Le decisioni prese dal Concilio a “grandissima maggioranza” (il
virgolettato è per ricordare gli
spicciativi metodi di persuasione di Costantino) sono essenzialmente
tre:
1) In mancanza di un’autorità verticistica, ogni provincia ecclesiastica
(spesso coincidente con quella civile) aveva elaborato una propria
dichiarazione di fede (es.: il Simbolo
degli apostoli che nell’odierna liturgia della Chiesa latina si usa nel
periodo quaresimale fino alla Pentecoste), così Eusebio di Cesarea propone di
predisporre una dichiarazione di fede unica per tutti; nasce così il Simbolo niceno o Credo niceno, che
contiene in sintesi tutte le verità di fede cui ogni cristiano deve fare
riferimento. Recependo le deliberazioni dei padri conciliari, stabilisce la
dottrina della consustanzialità del Padre e del Figlio, cioè, nega che il
Figlio sia creato (genitum, non factum)
e che la sua esistenza sia posteriore al Padre, ma ante omnia saecula (prima di tutti i secoli, cioè fuori dal tempo
che è segno di non-infinito). In
questo modo l’arianesimo che si rifaceva, come detto, al concetto aristotelico
di infinità e unicità, viene negato e respinto senza appello. Inoltre è
ribadita l’incarnazione, morte e resurrezione di Cristo, in contrapposizione
alle teorie gnostiche, molto presenti in diverse comunità cristiane,
negazioniste della crocifissione.
2) Viene dichiarata e riconosciuta la nascita virginale di Gesù, definita così
nel Simbolo niceno: “Gesù nacque da Maria
Vergine”. Nonostante il Vangelo di Marco sia esplicito, si ritiene
opportuno ribadire il concetto teologico in un documento conciliare.
3) Viene condannato come eretico in toto il
pensiero cristologico di Ario, che ritiene Gesù privo della stessa natura
divina del Padre.
Il documento conclusivo porta come prima firma quella del rappresentante
imperiale, il vescovo Osio, e subito dopo quelle dei due legati di papa
Silvestro, a conferma che alla Chiesa di Roma si comincia a riservare un segno
referenziale, ma non ancora di primato. Soltanto i due vescovi citati nella
puntata precedente negano la firma nonostante le pressioni minacciose di
Costantino e vengono allontanati dalle loro sedi episcopali.
Le altre decisioni prese hanno lo scopo
di uniformare e armonizzare il funzionamento delle comunità, la liturgia e la
disciplina: in sostanza è il primo tentativo ecumenico di dare un segnale forte
di unità anche su questioni extra dottrinali. Molto importante è l’unanimità di
consenso sul metodo per stabilire la data della Pasqua finora celebrata secondo
la tradizione. “Sembra cosa indegna che
nella celebrazione di questa santissima festa si debba seguire la pratica dei
Giudei…” (Eusebio di Cesarea). “E’
improprio seguire i costumi dei Giudei nella celebrazione della Pasqua” (Teodoreto di Cirro). La crocifissione e la resurrezione di Gesù
avvengono in occasione della festa ebraica: per evitare che le due Pasque
coincidano si decide di fissare per tutti la Pasqua cristiana alla prima
domenica dopo il plenilunio successivo all’equinozio di primavera. Una lettera
fatta circolare in occasione della prima festa di Pasqua con le nuove norme
sulla data, annuncia con gioia la raggiunta unità di fatto dell’intera Chiesa.
Vengono stabiliti anche 20 canoni (regole o leggi ecclesiastiche) su argomenti
di natura disciplinare e regolamentare. Ne cito alcuni:
1)
Proibizione all’autocastrazione, suggerita e
attuata per eliminare le tentazioni della carne;
3) Proibizione della presenza di donne
nell’abitazione di un chierico (le cosidette virgines subintroductae);
4) Ordinazione di un vescovo in presenza di
almeno tre episcopi della provincia ecclesiastica e conferma del metropolita;
5) Obbligo di tenere almeno due sinodi
all’anno in ciascuna provincia;
6) Preminenza dei vescovi di Roma e di
Alessandria;
15) Proibizione di trasferimento di episcopi e di
presbiteri dalle loro città;
17) Proibizione all’usura da parte dei chierici;
19) Dichiarazione che le donne diacono sono da considerarsi come i laici, cioè
non hanno alcun ruolo consacrato;
20) Proibizione
di inginocchiarsi durante la liturgia della domenica e nei giorni pasquali fino
alla Pentecoste.
Alcuni di questi canoni sono comuni a quelli del Concilio/Sinodo di Arles a
dimostrazione di quanto sia sentita l’esigenza di fare ordine e unità. Con
Nicea è si comincia a porre fine alla fase delle comunità organizzate col
metodo “fai da te”: ormai l’enorme diffusione della nuova fede non lascia più
spazio allo spontaneismo dottrinale, organizzativo e liturgico.
L’imperatore Costantino si fa carico di trasmettere e far pervenire il
documento conclusivo, contenente il Credo di Nicea e i venti canoni, a tutti i
vescovi invitandoli ad accettare le decisioni del Concilio per il bene
dell’unità della Chiesa, sotto la minaccia della destituzione e
dell’esilio. Allora questi metodi erano
molto in voga, perché ritenuti adeguatamente persuasivi. Paradossalmente in
breve tempo gli ariani e le altre sette condannate come eretiche riguadagnano la
libertà di azione e i diritti perduti, soprattutto per merito di Eusebio di
Nicomedia (firmatario solo per non perdere il posto e non andare in esilio),
che ben introdotto a Corte, usa tutta la sua influenza per spostare il favore
di Costantino verso i vescovi ariani che vengono reintegrati nelle loro sedi
episcopali, mentre i più ascoltati sostenitori dell’homooùsion vengono deposti ed esiliati: Eustazio di Antiochia,
Atanasio di Alessandria (padre della Chiesa), Marcello di Ancira. Ario dal suo
esilio in Illiria (Dalmazia) si prepara a tornare a Costantinopoli (nel
frattempo fondata e costruita come nuova capitale dell’Impero) per essere
riaccolto nella Chiesa, ma muore nel 336. Nel 337 muore anche il voltagabbana
Costantino dopo aver ricevuto il battesimo, molto probabilmente, da un vescovo
ariano.