N° 10 - Dicembre 2014
SINODI E CONCILII
di Ratti Antonio


Il papa emerito, Benedetto XVI, da “buon” teologo, ha sempre sostenuto che la conoscenza e la ragione aiutano la fede. Infatti, la conoscenza, in senso lato e specifico sui temi che caratterizzano la fede, con l’apporto del ragionamento induce a migliorarla, poiché vengono forniti gli strumenti  per capire il senso della creazione, di cui l’uomo è parte integrante, e il senso dell’esistenza umana che non è fine a se stessa, ma è parte di un preciso progetto che offre all’uomo la certezza di uscire dalla limitatezza del tempo per accedere alla bellezza dell’infinito. Questo è un dono che dovrebbe soddisfare anche l’opportunismo più egoistico e l’ambizione più spinta. Forse Adamo ed Eva, se avessero compreso il progetto divino riservato all’uomo, non avrebbero commesso il loro peccato di presunzione estrema che l’uomo si porta addosso. E’ con l’intenzione di fare un ripasso delle personali conoscenze sul cammino, spesso complicato, della nostra comunità ecclesiale nel tempo e di trovare in esso spunti di riflessione per meglio afferrare il mistero della vita e della fede, che comincia questa nuova rubrica sui CONCILII.

 

    I CONCILII   
Il latino Concilium è l’equivalente greco di Synodòs. Termine che deriva dalla radice syn = insieme e dal sostantivo odòs = cammino. Questa origine etimologica (camminare insieme) fa capire come il Sinodo, o Concilio, sia un organismo che ha lo scopo preciso di prendere decisioni comuni per procedere insieme. Da ciò si evince l’importanza della più ampia partecipazione di tutte le componenti ecclesiali per dare il senso e la forza della colleggialità e della corresponsabilità alla vita della Chiesa.
Fin dai primi anni, dopo l’esperienza terrena di Gesù, si avverte il bisogno di porre un freno allo spontaneismo missionario foriero di personalismi pericolosi e di personali e suggestive interpretazioni del pensiero e della predicazione di Gesù (basta pensare ai Vangeli apogrifi). Ancora vivi i Discepoli si ha forte l’esigenza di dotare la Chiesa che nasce di un minimo di struttura organizzativa, di coordinare l’azione missionaria e, soprattutto, di porre la Parola in modo omogeneo, tanto che a Gerusalemme nel 49-50 d.C. si riuniscono in assemblea (partecipa anche Paolo) tutti coloro che a vario titolo hanno un ruolo nella comunità cristiana.  Ma di questa riunione, che in modo informale viene definita Concilio di Gerusalemme, parleremo in seguito. Con queste frequenti riunioni, ci troviamo di fronte all’embrionale nascita della teologia, della dogmatica, del diritto canonico, della gerarchia, della disciplina e giurisdizione ecclesiatiche, non per imporre, ma per guidare la corretta diffusione del Messaggio di Cristo tra gli ebrei e i pagani. Le sostanziali differenze tra il concetto di divinità proposto da Gesù con le forme religiose precedenti (compreso l’ebraismo) rendono più ardua la comprensione di un Dio che si presenta in modo ben diverso dal pagano Giove o dal re degli eserciti che vede e considera solo il suo popolo eletto.
E’ noto che il primo Concilio ecumenico (universale) è quello voluto e organizzato da Costantino a Nicea nel 325 d.C., ma già dal II e III sec. i vescovi di una regione o di una provincia romana sono sollecitati a riunirsi per affrontare problemi locali di varia natura (dogmatici, disciplinari, morali). Quando, per la presenza di carismatiche figure di vescovi (es. i Padri della Chiesa) o di scuole teologiche, si vengono a formare degli importanti punti di riferimento (es. Antiochia, Alessandria, Cartagine), tali assemblee sono indette e si svolgono nel territorio sotto la loro influenza che, col passare del tempo, si trasformerà in competenza giurisdizionale. Il vescovo diventerà il Metropolita di ampi territori e per alcune sedi episcopali il Patriarca. La Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea è una fonte ricchissima sul gran numero di queste riunioni precostantiniane che si svolgono nel medioriente. In una, per esempio, si discute sulle divergenze tra le varie comunità cristiane a proposito della data di celebrazione della Pasqua e sulle eretiche affermazioni del prete Montano, che in modo apocalittico predicava l’imminente fine del mondo.
Nel III sec. a Cartagine, ma non solo, perché anche Roma ne è fortemente interessata con il presbitero Novaziano, rigorista, che contesta il vescovo Cornelio (non si parla ancora di papa e di papato), indulgente come Cipriano, si ha il grosso problema dei lapsi (cioè, dei caduti): costoro hanno abiurato, sacrificando all’imperatore e agli dei pagani per sfuggire alla morte durante la persecuzione di Decio (250).  San Cipriano, vescovo di Cartagine e metropolita della provincia africana, nelle sue lettere inviate anche alla Chiesa di Roma, parla delle numerose e spesso inconcludenti riunioni sinodali a causa delle posizioni estreme in un senso e nell’altro: chi rifiuta categoricamente la riammissione, anche dopo adeguata penitenza e, magari, un nuovo battesimo, in seno alla comunità cristiana e chi, più morbido, riconosce il dovere al perdono.
Nel tempo il nome Sinodo rimane di uso comune presso le Chiese orientali, ortodosse e cattoliche, perché in quei territori la lingua greca è prevalente, mentre nelle Chiese di lingua latina si usano le espressioni Concilio locale e Concilio ecumenico, anche se talvolta per Sinodo s’intende una riunione locale e limitata a pochi vescovi. Una curiosità: dopo 15 secoli tutte le Chiese ortodosse per il 2015-16 hanno indetto un Sinodo universale superando l’atavica divisione in Chiese autocefale o nazionali.  Pochi mesi prima della chiusura del Concilio Vaticano II (8 Dic. ’65), il papa, neo-beato, Paolo VI con il motu proprio Apostolica sollecitudo del 5 settembre 1965, mette ordine sulla materia riguardante le assemblee della Chiesa di Roma. Il termine Concilio rimane come assemblea ecumenica, quindi universale, mentre configura l’istituzione del Sinodo dei vescovi come organo permanente con la finalità di rendere stabile e concreto il vincolo di comunione tra i vescovi e la loro corresponsabilità nella guida della Chiesa. I canoni da 342 a 348 del Codice di diritto canonico disciplinano la materia e stabiliscono che il Sinodo dei vescovi è un organo consultivo, mai deliberativo, di vescovi che si riuniscono sotto la diretta autorità del Pontefice:

a)    in assemblea generale ordinaria, cui partecipano i vescovi rappresentanti le Conferenze episcopali di tutto il mondo;

b)    in assemblea generale straordinaria, quando sono convocati solo alcuni vescovi a motivo della loro competenza per trattare questioni ritenute urgenti e che richiedono rapide soluzioni. (Es. quello  tenutosi a Roma sulla famiglia e terminato il 19 ottobre);

c)    in assemblea speciale, quando sono convocati i soli vescovi appartenenti ad una regione particolare o  continente per il quale viene indetto il Sinodo.
Al termine dei lavori il Pontefice trae le conclusioni pubblicando una Esortazione apostolica, ovvero una documentazione magistrale che propone a tutta la Chiesa la riflessione svolta dal Sinodo. Il medesimo Motu proprio di Paolo VI istituisce anche il Sinodo diocesano, previsto dai canoni 460-468 del Codice di diritto canonico e regolamentato dalla Istruzione sui Sinodi diocesani.
In conclusione, con Paolo VI Concilio e Sinodo non sono più sinonimi legati alla lingua latina e greca, ma diventano due distinti strumenti di colleggialità per la Chiesa di Roma e cattolica.



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