Questa prosa fa parte del
racconto ‘Tutti i sorrisi di Grazia’, edito dalla Casa editrice Golden Press di
Genova, in quanto vincitore, nella sezione racconti, del premio letterario
l’Incontro, ed. 2009, indetto dalla stessa Casa editrice. Il racconto è stato
classificato primo con la seguente motivazione. “La narrazione articola,
intorno ad una vicenda minima e gioiosa, l’evocazione di un mondo incantevole,
facendo ricorso ad un descrittivismo gustoso e affascinante. La vita contadina,
spogliata di nostalgie passatiste e nel contempo dagli orrori inaccettabili a
cui solitamente viene accostata, assume in tempi vicini ai nostri una reale
alternativa di riconquista della misura esistenziale, in una ragionevole
rivalutazione di ciò che conta. La protagonista femminile è ritratta con la
dovuta attenzione novellistica e risplende, negli aspetti fisici quanto nella
puntigliosa caratterizzazione interiore, quale centro di un bozzetto felice,
lontano da sovrastrutture sociali o sociologiche e da complicanze fuorvianti.
Una maniera diversa e profonda per scrutare brevemente la dimenticata
semplicità della vita”.
La
giornata del primo maggio, appunto… Ma
chi lo avrebbe detto che sarebbe finita così, mentre loro due, lei, Grazia, e
Armanda, l’amica coetanea, ritornate, per l’occasione, due giocherellone
allegre e scanzonate, come ai tempi delle scuole medie, in cui erano nel banco
insieme, giravano per la fiera, ammirando e destando ammirazione, per quanto
era possibile in quella angosciosa ressa di gente?!
Poi ad una cert’ora, Armanda aveva voluto accompagnare a casa l’amica: A
rinfrancarci alquanto nelle pace della tua campagna!”. Giunsero, che i genitori
di Grazia erano già tornati. Fu a quel momento che il babbo informò la figlia
che Antonio avrebbe cenato da loro, a mangiare pecorino e fave. Mentre loro
arrivavano, lui, infatti, il babbo, ritornava dall’orto con il paniere delle
fave: baccelli lunghi e snelli, pieni di frutto, profumati di verde: “Lo sapete
chi viene a cena stasera?”. Poi, di fronte alla curiosità delle ragazze,
raccontò brevemente: “Ci siamo incontrati con Antonio su in fiera… Abbiamo
parlato di fave, che ai banchi delle verdure ce n’erano a montagne e che tutti
ne comperavano, e che anche noi ce le avevamo, tante e belle; e lo abbiamo
invitato a mangiarle questa sera… Per farlo decidere per il sì abbiamo
insistito… E finalmente ha ceduto…”. Quindi, rivolto ad Armanda: “E anche lei,
signorina Armanda, se si vuol fermare a cena con noi, staremo bene tutti
insieme…”. Ma Armanda si scusò… Anche loro erano a cena da amici… E lei doveva
andare, che era già tardi… Poi, quando le due amiche furono di nuovo sole, a tu
per tu per salutarsi, Armanda disse: “Se mi fermassi sarei un’intrusa, ti
disturberei… Io lo vedo già. Questa se-séra ti fa-fàrà la dichiarazione e
tutt’insieme chiederà la tua ma-màno”. E le due ragazze risero. E il suono si
propagò fresco nel tiepido silenzio della campagna, che era vicina
all’imbrunire. Ma i due cuori che ridevano non ridevano con la stessa spassionata
indifferenza.
Antonio, dunque, non era riuscito a dire di no. Infatti, mentre cercava di
declinare l’invito (e lo aveva fatto tutto d’un fiato, col terrore di
incespicare: “Oh, signor Fernando e signora Bruna, voi mi confondete… Sarò di
disturbo a voi e alla signorina Grazia, che avrà i suoi amici da invitare…),
aveva nella mente la figura di Grazia. Che se la portava sempre appresso nelle
sue faccende durante il giorno e nei suoi sogni durante la notte. Da quant’era
che ne era innamorato? Gli sembrava da sempre. Certamente da quando si
incontravano alla fermata dello scuolabus; e che poi, fin che la macchina non
arrivava, lei giocava con il suo Rustico; mentre lui, in disparte, ignorato e
silenzioso, ascoltava la voce di lei così sciolta e argentina; e ne contemplava
la personcina; che era graziosa e piena di seduzioni, proprio in armonia con il
nome di Grazia con cui la chiamavano.
Lui era poco più che bambino, ma la figura di lei gli entrò dentro, nel cuore,
e non se ne poté liberare più; e a mano a mano che passava il tempo e che lei
diventava sempre più bella e più donna il suo sentimento diveniva sempre più
ostinato. Ed ora che lei era nella piena luce dei suoi diciotto anni, e lui ne
aveva ventuno, avrebbe voluto… magari fermarla e dirle: Grazia, io…”. Ma il
pensiero che certo avrebbe incespicato, lo dissuadeva da ogni tentativo di
dichiarazione d’amore. Anche se… A volte
provava a ripetersi la frase fra sé e sé; e allora le parole uscivano sicure e
limpide dalle sue labbra, senza l’impuntatura…
Fra sé e sé… Ma, in presenza di lei, mentre lei magari lo guardava oppure gli
sorrideva, cosa sarebbe successo? Come se la sarebbe cavata? Comunque,
nonostante le previsioni non troppo ottimistiche, la seduzione dell’occasione
fu più forte della paura.
Per cui, quando si separarono, loro, i genitori, andarono per un chilo di
porchetta, da aggiungere al pecorino, che era già in casa… E Antonio al banco
dei dolci, per un presente ai suoi ospiti… Era confuso e non sapeva cosa
prendere. Qui, dopo l’emozione, la sua balbuzie esplose in tutta la sua
crudezza. Gli tremavano anche le gambe.
E i venditori che si erano accorti del disagio (ma non pensavano che fosse
angoscia d’amore… La franchezza dei giovanotti d’oggi!), lo aiutarono,
indicandogli le varie specialità sul banco: brigidini, zucchero filato,
cioccolato delle varie qualità, torrone classico, oppure morbido, croccante di
nocciole, di mandorle, lupini salati… Finalmente (più che a dire riuscì ad
indicare) si fece preparare una confezione di specialità assortite.
E così, bisognava darsi da fare per l’ora di cena. Nessuno oramai in casa
ignorava che quella serata, nata quasi per caso, sarebbe stata una serata
importante. Tutti a parole si mostravano indifferenti; e dialogavano fra loro,
come se a venire a cena fosse un semplice amico abituale. Ma nei fatti ciascuno
si comportava come se l’invitato fosse un ospite di grande riguardo e che dalle
sue parole dipendesse l’avvenire della piccola famiglia.
Il babbo, che aveva raccolto le fave, le lavò, in modo che ciascuno potesse
mangiarle sbucciandosele di persona; poi le mise sul tavolo in due cestini, a
portata di mano dei quattro commensali; pulì il pecorino e lo affettò; lo mise
in due piatti; lo stesso fece con la porchetta e per il pane; scelse il vino
migliore bianco e rosso. Grazia (amor che a nullo amato…, andando in giro per
la cucina non lo sentiva balbettare; ma aveva davanti agli occhi quel suo corpo
alto e slanciato di uomo nel pieno fiorire della sua gioventù; e quella sua
figura già così dolcemente austera del nobile contadino; e quel suo sorriso
buono, quando veniva qui e salutava e parlava con il babbo; e quelle sue mani
aristocratiche, quando dolcemente accarezzava la morbidezza di Attila…),
Grazia… preparando la tavola con l’ampia tovaglia bianca a riquadri rossi e le
stoviglie stampate a disegni vistosi, espresse in modo semplice e spontaneo la
propria identità e quella di Antonio; la loro qualità di contadini poliziani di
antica tradizione. Mentre la massaia si preoccupava di preparare le cena normalmente
programmata: pollo e coniglio fritti, con patate fritte: “Perché lui è un
giovanotto e quando è a tavola vuole mangiare”.
Infine il giovanotto arrivò. Ammirarono i dolci artigianali (la signora era
ghiotta di torrone morbido e di cioccolato con le nocciole); li disposero
elegantemente in un piatto, accanto alla crostata che Grazia aveva preparata
per l’occasione della fiera. Poi si misero a sedere. Il babbo e la mamma uno di
fronte all’altra ai due lati brevi del tavolo; Antonio di fronte a Grazia; che
era anche la maestra della cena, ai due lati lunghi.
Parlarono, all’inizio, di cose indifferenti: della grande fiera del primo
maggio e della gente che vi affluiva da ogni parte; e della tradizione di
mangiare fave e pecorino; poi ciascuno parlò dei problemi del proprio podere,
fra cui del fatto che nel podere di Antonio le fave non avevano granito; ci
furono complimenti alla cuoca, per il suo fritto; ci furono elogi per il vino,
per il cacio, la porchetta, le fave… in un’atmosfera che voleva essere allegra
e indifferente… ma che non lo poteva essere; perché in ciascuno c’era la
tensione dei momenti importanti…e soprattutto c’era Antonio che mangiando
beveva, perché nel vino cercava un buon alleato in questa sua avventura; e, più
che conversare, guardava; guardava Grazia; e in quegli sguardi, assieme allo
stupore di un miracolo, c’era l’angoscia dell’impotenza, che il vino esaltava;
come di chi è rivolto ad una meta che sente irraggiungibile. Poi ad un certo
punto il giovane diventò del tutto silenzioso e si raccolse in sé, come chi si
concentra per esibirsi in un supremo sforzo di trionfo finale. Tutti
nell’attesa tacquero. Grazia teneva la testa abbassata: non sapeva dove
guardare. I genitori un po’ si guardavano fra loro, un po’ guardavano al
giovane e un po’ alla ragazza. Rustico, il cane, quasi disturbato da quel
mutamento di atmosfera, rimarcò il momento, con un breve abbaio sommesso. Attila,
animale divino, rimase acciambellato nella cuccia, immerso nella sua suprema
indifferenza di gatto… Finché improvvisamente Antonio si alzò in piedi ed
esordì: “Si-signor Fernando e…”. Allora: “Oh Antonio!”, esclamò Grazia;
alzandosi in piedi anche lei. Poi aggiunse: “Mamma, babbo, lo dico io quello
che sta per dire lui…”. E, di fronte alle espressioni interrogative dei
genitori e anche di Antonio, che si era fermato nel suo dire, andò dall’altra
parte del tavolo e si mise accanto al giovane, in piedi anche lei; quindi, il
cuore sgombro da ogni incertezza, prendendo su di sé, e annullandola, la
balbuzie di lui, gli occhi accesi della donna che guarda in faccia il suo
futuro e ne gioisce, disse a voce alta e bruciando ogni negativo al fuoco
dell’amore: “Io, To-tònio, a-àmo Grazia e vo-òrrei chiedere la sua ma-màno”. E i
genitori avevano gli occhi lucidi. Antonio li aveva pieni di lacrime. E lei,
dopo la dichiarazione che la sciolse, lei piangeva abbracciata a lui,
singhiozzava forte, un pianto di gioia e di liberazione.