una soluzione convincente è dura e mi
porta a san Giovanni XXIII che ha indetto il Concilio Vaticano II per meditare
collegialmente sul modo di “porre” la fede immutabile ad un mondo che
cambia rapidamente: in altri termini, così ho inteso, aggiornare i metodi senza
neppure pensare di toccare la sostanza.
Esistono seminatori, con la “esse” minuscola, un po’ distratti o non
pronti a comprendere che il seme non va depositato nel terreno sempre allo stesso
modo e con i medesimi gesti.
Per chi non sa che vivere - e sono la maggioranza - non vuol dire avere i
polmoni che respirano, un cuore che pulsa e uno stomaco che digerisce (ecco i
margini del campo), ma è porsi tre quesiti (chi sono e perché sono, da dove
vengo e dove sono destinato ad andare), è necessario che il seme venga
deposto e proposto in maniera idonea e adeguata alla sua funzione e alla sua
comprensione. Questa situazione di incapacità all’ascolto dei più, mi sembra,
siano le “periferie” cui fa costantemente riferimento papa Francesco,
perché non vengano trascurate, ma affrontate con l’impegno, di volta in volta,
necessario e opportuno, quindi, con una precisa progettualità degl’interventi.
Siamo in grado di rendercene conto o è più comodo proseguire col solito tran
tran che qualcuno osa chiamare ancora tradizione secolare?
Non mi sembra un’eresia sostenere che non è la tradizione immutabile, anche se
secolare, ma la “Parola di Verità”, cioè il seme, e chi, da perfetto SEMINATORE,
ci ha, con amore, rivelato, fatto conoscere e proposto come unico strumento di
salvezza e di vita eterna.