Nei primi quattro secoli di
cammino della Chiesa il problema dei problemi dottrinali è il mistero
trinitario. L’imperante cultura greco-ellenistica, per sua natura portata alla
speculazione filosofica, stimola a darsi sempre una soluzione razionale che
soddisfi l’esigenza di capire l’essenza delle cose. Così la natura o le nature
di Gesù diventano l’oggetto primario di defatiganti ricerche e riflessioni. Per
capire il filo logico che porta al Concilio di Nicea occorre partire dalle
Scritture.
Nell’Esodo è scritto: “Dio pronunciò
tutte queste parole: Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altri dei di fronte
a me. Non ti darai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di
quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sottoterra… Non ti
prostrerai dinnanzi a loro e non li servirai, perché io, il Signore, sono il
tuo Dio”, e aggiunge che è geloso
e tiene in modo assoluto alla sua unicità. Accanto a questa definitiva
affermazione di unicità nel Nuovo Testamento sono presenti alcune teofanie
(manifestazioni di Dio) nelle quali Dio dichiara Gesù essere il Figlio amato
nel quale si è compiaciuto (es.: la trasfigurazione sul monte Tabor alla
presenza di alcuni Apostoli e il battesimo di Gesù nel Giordano). Molte volte
Gesù parla della missione salvifica verso l’umanità affidatagli dal Padre e
dichiara la sua figliolanza con Dio-Padre, in modo particolare durante la
preghiera nell’orto del Getsemani e sulla croce. L’arcangelo Gabriele tranquillizza
Maria rimarcando che il figlio che partorirà non è opera di uomo, ma dello
Spirito di Dio. Gesù offre agli Apostoli la garanzia di far superare le loro fragilità, quali pescatori
di uomini, attraverso lo Spirito (le lingue di fuoco della Pentecoste) che sarà
la guida sicura nel cammino di salvezza per ogni credente.
Su questi punti, che per brevità ho solo citato, anche perché noti a ogni
cristiano, non possono sorgere dubbi. Ma, se abbiamo un Padre, un Figlio e uno
Spirito, come possiamo sostenere l’unicità di Dio? Ci troviamo di fronte ad una
mini forma di politeismo? Per dare forza all’unicità, indivisibilità e infinità
divina prende il via una delle più accese e ricche discussioni tra i teologi
più influenti e i patriarcati di Antiochia e Alessandria, perché appare chiaro
che è in gioco il valore e la credibilità dell’opera di salvezza messa in
essere da Dio-Padre attraverso il Figlio, Gesù. L’ipotesi più semplicistica è
proposta dal Sabellianismo (dal presbitero libico Sabellio) e dal Modalismo, i
quali sostengono che le persone trinitarie altro non sono che tre modi di
proporsi dell’unica sostanza che è Dio (*).
Il presbitero alessandrino di origine berbera, Ario, che si era formato alla
scuola di Luciano di Antiochia di Siria, bolla senza mezzi termini le tesi di
Sabellio e affronta la questione con delle argomentazioni che è più difficile
contestare e contrastare. Partendo dalle Scritture afferma che Dio è unico,
eterno e indivisibile, quindi il Figlio, in quanto generato non può essere considerato
uguale al Padre, perché la natura divina è unica e indivisibile. Inoltre,
essendo generato, vi è stato un momento in cui non era, quindi non può essere
co-eterno col Padre, perché la natura divina è di per sé eterna, unica e
indivisibile. In caso contrario si cadrebbe, come detto, in una condizione
analoga al politeismo pagano. Ario non
nega la Trinità, ma subordina il Figlio al Padre che lo ha generato, pertanto
rifiuta la consustanzialità (homousia)
tra le persone trinitarie; dunque, Gesù è una sorta di figura intermedia,
sicuramente non identificabile con Dio, al quale, però, è stato affidato dal
Padre il compito di realizzare il progetto di salvezza dell’umanità (il Messia
delle Scritture).
Il seguente è il primo dubbio che sorge immediatamente sulla tesi di Ario: può
il sacrificio di un “non Dio” garantire la salvezza all’intera umanità? Ridurre
Gesù ad un Ercole e alle sue dodici fatiche, mi sembra veramente una
scorciatoia poco attendibile teologicamente e anche razionalmente. Oggi la
biologia ci dice che il figlio porta con sé il DNA del padre, cioè la stessa
sostanza del padre, quindi la Trinità, a maggior ragione, può essere costituita
da tre persone aventi la stessa sostanza e natura. Il povero Ario non poteva
conoscere il DNA e non ha potuto farsi aiutare dalla biologia. Se questa descritta è la sintesi delle
dispute dottrinali, non vanno assolutamente dimenticate le ripercussioni
negative all’interno delle comunità cristiane: la discussione sulle varie
posizioni sfocia spesso in ostilità personali e disordine nella guida e
gestione delle diocesi. Per esempio, ad Alessandria si arriva ad alternare un
patriarca ariano a uno non ariano. Le conseguenze sono ovvie e immaginabili.
Com’era accaduto per la Chiesa latina con il Concilio di Arles, Costantino,
divenuto nel frattempo unico imperatore di Oriente e Occidente (324), si
mantiene coerente con la sua volontà e necessità politica di pretendere una
Chiesa forte e coesa. Così, anche su sollecitazione dei patriarcati di
Antiochia e di Alessandria, protagonisti della disputa, prende la decisione di
convocare un Concilio ecumenico nella sua reggia di Nicea (la residenza
abituale era nella vicina Nicomedia) e delega al vescovo spagnolo Osio, suo
fidato consigliere per gli affari del culto, l’organizzazione dell’assemblea
che vuole veramente universale; difatti, quello di Nicea è riconosciuto come il
primo Concilio ecumenico nella storia della Chiesa cristiana. (fine prima parte)
Nota.
(*)Per Sabellio la Trinità è una successione di modi di essere dell’unica
essenza: Padre nell’Antico Testamento, Figlio nella redenzione, Spirito
nell’azione carismatica.
Il sabellianismo è detto patripassionismo,
perché è il Padre che soffre come Figlio.