Il saggio e il sapiente
I paleoantropologi per
semplificare le tappe evolutive del bipede umano hanno coniato alcune
espressioni: hominidae, homo erectus, homo habilis, homo sapiens,
homo sapiens sapiens. Oggi da più parti si vorrebbe aggiungere un terzo sapiens, quale premio strameritato per
la velocità impressa allo sviluppo tecnologico e scientifico che ha cambiato,
in pochi decenni, i connotati tradizionali della vita, dei rapporti tra le persone
e i popoli, dell’economia, del diritto e dell’etica. Da sempre
l’autoconvincimento delle proprie potenzialità, in primis, maschera, e,
nel tempo, appalesa la superficialità con la quale gestiamo le conquiste che ci
rendono narcisisticamente fieri.
Personalmente - ma il mio niente come osa proporre una simile blasfemia? –
toglierei dalla scala evolutiva i sapiens
e mi fermerei ad habilis. L’uomo moderno, infatti, è abilissimo a
ideare e realizzare novità a getto continuo, ma è adeguatamente sapiente e
saggio da farne un uso corretto, equilibrato, compatibile e rispettoso di sé,
degli altri e del pianeta che occupa?
In venti anni la calotta di ghiaccio del Polo antartico si è ridotta del 18% e
nel mese di marzo scorso è stata registrata la temperatura impensabile di +17,5
gradi.
Ho scelto volutamente un piccolo esempio, nemmeno il più importante, per
sostenere che il sapiens, se trascura,
ritenendola obsoleta, la più elementare regoletta di fisica (“Ad ogni azione corrisponde una reazione
uguale e contraria.”), non ha la capacità di valutare i pro e i contro del suo
progredire scientifico. A sostegno del fatto che l’uomo attuale debba dare una
calmata alla sua sbronza da presunzione, ricordo che la scoperta e l’uso
dell’ossidiana come strumento da taglio polifunzionale o l’uso del fuoco per
cuocere la carne e renderla più digeribile e gustosa al palato non sono inferiori
alla messa a punto dello smarphone o del tablet.
Ancora una considerazione. L’uomo è divenuto sapiens solo quando si è accorto delle grandi opportunità che poteva
dare al proprio vivere riconoscendo eguale a sé il vicino e rispettarlo, in
pratica, prendendo coscienza che era molto meglio non fare agli altri ciò che
non voleva fosse fatto a sè. Oggi questo principio è sempre più disatteso in
modo razionale e feroce. E a giustificazione si tira in ballo Dio come musa
ispiratrice o la necessità di fare semplicemente il proprio interesse non
importa come, così la forza, la violenza e la corruzione sono ormai la routine
quotidiana e il comune denominatore.
Da qui nasce la spuzza cui fa riferimento papa Francesco.
Nel mondo antico (greco, latino, ebraico, egizio), il sapiente è il dotto e
l’addottrinato, ovvero il registratore vivente della conoscenza e della
scienza, mentre il saggio è la carismatica figura di uomo dall’intelletto
illuminato che sa distinguere il bene dal male e propone la pratica del primo
per sé e per gli altri, cioè, è colui che ha chiaro il senso e il valore della
vita.( *) Si deduce che sapienza (o conoscenza) e saggezza non sono sinonimi e convivono
nella stessa persona sempre più raramente, anche se gli odierni vocabolari dei
sinonimi e dei contrari, facendo un po’ di confusione, le mettono insieme.
Il medesimo errore lo hanno commesso gli
esperti dell’evoluzionismo che, sintetizzando e schematizzando troppo, non
hanno voluto o saputo cogliere il distinguo
concettuale dei due vocaboli: ai nostri antichi non sarebbe successo,
tanto era esplicito.
L’amara conclusione suggerisce che l’uomo dell’oggi è certamente molto abile,ma
punto sapiente e saggio, ovvero è un incosciente autolesionista che non si
preoccupa del presente nè di proteggere per le future generazioni il pianeta
che lo ospita nè, ancor peggio, di dare un senso compiuto alla propria
esistenza riscoprendo ciò che ci distingue dai nostri compagni del regno
animale: l’ansia e la speranza di eternità che ci portiamo dentro.
Sant’Agostino, rimproverandosi per l’errore perseverato a lungo, sosteneva che
solo quando ha smesso di cercarla fuori e si è rivolto a conoscere il suo dentro,
ha trovato la Verità. Agostino, caratterialmente
ansioso, era sempre proteso alla ricerca di certezze incondizionate, mentre il
contemporaneo si lascia prendere in toto dal
provvisorio che mediaticamente muta ogni giorno. Gli acquedotti romani erano
costruiti per durare perfettamente funzionanti secoli e secoli, i televisori,
come i frigoriferi o i tablet, al contrario, per 8-10mila ore, le lampadine per
2-3mila ore, il lavoro a tempo con garanzie crescenti e così via. Siamo al
trionfo del fuggevole transitorio e ci muoviamo come i gamberi. Se l’uomo, come
cartina al tornasole o termometro, fosse in grado di chiedersi correttamente quanto
si senta Intimamente soddisfatto, sereno e in armonia con se stesso, le
risposte sarebbero semplicemente drammatiche.
Con bonaria severità mio padre mi suggeriva di farmi la barba tutte le mattine,
perché era l’occasione unica per guardarmi negli occhi allo specchio e
riflettere prima di dare inizio al giorno. Vivere alla giornata dando
spasmodica priorità al proprio tornaconto materiale mi fa pensare al convulso,
stressante, agitato, tormentato e ansante aggirarsi della faina, con la bocca
già colma di saliva, intorno alla rete del pollaio alla ricerca di un pertugio
per entrare. Un po’ misero come obiettivo esistenziale per l’homo sapiens sapiens, che con “ profonda
umiltà” si ritiene maturo per il terzo sapiens.
NOTA. (*) Lo storico latino
Sallustio nel Bellum iugurthinum ( 43 - 40 a.C.) ci
offre la migliore testimonianza di uomo saggio, quando dal suo letto di morte Massinissa,
re di Numidia (Tunisia), rivolge questo pressante invito, ovviamente inascoltato,
ai suoi tre figli-eredi: “Concordia parvae res crescunt, discordia
maxumae dilabuntur” (con la concordia le piccole cose crescono, con la
discordia anche le più grandi si autodistruggono).
Se sostituissimo concordia con caritate (amore) avremmo un perfetto e
attualissimo suggerimento evangelico, comunque andrebbe bene anche l’originale
sallustiano in Palestina, Siria, Iraq, Libia, Ucraina, ecc. ecc. e non
tralasciamo l’Italia.
15-5-2015