Su un libro di storia
popolare ligure sono state pubblicate, col mio permesso, queste tre preghiere
orto novesi, con questa motivazione: “Degne di stare accanto alle grandi preghiere
medievali di Jacopone da Todi”.
La prima è questa: “Stabat Mater p’r la via / con Giovani e la Maria / ‘l Signoro i la
mireua / la Madona al sospireua. / Stabat Mater a la Kroshja / la Madona a n’à
pu voshia / e neua pu l’agh’rmon / dal doloro, da l’emozion. / Stabat Mater a
la trea (l’ora in cui morì Gesù) / ‘l Signor i dicia: ”Ohimea!”. / G’ià kinà
la testa ‘n giù / a d’è v’nu buio e an si è vist pù”.
Ma la mia preferita, per la sua
musicalità e perché contiene molti modi di dire di un tempo neanche tanto
lontano, è quest’altra. (E’ il dialogo fra un cacciatore ed una piccola
orfanella con tre fratellini, in una fredda giornata invernale).
“Paorina
ké man rossa, / ki a t’ manda p’r fuscei?/ La tu mà?”.- Risposta: “Koscì
al fosa, / a son da mé con tré fradei!”.
/ L’uomo, commosso: “La otr i pradi, otr la Zura / a so ‘n posto che d’ legna, a i né piena
na parura*!”. / Risposta: “L camin g’iè senza scorta, / ma la Zura a
d’è luntan, / ki t’ vo ka m la porta?/ I mi pè g’ièn nudi da Dio, / a son magra
e mingh’rlina, / p’r t’gnir ‘l foco vio / a m’ basta na fascina! / Se ‘l
Signoro i pensa a iushei, / i po’ scordars i mi fradei?”. E l’uomo: “E
doman cos t farà?”./ Risposta: “I
carbonin al pas’rà, / e da la gropa d la giumenta, / p’r noaltra pora genta, /
qualk toc al cask’rà! / P’r scaldar ‘l nostro coro, / g’iè ank trop ‘l mi
Signoro!”.
*(parura, da parina, è il dorsale più o meno
pianeggiante della collina)
“Poverina che mani rosse, chi è che con questo freddo ti manda per stecchi.
Quella disgraziata di tua mamma?”. “Magari! Sono sola e ho tre fratellini”.
(L’uomo si commuove, l’aiuta e le dice) “Là, oltre i Prati, oltre la Zura (due
località di Ortonovo) conosco un luogo pieno di legna buona”. “Si e vero, mi
manca la legna, ma la Zura è lontana, chi vuoi che me la porta? I miei piedi
sono nudi da Dio, sono magra e minuta, per tenere il fuoco acceso, a me basta
una fascina di legna. Se il Signore pensa agli uccelli, può dimenticarsi dei
miei fratelli?”. (L’uomo commosso): “E domani cosa farai?”. “I carbonai
passeranno, e qualche pezzo cascherà dalla giumenta. Ma comunque, per scaldare
il nostro cuore è abbastanza il mio Signore. (Era usanza dare gli scarti delle
carbonaie alla povera gente del paese).
Come potete vedere c’era un totale abbandono fatalistico alla Provvidenza
divina, proprio come nelle preghiere di Jacopone da Todi. Si pensava ad andare
avanti giorno per giorno.
“Fin
k’ a i né, viva Lulè, quand a ni n’é pu viva Gesù!”. Oppure:
“Fin a Natal va là,/ da Natal ‘n là/ fred e fam a volontà”. Del
resto i tempi brutti, proprio come i dolori del parto, si dimenticano presto: “G’ièn
com i dolori d scordon, ki s’ lasc’n ‘n t’l sacon”.
“A
leto, a leto a m n’andrò, / set santi a tro(eu)rò (eu alla frncese) / tré da
cap e quatr da pé, / ‘l Signoro arento a mé, / la Madona a dè mi mà, / san
Giusepe g’iè mi pà, / tut i santi g’ien mi fradei, / tut la santa a d’èn mi
soreda. / I man dito ka n’abia paura né d’ombra né d’shombra, / né d’ l’nferno
mi nemico, / né d’l diaolo k’ t sprofonda”.
Ma ce n’erano molte altre. Questa, si recitava davanti alle numerose
maestà: “Kuand’ a pas p’r questa via, / a t salut Vergine Maria. / A t salut
alta Regina, / tut ‘l mond a Te s’nchina. / K’ol bel frut k tà portà, / tut ‘l
mondo t’à luminà, / t’à luminà d’an’ma mia, / a t dirò tre Ave Maria”.
Quando ci si rivolgeva al Signore o alla Madonna si parlava bene, in italiano.
“A
vak ‘n leto con d’angelo p’rfeto,/ a m’entr giù kol nom d Gesù, / se domatina
an m loasa, / d’an’ma a Dio a la lasciasa, / e ‘l beato san Michelo,/ chi la pig’ia
e chi la port ‘n cielo”.
Questa, incompleta, specificava il diverso suono delle tre campane del
campanile (oggi ce ne sono due, una è sparita come l’orologio antico, finito in
un museo di Genova): “…una al son p’r i vii, una p’r i morti, una
p’r i cento Paternostri…(qualcuno la sa tutta?).
P.S. E’ morto
“Lecita” (Ezio Andreani), mio referente storico. Aveva 98 anni ed era l’ultimo
“samurai” ortonovese dell’Africa Corps. Lui e sua moglie Andreina volevano
molto bene a mia moglie, che ha frequentato la loro casa e il loro negozio fin
da ragazzina. I miei figli sempre ricordano le sue lacrime e il suo ultimo
saluto: “E’ bella anche da morta. Non poteva prendere anzi me?”. All’amata
figlia Giovanna le condoglianze mie e dei miei figli.