La stessa canzone
“ ‘St’altr’anno di questa stagione noi
canteremo la stessa canzone “.
Con questa massima lunigianese e un sorriso appena abbozzato di chi la sa
lunga, nonna Filò liquidava la scarsa propensione dei più ai cambiamenti veri.
Trovo efficace e puntuale il riferimento all’immagine canora. Circolano ed
hanno, ahimè, successo e seguito in Italia e non soltanto, parecchi, chiamiamoli
cantautori che, strimpellando mediocri motivetti arrangiati con ritmi e tempi
differenti, li spacciano per le attese grandi novità. Non di rado, affidati - i
motivetti, s’intende - alle potenzialità timbrico-sonore della grande orchestra
mediatica, si tenta quel salto di qualità di cui sono tanto bisognevoli: in
questo caso, sia i motivetti che i loro autori.
All’operazione un po’ camaleontesca il successo sembra garantito: è la sua
durata a tradire talvolta gli incauti resi arditi dall’effimera notorietà e
oltremodo persuasi della propria creatività.
Comunque, immensa è la capacità di galleggiamento di costoro nel giro
che conta. I nomi li conosciamo tutti. Nascondere l’immobilismo più totale e
l’incompetenza dietro retorici proponimenti o progetti di verbosa vacuità,
dichiararsi certi della giustezza delle proprie posizioni senza specificare
sulla base di quali elementi probatori, ma semplicemente perché è improponibile
trovarsi dalla parte sbagliata per dogma di fede - e la fede non è ragione - è
la costante dell’operatore politico
(vedi gli occupanti delle Istituzioni comunitarie e nazionali).
Tanti, agnostici o del tutto indifferenti, per abbandonare lo scomodo stato di
dubbio nella ricerca della verità, sembrano voler utilizzare una sola via di
uscita: sposare questa o quella fede pur di sentire il possesso di una verità,
che non tranquillizza, che non scioglie i perché, ma che ti offre la
consapevolezza e la forza dell’appartenenza ad un gruppo dotatosi di fede
propria. E’ possibile che esistano
sempre tante verità così contrapposte da non lasciare intravedere punti comuni,
seppure espressi e interpretati in modi diversi? E’ possibile che il meglio per gli uni sia
per gli altri la peggiore proposta immaginabile? Qualche esempio? Mi sento soffocato dal
numero.
I professori bocconiani, economisti di fama internazionale o gli ordinari di
Diritto del lavoro che pasticciano sui tagli delle pensioni degli altri (però),
come i mediocri studentelli che bocciano senza pietà con atteggiamenti di
supponenza, non di severità. Chi grida ai buchi del bilancio e chi li nega o ne
rigetta la responsabilità oggettiva ai predecessori, pur continuando a fare
come loro.
Da una parte s’inneggia alla ripresa economica ormai avviata solo perché il
dato statistico di un trimestre indica un +0,2% o l’occupazione tra le entrate
e le uscite è in crescita di 571 unità tra le imprese artigiane italiane e
aumentano le assunzioni incentivate a tempo indeterminato, ma rappresentano
solo la stabilizzazione di dipendenti precari o a progetto, dall’altra si
ironizza sulla consistenza risibile dei numeri e sembrano avere ragione, perché
la disoccupazione non ha invertito la tendenza, specie tra i giovani, e la
ripresa, se c’è, non porta con sé posti di lavoro e, allora, a che serve e a
chi serve? La Rai imparziale nell’informazione, d’un tratto non lo è più o
viceversa, per cui va riformata, ma con criteri opposti e di comodo. La
giustizia è ritenuta più giusta o meno a seconda del momento politico, della
convenienza, di chi colpisce e quando. Abbiamo una nuova categoria politica,
quella degli Impresentabili che con disinvoltura continuano a presentarsi.
Il principio di maggioranza e minoranza
come metodo di governo è imperfetto poiché è un dato statistico basato sul
calcolo delle probabilità, ma al momento è l’unico possibile e accettato per la
gestione della cosa pubblica: oggi
nei partiti e nel governo chi ha idee divergenti si sente moralmente
autorizzato a usare ogni forma di ostruzionismo e non pensa minimamente ad
accettare l’espressa volontà dei più. Ogni argomento affrontato dal nostro
Parlamento scatena risse incresciose, polemiche infinite che gettano in un
angolo le ragioni del buon governo. Soprattutto, ferendo la dignità delle
Istituzioni, si determina un clima di delegittimazione dal quale ciascuno si
sente, invece, legittimato a fare i propri comodi, pardòn, i propri interessi divenuti legittimi: le lobby
imprenditoriali, piangendo lacrime invereconde, impegnate a trarre vantaggi
economici e di potere, riappropriandosi anche dei diritti acquisiti dal lavoro
dipendente; i finanzieri a usare i paradisi fiscali per inseguire profitti amorali;
l’evasione fiscale appare una procedura doverosa; la concussione e la
corruzione endemica (primi in Europa) sanno di poter prosperare in zona franca
dentro le istituzioni; la raccomandazione, il sommerso, il lavoro nero, lo
spreco di denaro con le infinite e scandalose incompiute (bastano quelle
quotidianamente mostrate da ‘Striscia la notizia’) e quant’altro possono
proliferare impunemente.
Il filo di ideali che normalmente unisce e dà le motivazioni forti per
sostenere una casa comune, si è così sfilacciato da ritenere superfluo, se non
obsoleto, perfino un gesto simbolico come il canto dell’inno nazionale. E’ più
grave l’ostracismo dei calciatori a cantare o il tirarsi epiteti, insulti e
pugni nelle aule della Camera e del Senato?
I primi, è cosa nota, sono dei mercenari a caccia di ingaggi da
paperoni, i secondi - sebbene tante le perplessità sui meriti e competenze
- sono i rappresentanti democraticamente eletti di un popolo che,
nonostante tutto, non ha ancora abiurato
alla dignità di qualche diritto, primo fra tutti, quello di essere rispettato
dai suoi eletti a qualunque schieramento appartengano.
I mesi in arrivo non lasciano spazio all’ottimismo, perché “il cambio di passo”, “lo sprint vincente” vengono con
scaltrezza enfatizzati, ma nella realtà spostati sempre più in là.
Certi personaggi dopo 40-50 anni di attività politica si sentono ancora ”i nuovi”.
Da quando è nato, oltre trent’anni fa, il Dixan, sulla scatola, porta sempre
scritto ‘Nuovo’: ma almeno lui funziona. I giovani, poi, sono così rampanti ed
aggressivi per la fretta di arrivare da suscitare più di un timore.
Cara nonna Filò come sei stata veramente profetica! Peccato che ti ho persa
troppo presto.