Sabato 1° novembre: Solennità di Tutti i Santi (Mt 5,1-12)
La
festa di oggi è in onore di tutte quelle persone che hanno raggiunto la
comunione perfetta con Dio, sia quelle che l’ hanno già fatto nella loro vita
terrena e sia quelle che, grazie all’amore misericordioso di Dio, si sono
purificate dopo la morte. Queste persone sono i Santi che ora sono in relazione
viva e beatificante con la Trinità. La Chiesa venera pubblicamente alcuni di
loro, ad iniziare dalla “Regina di tutti i Santi”, Maria
Santissima, ma essi sono “una moltitudine immensa, che non si
può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap 7,9). Dio ha
posto il Suo Sigillo di Santità a questa moltitudine, ha comunicato all’uomo
imperfetto la Sua perfezione, e sta all’uomo agire come Dio agirebbe.
Un’osservazione
sul numero 144.000 che nell’Apocalisse esprime il numero di coloro che hanno
ricevuto il sigillo: i nostri fratelli Testimoni di Geova lo ritengono un
numero reale, ma l’esegesi cattolica ne coglie il suo valore simbolico che vuol
significare: 144.000 è il prodotto di 12 x 1000 dove 12 rappresenta la totalità
di un popolo (12 erano le tribù d’Israele, 12 gli Apostoli del Popolo di Dio) e
1000 è equivalente al concetto di infinito (anche noi diciamo spesso “te l’ho
detto mille volte di non fare questa cosa”). Possiamo pertanto
ragionevolmente dire che 144.000 corrisponde ad una MOLTITUDINE IMMENSA.
Il
brano evangelico di oggi ci dice a cosa va incontro chi segue la volontà di
Dio. Dio manifesterà il suo amore per noi e Gesù ce lo presenta attraverso
alcune immagini:
-
La consolazione di Dio che cambierà il
destino di dolore in gioia: Saranno consolati
-
Il dono di una vita senza limiti nella
gioia : Erediteranno la terra
-
La scomparsa di ogni bisogno materiale e
spirituale: Saranno saziati
-
La constatazione del perdono di Dio: Troveranno
misericordia
-
L’inizio di una relazione più immediata con
Dio: Vedranno Dio
-
Il riconoscimento della propria vera natura: Saranno
chiamati figli di Dio
-
La piena partecipazione alla vita del cielo “questa
vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità,
con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati, è chiamata cielo” (Cat.
Chiesa Catt. 1024) : Di essi è il Regno dei cieli
Domenica
2 novembre: Commemorazione dei defunti (Gv 6,37-40)
Ho
scelto di commentare il Vangelo della Messa I che non parla di morte ma di
resurrezione.
La
liturgia non si ferma alle lacrime e al dolore che ci sono quando si sopporta
la morte di qualcuno, ma guarda più avanti…., non parla della fine della vita
terrena ma della vita vera che viene dopo. La morte è un fatto inevitabile ….
per chi è in vita! …, lo è stato anche per il Dio - uomo Gesù e neanche per Lui è stato un momento senza
emozione …
Spesso
commettiamo l’errore di Marta (“Se tu fossi stato qui mio fratello Lazzaro
non sarebbe morto…”) perché continuiamo a guardare la vita con lo sguardo
che non va oltre l’orizzonte terreno. Così continuiamo a chiederci dov’è Dio
quando un familiare sta male, quando muore un bambino o una persona giovane
oppure perché non impedisce con la Sua potenza la morte di qualcuno per cui
stiamo pregando. Dio non ci ha fatti per la morte ma per la Vita …. Non per la
sola vita terrena che è sempre troppo poco per i suoi figli, ci ha preparato
uno spazio e un tempo che ci assimilano a Lui per la nostra piena felicità. E’
l’unico punto di vista che ci rende veri uomini, corrispondenti all’uomo
pensato da Dio .
Domenica 9 novembre: Dedicazione Basilica lateranense (Gv
2,13-22)
Oggi
la Chiesa celebra la dedicazione della cattedrale di Roma, intitolata a S. Giovanni
Battista e a S. Giovanni evangelista, “Madre e Capo di tutte le Chiese di Roma
e del mondo. La Cattedrale in ogni
Diocesi richiama simbolicamente tutta la
Chiesa locale, guidata dal Vescovo. In essa si trova la “cattedra” episcopale,
il luogo dal quale il Vescovo esercita il suo ministero di annunciare il
Vangelo e di ammaestrare la comunità cristiana affidatagli dal Papa. In San Giovanni si trova la cattedra del
Vescovo di Roma, del Santo Padre, e pertanto questa Chiesa svolge il compito di
incoraggiare, coordinare, unificare e guidare nell’amore tutte le comunità
locali del mondo. L’edificio “chiesa” è uno spazio sacro, il luogo
dell’incontro tra Dio e l’uomo: Dio è
presente nel tabernacolo (= tenda, in ricordo del luogo che nei 40 anni
nel deserto custodì l’Arca dell’Alleanza) ed attende paziente la visita di
chiunque gli si voglia avvicinare. Nella cultura ebraica il Tempio di
Gerusalemme era il luogo della presenza di Dio (nella stanza detta “Santo dei
Santi,” dove fu conservata l’Arca dell’Alleanza) e il luogo di incontro del
popolo d’Israele: era simbolo dell’unità e della fraternità del popolo eletto. Quando
Gesù parla della distruzione del Tempio e della sua ricostruzione in tre giorni
dice che sta per scomparire l’attuale
modo di incontrare Dio, di pregarlo, di sentirsi popolo prescelto. Gesù prefigura la sua morte e
resurrezione, fatti che andranno a modificare per sempre il rapporto tra gli
uomini e Dio. Gesù risorto è il nuovo Tempio: in Lui
Dio amore si fa presente e si dona, tutti lo possono incontrare e
intorno a Lui si costituisce un’unica famiglia, la Chiesa. Tutti i cristiani,
come ci ricorda San Paolo, sono “…l’edificio di Dio….Tempio di Dio….pietra
viva” . In ogni relazione ricordiamocelo.
Domenica
16 novembre: XXXIII del T.O. (Mt 25,14-30)
La
parabola di oggi ci presenta un padrone che affida ai suoi servi una notevole
somma di denaro (un talento corrispondeva a 600 denari, un denaro
era la paga per una giornata di lavoro di un operaio) e parte per un lungo
viaggio. Non dà la stessa somma ai suoi tre servi ma a uno dà 5 talenti, a uno
3 e all’altro 1. I tre servi investono in maniera differente il denaro: due lo
fanno fruttare e lo raddoppiano, dimostrando fedeltà ed intraprendenza, e uno,
per timore di perderlo, lo nasconde. Quando torna il padrone i servi
riconsegnano il denaro: i primi due vengono elogiati come servi buoni e
fedeli, il terzo viene rimproverato
perché malvagio e pigro. Il padrone è Gesù, i servi siamo noi, i talenti
sono tutto ciò che Gesù ci ha dato: il Vangelo, l’appartenenza alla Chiesa, i Sacramenti,
la Fede, la Speranza, la Carità… e anche
la vita, il tempo, le competenze personali, il lavoro, le amicizie… Gesù ci dice che non dobbiamo comportarci come
i Farisei, che osservando la Legge in modo meticoloso, credevano di ottemperare a tutti gli obblighi
verso Dio. Dobbiamo mettere a frutto tutto ciò che abbiamo poiché lo
riconosciamo come un dono che il Padre ci ha fatto. Quale padre sarebbe felice
se il figlio mettesse in un cassetto e dimenticasse i doni che
gli ha fatto?
Domenica
23 novembre: Solennità
di Cristo Re (Mt 25,31-46)
L’anno
liturgico si conclude con l’immagine di Gesù che verrà Re e Giudice.
Il Vangelo di oggi ci riporta uno degli
ultimi discorsi di Gesù prima di morire nel quale Egli ci presenta il giudizio finale con le immagini
del sovrano che riunisce tutta la sua corte (“ tutti i suoi angeli”) e
pronuncia la sentenza, e del pastore che separa le pecore dai montoni. In questo atto di giudizio Dio
opera come nella creazione iniziale quando “separò la luce dalle tenebre”.
Oggetto
ultimo del giudizio sarà l’amore manifestato ai “fratelli più piccoli”, agli “ultimi”
della terra: gli affamati, gli assetati, gli stranieri, i miseri, gli ammalati,
i carcerati. L’amore è ciò che fa
riconoscere i veri discepoli di Cristo e che deve caratterizzare ogni nostra
azione in attesa della venuta definitiva
del Signore.ù
Domenica
30 novembre: I^ di
Avvento (Anno B) Mc 13,33-37
La
scorsa domenica il Vangelo ci presentava l’immagine della Venuta
gloriosa di Cristo alla fine dei tempi, oggi iniziamo un nuovo anno liturgico
con il Tempo dell’Avvento, che significa Venuta, la sua prima venuta nel
mondo.
L’odierno
passo evangelico sottolinea l’aspetto operoso dell’attesa. La parola
ricorrente è “Vegliate!“: dobbiamo essere sempre pronti ad accogliere
Gesù che viene, con atteggiamento di servizio e con costante attenzione a ciò
che facciamo. Nessuno sa quando il padrone di casa tornerà, quindi smettiamola
di ascoltare i falsi profeti che di tanto in tanto ci presentano le date della
fine del mondo. Nello stesso tempo non adagiamoci sulle false sicurezze del
mondo, dimenticando che la vera vita è altrove e credendo che nulla di nuovo può accadere.