Il papa emerito, Benedetto XVI, da “buon” teologo, ha sempre sostenuto che la
conoscenza e la ragione aiutano la fede. Infatti, la conoscenza, in senso lato
e specifico sui temi che caratterizzano la fede, con l’apporto del ragionamento
induce a migliorarla, poiché vengono forniti gli strumenti per capire il senso della creazione, di cui
l’uomo è parte integrante, e il senso dell’esistenza umana che non è fine a se
stessa, ma è parte di un preciso progetto che offre all’uomo la certezza di
uscire dalla limitatezza del tempo per accedere alla bellezza dell’infinito.
Questo è un dono che dovrebbe soddisfare anche l’opportunismo più egoistico e
l’ambizione più spinta. Forse Adamo ed Eva, se avessero compreso il progetto
divino riservato all’uomo, non avrebbero commesso il loro peccato di
presunzione estrema che l’uomo si porta addosso. E’ con l’intenzione di fare un
ripasso delle personali conoscenze sul cammino, spesso complicato, della nostra
comunità ecclesiale nel tempo e di trovare in esso spunti di riflessione per
meglio afferrare il mistero della vita e della fede, che comincia questa nuova
rubrica sui CONCILII.
I CONCILII
Il latino Concilium è l’equivalente
greco di Synodòs. Termine che deriva
dalla radice syn = insieme e dal
sostantivo odòs = cammino. Questa
origine etimologica (camminare insieme)
fa capire come il Sinodo, o Concilio, sia un organismo che ha lo scopo preciso
di prendere decisioni comuni per procedere insieme. Da ciò si evince
l’importanza della più ampia partecipazione di tutte le componenti ecclesiali
per dare il senso e la forza della colleggialità e della corresponsabilità alla
vita della Chiesa.
Fin dai primi anni, dopo l’esperienza terrena di Gesù, si avverte il bisogno di
porre un freno allo spontaneismo missionario foriero di personalismi pericolosi
e di personali e suggestive interpretazioni del pensiero e della predicazione
di Gesù (basta pensare ai Vangeli apogrifi). Ancora vivi i Discepoli si ha
forte l’esigenza di dotare la Chiesa che nasce di un minimo di struttura
organizzativa, di coordinare l’azione missionaria e, soprattutto, di porre la
Parola in modo omogeneo, tanto che a Gerusalemme nel 49-50 d.C. si riuniscono
in assemblea (partecipa anche Paolo) tutti coloro che a vario titolo hanno un
ruolo nella comunità cristiana. Ma di
questa riunione, che in modo informale viene definita Concilio di Gerusalemme,
parleremo in seguito. Con queste frequenti riunioni, ci troviamo di fronte
all’embrionale nascita della teologia, della dogmatica, del diritto canonico,
della gerarchia, della disciplina e giurisdizione ecclesiatiche, non per
imporre, ma per guidare la corretta diffusione del Messaggio di Cristo tra gli
ebrei e i pagani. Le sostanziali differenze tra il concetto di divinità
proposto da Gesù con le forme religiose precedenti (compreso l’ebraismo)
rendono più ardua la comprensione di un Dio che si presenta in modo ben diverso
dal pagano Giove o dal re degli eserciti che vede e considera solo il suo
popolo eletto.
E’ noto che il primo Concilio ecumenico (universale) è quello voluto e
organizzato da Costantino a Nicea nel 325 d.C., ma già dal II e III sec. i
vescovi di una regione o di una provincia romana sono sollecitati a riunirsi
per affrontare problemi locali di varia natura (dogmatici, disciplinari,
morali). Quando, per la presenza di carismatiche figure di vescovi (es. i Padri
della Chiesa) o di scuole teologiche, si vengono a formare degli importanti
punti di riferimento (es. Antiochia, Alessandria, Cartagine), tali assemblee
sono indette e si svolgono nel territorio sotto la loro influenza che, col
passare del tempo, si trasformerà in competenza giurisdizionale. Il vescovo
diventerà il Metropolita di ampi territori e per alcune sedi episcopali il Patriarca.
La Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea è una fonte ricchissima sul
gran numero di queste riunioni precostantiniane che si svolgono nel
medioriente. In una, per esempio, si discute sulle divergenze tra le varie
comunità cristiane a proposito della data di celebrazione della Pasqua e sulle
eretiche affermazioni del prete Montano, che in modo apocalittico predicava
l’imminente fine del mondo.
Nel III sec. a Cartagine, ma non solo, perché anche Roma ne è fortemente interessata
con il presbitero Novaziano, rigorista, che contesta il vescovo Cornelio (non
si parla ancora di papa e di papato), indulgente come Cipriano, si ha il grosso
problema dei lapsi (cioè, dei
caduti): costoro hanno abiurato, sacrificando all’imperatore e agli dei pagani
per sfuggire alla morte durante la persecuzione di Decio (250). San Cipriano, vescovo di Cartagine e
metropolita della provincia africana, nelle sue lettere inviate anche alla
Chiesa di Roma, parla delle numerose e spesso inconcludenti riunioni sinodali a
causa delle posizioni estreme in un senso e nell’altro: chi rifiuta
categoricamente la riammissione, anche dopo adeguata penitenza e, magari, un nuovo
battesimo, in seno alla comunità cristiana e chi, più morbido, riconosce il
dovere al perdono.
Nel tempo il nome Sinodo rimane di
uso comune presso le Chiese orientali, ortodosse e cattoliche, perché in quei
territori la lingua greca è prevalente, mentre nelle Chiese di lingua latina si
usano le espressioni Concilio locale e Concilio ecumenico, anche se talvolta per
Sinodo s’intende una riunione locale e limitata a pochi vescovi. Una curiosità:
dopo 15 secoli tutte le Chiese ortodosse per il 2015-16 hanno indetto un Sinodo
universale superando l’atavica divisione in Chiese autocefale o nazionali. Pochi mesi prima della chiusura del Concilio
Vaticano II (8 Dic. ’65), il papa, neo-beato, Paolo VI con il motu proprio Apostolica sollecitudo del 5 settembre 1965, mette ordine sulla
materia riguardante le assemblee della Chiesa di Roma. Il termine Concilio rimane come assemblea
ecumenica, quindi universale, mentre configura l’istituzione del Sinodo dei vescovi come organo
permanente con la finalità di rendere stabile e concreto il vincolo di
comunione tra i vescovi e la loro corresponsabilità nella guida della Chiesa. I
canoni da 342 a 348 del Codice di diritto canonico disciplinano la materia e
stabiliscono che il Sinodo dei vescovi è un organo consultivo, mai
deliberativo, di vescovi che si riuniscono sotto la diretta autorità del
Pontefice:
a)
in assemblea
generale ordinaria, cui partecipano i vescovi rappresentanti le Conferenze
episcopali di tutto il mondo;
b)
in
assemblea generale straordinaria, quando sono convocati solo alcuni vescovi
a motivo della loro competenza per trattare questioni ritenute urgenti e che
richiedono rapide soluzioni. (Es. quello
tenutosi a Roma sulla famiglia e terminato il 19 ottobre);
c)
in assemblea
speciale, quando sono convocati i soli vescovi appartenenti ad una regione
particolare o continente per il quale
viene indetto il Sinodo.
Al termine dei lavori il Pontefice trae le conclusioni pubblicando una Esortazione
apostolica, ovvero una documentazione magistrale che propone a tutta la
Chiesa la riflessione svolta dal Sinodo. Il medesimo Motu proprio di Paolo VI istituisce anche il Sinodo diocesano, previsto dai canoni 460-468 del Codice di diritto
canonico e regolamentato dalla Istruzione
sui Sinodi diocesani.
In conclusione, con Paolo VI Concilio e Sinodo non sono più sinonimi legati
alla lingua latina e greca, ma diventano due distinti strumenti di
colleggialità per la Chiesa di Roma e cattolica.