Il
beato Paolo VI nel 1968 istituisce la Giornata
mondiale della pace stabilendone la data il 1° gennaio di ogni anno. A
questo breve vocabolo viene attribuito un significato molto restrittivo: con la
pace non sparano i fucili e i cannoni. Al contrario, pace ha un senso e un
valore immensi, perché è sinonimo di vita, di rispetto della persona, è il
trionfo della dignità dell’uomo che sa mettere al primo posto il principio di
non fare ciò che non vuoi sia fatto a te. Con la pace l’uomo riconosce e
garantisce pari dignità e diritti al suo vicino e prossimo al quale chiede la
reciprocità dei comportamenti. Pertanto, la pace è la base della convivenza
costruttiva e propositiva: obiettivo che da sempre sembra essere il più duro da
far digerire agli umani e quindi è il più disatteso con l’aggravante di cercare
e individuare il modo di scaricare sull’altro la responsabilità della “inevitabile”
rottura. Quanto detto vale per i grandi conflitti come per i piccoli, non meno
drammatici - sia ben chiaro - che hanno come campo di battaglia l’interno delle
famiglie. I simboli che in ogni tempo e
in ogni civiltà mediterranea hanno rappresentato il dono della pace sono l’olivo
e la colomba.
La Bibbia e la mitologia greca manifestano con autonome argomentazioni tutta
l’importanza simbolica - ma anche economica - di questa pianta di poche pretese
estetiche, disponibile ad adattarsi e crescere in terreni poveri, aridi e semidesertici,
garantendo col suo minuscolo frutto un prodotto unico in assoluto. Durante gli
antichi giochi olimpici (dal 776 a.C. al 393 d.C.) che si tenevano a Olimpia,
città sacra a Zeus ed Era (Giove e Giunone), dovevano essere sospese tutte le
ostilità tra le città partecipanti e gli atleti venivano premiati con una
corona di rami d’olivo. In secoli così lontani le Olimpiadi rappresentavano, dunque,
non la giornata, ma le giornate della pace. E’ nella Bibbia che il culto
dell’olivo si manifesta ampiamente. La Genesi narra che Noè, trascorsi i 40
giorni del diluvio, per accertarsi che le acque si fossero ritirate, abbia
liberato prima un corvo e poi una colomba, che tornarono poco dopo all’arca:
era la prova che non avevano trovato nessun angolo di terra asciutta dove
posarsi. Dopo una settimana Noè libera di nuovo la colomba che torna con un
ramoscello di olivo nel becco. Da quel momento l’olivo diventa il simbolo di rigenerazione, poiché, dopo le
catastrofiche distruzioni indotte dal diluvio di acqua, la terra poteva tornare
a vivere e a fiorire, anche per opera della volontà e della fatica dell’uomo
reso consapevole del suo ruolo nella creazione e diviene simbolo di pace,
perché segno testimoniale della fine del castigo divino e della riconciliazione di Dio con gli uomini.
In quest’ottica l’olivo assurge al ruolo di pianta sacra e sacro è l’olio
ottenuto dalla semplice spremitura del suo frutto, le olive.
Come nella lucerna l’olio dà la luce che illumina le tenebre, così nei riti
dell’unzione esso accende la luce divina in colui che viene unto. Per questo re
e sacerdoti di ogni religione venivano consacrati con la cerimonia solenne
dell’unzione. Non si dimentichi che Cristo
vuol dire Unto. L’unzione avvicina al
divino e rende sacro il compito che l’unto assume. Con questo significato,
ancora oggi, in molte cerimonie liturgiche cristiane e nella somministrazione
di sacramenti come battesimo, cresima, consacrazione sacerdotale, estrema
unzione, consacrazione dell’altare, l’unzione ha un valore sostanziale.
La colomba è anch’essa segno di pace, perché è colei che porta materialmente
all’arca e consegna a Noè il ramoscello d’olivo simbolo tangibile dell’avvenuta
riconciliazione tra Dio e l’uomo (Genesi 8,11). Con infinita amarezza, dopo
millenni di storia, non ci resta che ammettere quanto questi nobili emblemi di
pace siano ancora i malinconici e sbandierati simulacri dei fallimenti
dell’uomo e dei popoli.