LE GRAFFIATURE di Ratti Antonio
NON
C’INDURRE IN TENTAZIONE
Se il buon Dio, che per
amore ha riaperto la via del Cielo offrendoci il Figlio Gesù, non può indurre
in tentazione le sue creature, allora, è la nostra arroganza a farlo. Ne
consegue, credo, che il senso del “non
c’indurre in tentazione “ del Padre Nostro vada ricercato:
·
nell’autocertificazione di sentirsi
specificatamente chiamato, quindi eletto, anziché solamente fortunato per il
dono ricevuto, pertanto senza merito alcuno;
·
nell’umana presunzione di sapere sempre
parlare, agire e giudicare in nome e per conto di Dio;
·
nel convincimento di conoscere e di saper
dire le cose di Dio e, invece, troppo
spesso, sono solo le nostre povere cose, magari, o talvolta, dette bene;
·
nella suggestiva convinzione di avere sempre
sul capo - e anche dentro - la colomba dello Spirito Santo e, invece,
potrebbe essere il banale piccione della nostra immodestia;
·
nell’autoconvinzione che il nostro “masticar delle cose di Dio” coincida con il pensiero di Dio;
·
nella personale giustificazione e
autoassoluzione del nostro pensare e fare, perché succubi del nostro “amor proprio”;
·
nella certezza, infine, di essere certo….
solo perché se ne parla.
Conclusione: c’è troppa autoreferenzialità nel
gestire la nostra fede e il Padre nostro
ce lo ricorda con un’espressione estremamente precisa e decisa che non ammette
dubbi né titubanze, poiché il rischio, che la fede diventi la nostra esca e
trappola, insieme, per un approccio sbagliato alla medesima, è dietro
l’angolo. Mi pare che, oltre a Gesù,
mentre insegnava la sua preghiera agli apostoli, anche papa Francesco cerchi,
in ogni modo e con insistenza, di metterci in guardia da questa devianza
subdola quanto grave.
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