Negli
ultimi giorni due editoriali di altrettanti quotidiani, certo molto diversi tra
loro, si sono soffermati su un aspetto del pontificato di Francesco, la
comunicazione. Mi riferisco all’articolo di don Maurizio Patriciello su
“Avvenire”, che fa riferimento alla “Fantasia
di Dio”, e a quello di Peppino Ortoleva, noto esperto di mass media, che in
prima pagina sul “Secolo XIX” definisce quello del Papa un “linguaggio da popolano”. Non c’è dubbio
che su questo tema si concentri ormai da quasi due anni, cioè dal giorno
dell’inattesa elezione di Jorge Bergoglio, l’attenzione un po’ di tutti, degli
esperti ma anche delle persone comuni, e dunque questo suggerisce più di una
riflessione a noi operatori della comunicazione sociale, oggi riuniti dal
nostro vescovo in occasione della festa di san Francesco di Sales, patrono dei
giornalisti.
Il rapporto tra i Papi e i mass media è un tema importante almeno da un secolo
a questa parte. Ogni pontefice lo ha interpretato in maniera propria, apportando
delle innovazioni, sempre in linea – e qualche volta in anticipo – con
l’evoluzione formidabile dei mezzi della comunicazione sociale. Quando nel
pomeriggio del 12 febbraio 1931 Guglielmo Marconi pronunciò il suo saluto a Pio
XI in occasione dell’inaugurazione della Radio Vaticana, egli disse tra
l’altro: “Per circa venti secoli il
Pontefice Romano ha fatto sentire la parola del suo divino magistero nel
mondo; ma questa è la prima volta che la sua viva voce può essere percepita
simultaneamente su tutta la superficie della Terra”. L’insegnamento del
Papa, dunque, restava il medesimo da venti secoli a questa parte, ma la novità,
che divenne via via più poderosa (pensiamo che quel giorno Pio XI, rispondendo
a Marconi, parlò in latino !), era rappresentata dalla forma con cui quel magistero veniva comunicato a masse sempre più
grandi di popolazione. Ogni successore di Pietro interpretò quell’opportunità
alla luce dei tempi in evoluzione. Pio XII, ad esempio, non prigioniero in
Vaticano, ma certo impedito a causa della guerra ad esercitare appieno il suo
ministero, utilizzò la radio per i celebri messaggi natalizi, vere e proprie
mini-encicliche nelle quali non solo si chiedeva la pace, ma si delineava la
struttura di un nuovo ordine mondiale. Paolo VI, a partire dal luglio 1963,
primo anno di pontificato, avviò la consuetudine di pronunciare un breve
pensiero in occasione dell’Angelus
domenicale (prima c’era solo la preghiera), pensiero diffuso in simultanea nel
mondo da radio e televisioni. Giovanni Paolo I, al suo primo Angelus, il giorno seguente alla sua
elezione, stupì il mondo parlando di se stesso in prima persona singolare (“Ieri, mentre andavo alla Sistina …”), e
non con il tradizionale “noi”. Giovanni Paolo II, che doveva far capire subito
ai romani e al mondo di che pasta fosse fatto, innovò ancora: non solo confermò
l’”io” al posto del “noi”, ma pronunciò la sera stessa dell’elezione (anche
questa una prima volta in assoluto !), la frase passata alla storia: “Se sbaglio, mi corrigerete”. Benedetto
XVI confermò quelle innovazioni, e fece pronunciare l’”Habemus Papam” del cardinale protodiacono con l’introduzione nelle
principali lingue moderne. E poi fu il primo Papa ad utilizzare Twitter. Infine, il 13 marzo 2013, siamo
arrivati allo straordinario “Buonasera !”
di Papa Francesco: un cammino lento, dunque, ma continuo, con innovazioni
sempre in linea con i tempi, ma sempre anche in linea con le esperienze che le
avevano precedute.
Anche i successivi e ripetuti interventi di Francesco, specie nei dialoghi
diretti con i giornalisti, vanno interpretati in questo modo, un modo
innovativo, a volte forse persino rischioso (per i sempre possibili
fraintendimenti), ma capace di fare tanto bene, nel senso di rendere il
messaggio alla portata davvero di tutti. Del resto, non faceva così anche il
Gesù dei Vangeli ? Pensiamo ad un episodio che, al giorno d’oggi, sarebbe stato
una ghiotta occasione di cronaca, quello della mancata lapidazione
dell’adultera, raccontato da Giovanni. Quando coloro che dovevano processarla,
uno dopo l’altro, si allontanano, Gesù le chiede se nessuno l’avesse condannata.
Alla risposta negativa della donna, egli risponde: “Neanche io ti condanno”. Ma poi subito aggiunge: “Va e non peccare più”.
Ecco, fosse stato presente il cronista di un quotidiano di Gerusalemme
vicino alle posizioni del Sinedrio (niente di più facile, al giorno d’oggi),
avrebbe potuto titolare, come in uno scoop: “Gesù Cristo difende un’adultera”. Ma le frasi di Gesù sono state
due, e la seconda è complementare alla prima, e già propone la distinzione, cui
la Chiesa è stata sempre fedele, tra peccato e peccatore. Il peccato c’è e
rimane tale, il peccatore può fare tesoro di un gesto di misericordia. Bene,
non è diverso quello che a volte accade a proposito di interviste o prese di
posizione del Papa e della Chiesa, e questo richiama alla grande responsabilità
di chi fa comunicazione.
Nelle parole del Papa non c'è cambio di dottrina, ma dialogo e interazione con
lo sviluppo dei mezzi di comunicazione. I media cambiano la comunicazione del
Papa, ma è anche il Papa che indica ai media la strada del cambiamento nella
responsabilità. In questo modo egli fa crescere il mondo della comunicazione, e
questo mondo, quale che sia il suo orientamento, gliene deve essere grato.
(Sintesi
dell’intervento tenuto alla Spezia il 23 gennaio u. s. in occasione della festa
di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti)