Domenica 5 luglio – XIV del
Tempo Ordinario (Marco 6, 1 - 6)
Nelle prime tre domeniche di luglio, la liturgia
dell’anno B continua a proporci brani del Vangelo di Marco, ed in particolare
del capitolo sesto. Quello odierno è il brano molto celebre nel quale si
racconta come Gesù fosse andato, un sabato, a commentare le Scritture nella
sinagoga del suo paese, Nazaret. Marco, come è noto, che al tempo della vita di
Gesù era un ragazzo e che divenne poi il discepolo e assistente di Pietro,
scrive il suo Vangelo in un tempo successivo agli altri due “sinottici” (Matteo
e Luca), completando così talora il loro racconto. Così, nel brano di oggi,
prima di riferire la frase di Gesù passata alla storia (“Un profeta non è
disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”),
l’evangelista ci dice che Gesù non era soltanto chiamato “il figlio di
Giuseppe” (Luca) o “il figlio del carpentiere” (Matteo), bensì “il
carpentiere” egli stesso.
Una semplice espressione, che ci dice però tanto su due valori fondamentali,
eppure così tanto misconosciuti, anche ai giorni nostri: la famiglia e il
lavoro. Gesù, che pure – come aveva detto ai genitori preoccupati quando lo
avevano perso di vista di ritorno da Gerusalemme – doveva “occuparsi delle
cose del Padre”, in realtà non ha mai trascurato la sua famiglia. In
quell’essere egli stesso “carpentiere”, anzi, possiamo ben intuire la
stima e l’amore filiale che doveva provare non solo per Maria, che lo aveva
dato alla luce, ma anche per Giuseppe, il paziente e fedele tessitore della
trama divina per quel figlio che egli, ricambiato, doveva sentire davvero come
proprio a tutti gli effetti. Gesù lo ricambia lavorando con lui, in quella che
doveva essere la sua bottega, imparando da lui e, quindi, rendendolo felice
anche sul piano umano. In ciò, Gesù rende anche il valore dovuto al lavoro,
come hanno ben messo in rilievo tutti i Papi che, negli ultimi secoli, si sono
occupati della “dottrina sociale della Chiesa”. Senza lavoro, non c’è dignità
umana: i figli vanno educati al lavoro (Gesù, carpentiere egli stesso, certo
non poteva essere accusato di essere, come si usa dire oggi, un “bamboccione”
!), ma la società e la politica devono adoperarsi perché quel lavoro ci sia, in
modo soddisfacente e adeguato. Marco è un evangelista asciutto, di poche
parole, e il suo è il Vangelo più breve. Ma quante lezioni ci vengono da una
sola parola del suo racconto, da quel “carpentiere” !
Domenica 12 luglio – XV del
Tempo Ordinario (Marco
6, 7 - 13)
Il brano odierno – breve ed essenziale, come sempre
nello stile di Marco – può essere definito il “brano della missione”. Gesù,
appena “scottato”, si fa per dire, dall’esperienza negativa della sinagoga di
Nazaret, che lo aveva portato a dire come nessun profeta sia bene accolto nella
propria patria, per così dire “rilancia”, ed invia gli apostoli, a due a due,
per predicare il Vangelo in tutte le località della Palestina di allora. La
Chiesa prende tale decisione di Gesù come modello per il suo compito, la
“missione” appunto, che è quello di annunciare e di testimoniare il Vangelo a
tutto il mondo. Questo brano è stato commentato da Papa Francesco in una delle
omelia mattutine a Santa Marta. Il Papa ha sottolineato alcuni passaggi del
testo. Anzitutto, quello dove si dice che Gesù “chiamò i Dodici”: alla
base della missione c’è sempre una “chiamata”, personale e diretta, che è
rivolta – nella diversità dei carismi e dei ruoli – a ciascuno di noi. Una
chiamata alla quale nessuno di noi deve sottrarsi. Un secondo aspetto indicato
da Francesco è quello relativo alle guarigioni, che egli interpreta sia in
senso proprio sia in senso figurato, come guarigioni del corpo ma anche
dell’anima: “Gesù cosa comanda di
fare ai discepoli ? Qual è il suo programma pastorale ? E’ quello
di curare, guarire, alzare, liberare, cacciare via i demoni: questo è il
programma semplice, che coincide con la missione della Chiesa: la Chiesa che
guarisce, che cura.
Alcune volte io ho parlato della Chiesa
come di un ospedale da campo: è vero! Quanti feriti ci sono, quanti feriti!
Quanta gente che ha bisogno che le sue ferite siano guarite!».
Domenica 19 luglio – XVI del
Tempo Ordinario (Marco
6, 30 – 34)
Ciò che ai nostri occhi appare più significativo
del brano odierno di Marco è probabilmente la frase finale: “Sbarcando, vide
molto folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e
si mise a insegnare loro molte cose”. Nella commozione di Gesù – di cui
parla per lo stesso episodio anche Matteo - noi vediamo tutta la sua umanità,
ma vediamo anche il senso profondo della missione della Chiesa. La Chiesa,
sempre, tende la mano a chi è in difficoltà, a chi è senza guida. Gesù,
infatti, non prova solo compassione, bensì “si mise a insegnare molte cose”.
E, subito dopo, al nutrimento spirituale unirà anche quello materiale, con
la prima moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Domenica 26 luglio – XVII
del Tempo Ordinario (Giovanni 6, 1 – 15)
Abbiamo già fatto notare altre volte come il ciclo
liturgico dei Vangeli del Tempo Ordinario, dedicato a turno ad uno dei tre
“sinottici”, cioè più simili tra loro nel racconto evangelico (quest’anno a
Marco), subisca ogni tanto alcune interruzioni. E' il caso delle cinque
domeniche del periodo estivo nelle quali – oggi è la prima della cinque –
vengono letti brani del Vangelo di Giovanni, in particolare quel capitolo sesto
che molti chiamano il “capitolo proto eucaristico”. Non siamo ancora all’ultima
Cena, ma l’istituzione dell’Eucaristia e la sua forza salvifica vengono
preannunciati, in questo capitolo, sia dall’episodio della moltiplicazione dei
pani, che leggiamo oggi (“Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li
distribuì”), sia nel successivo discorso nella sinagoga di Cafarnao, tutto
incentrato sul “pane del cielo” che è pane di vera vita e che è Gesù stesso.
Sono brani che con molta chiarezza contengono la spiegazione teologica
dell’Eucaristia e che ne fanno quindi il fondamento della fede e della vita
cristiana. Una fondamento che deve accompagnarci tutti i giorni della nostra
vita, facili o difficili che siano. Per questo la Chiesa ci fa leggere questo
capitolo di Giovanni proprio al centro del Tempo Ordinario della liturgia.