Ilario nasce a Pictavium (l’attuale Poitiers), in
Aquitania (Francia) tra il 310 e il 315. E’ venerato dalla Chiesa cattolica,
ortodossa, anglicana e luterana: questo a dimostrazione della sua grandezza
morale e spirituale. La ricorrenza e la memoria liturgica cadono il 13 gennaio.
Non disponiamo di molti dati certi per stendere una biografia precisa, ma da
fonti antiche sappiamo che appartiene all’aristocrazia gallo-romana ed è un
proprietario terriero. La famiglia, sicuramente pagana, gli fa impartire una
solida educazione letteraria e filosofica in ambito neoplatonico. Lo stesso
Ilario ci parla del suo cammino di ricerca della verità, preso com’è dal
profondo desiderio di dare un senso al proprio destino; la filosofia pagana non
gli offre una soddisfacente risposta, mentre trova la nuova dottrina, che va
diffondendosi rapidamente, più adatta a fornire la risposta cercata e attesa.
Riceve
il Battesimo nel 345. E’ molto probabile che, per i suoi integerrimi costumi di
vita, abbia ricevuto qualche incarico nella comunità cristiana da parte del
vescovo, tanto che, nonostante fosse sposato e padre di una bimba di nome Abra,
i religiosi di Poitiers, nel 354,lo eleggono vescovo della città. Sentendosi
impreparato dottrinalmente si sottopone a un periodo di studio anche sotto la
spinta dell’eresia ariana che sta prendendo campo. Pur mite di carattere, è
inflessibile nella tutela dell’ortodossia uscita dal Concilio di Nicea (325).
Purtroppo, l’arianesimo, dopo aver invaso l’Oriente con il supporto di alcuni
imperatori, sta diffondendosi in modo preoccupante anche in Occidente per le
medesime motivazioni. Vari imperatori, come Costanzo, figlio di Costantino il
grande, sono filoariani e nominano vescovi che aderiscono all’eresia nella
convinzione di poter ritrovare all’interno del vasto Impero quell’unità
politica, economica e militare che sta rapidamente e pericolosamente scemando.
La battaglia teologica intrapresa da Ilario è così decisa da essere definito l’Atanasio d’Occidente. L’imperatore
Costanzo gli impone di presenziare al Sinodo di Bèziers (sud della Francia)
definito da Ilario “il sinodo dei falsi
apostoli”, perché dominato dai vescovi ariani della Gallia guidati da
Saturnino di Arles, i quali chiedono il suo esilio (estate 356) come prevede la
legge per i perturbatori della pace religiosa e politica. La destinazione è la
Frigia, regione della Turchia, dove il contesto religioso è completamente
dominato dall’eresia ariana. Anziché arrendersi, ne approfitta per un intenso
approfondimento sul dogma trinitario come uscito da Nicea, studiando Origene e
i grandi padri orientali e scrivendo il risultato delle sue riflessioni nel
trattato De Trinitate. Per
concretizzare il suo piano politico, che prevede una netta posizione
pro-ariana, l’imperatore Costanzo indice due Concili, uno a Rimini per
l’Occidente e l’altro a Seleucia Tracheotis nell’Isauria (l’attuale città di
Silifke nel sud della Turchia), per l’Oriente.
A
quest’ultimo partecipa e gli è concesso nel suo intervento di sostenere la fede
nicena, ma il risultato finale è ampiamente scontato per la fiera avversione
della maggioranza dei vescovi. Allora, chiede all’imperatore di poter discutere
a Costantinopoli in seduta pubblica con la sua vecchia conoscenza e causa del
suo esilio, Saturnino. Dipinto dagli ariani, padroni della corte imperiale,
come “seminatore di discordia e
perturbatore dell’Oriente”, Ilario riceve da Costanzo il rifiuto e l’ordine
di rientrare in patria (359-360). A Poitiers è accolto in trionfo e riprende
possesso della sua diocesi. Anche
Martino, che aveva lasciato la milizia per diventare suo fido discepolo,
abbandona l’esilio sull’isoletta della Gallinara (davanti ad Albenga) per porsi
di nuovo al servizio del suo maestro e mèntore. Poco prima di essere nominato
vescovo di Tours, Martino, con la benedizione di Ilario, fonda a Ligugé il
primo monastero della Gallia con l’obiettivo di neutralizzare la dilagante
eresia. Ilario è solito visitare i cenobiti per unirsi alla loro preghiera e ai
canti. Per contrapporsi all’attività poetica e musicale degli ariani, si
cimenta con successo nella composizione dei primi inni religiosi
dell’Occidente.
La
situazione politica cambia notevolmente nel maggio del 360, quando le truppe di
stanza a Parigi proclamano imperatore dell’Occidente Giuliano, detto in
seguito, l’apostata. Ilario ne approfitta con decisione e moderazione per
indire sinodi provinciali con lo scopo di riconfermare i vescovi fedeli
all’ortodossia nicena o i sinceramente pentiti della devianza teologica. In uno
di questi viene dichiarata la deposizione di Saturnino e Paterno di Pèrigueux,
dando il definitivo colpo di grazia all’arianesimo occidentale. La morte di
Costanzo nel 361 e il diverso orientamento del successore toglie ogni sostegno
agli ariani anche in Oriente, tanto che vengono richiamati dall’esilio i
vescovi che non si sono piegati all’eresia e nel 362 S. Atanasio può radunare
nel suo patriarcato di Alessandria d’Egitto il “Concilio dei confessori” per mettere al bando definitivamente
l’eresia, ma usando moderazione verso i pentiti e prendendo d’esempio l’operato
di Ilario.
Nel
concilio di Parigi del 361 Ilario con S. Eusebio, vescovo di Vercelli, dà
l’anatema ad Aussenzio, potentissimo vescovo ariano della sede imperiale di
Milano, il quale si appella all’imperatore Valentiniano producendo a suo
sostegno i decreti pro-ariani del Concilio di Rimini e accusando i suoi avversari di turbare la
pace religiosa in un momento difficile per l’Impero. L’imperatore,
impressionato da queste considerazioni, conferma Aussenzio alla guida della
diocesi ambrosiana e ordina a Ilario di lasciare Milano (364), dove si trova
con l’intenzione di ripristinare l’ortodossia. Prima di lasciare la città
Ilario scrive Contra Auxentium per
smascherare le ipocrite reticenze e le affermazioni mendaci del vescovo
milanese causa di confusione per l’integrità della fede tra il popolo
impreparato alle dispute teologiche e per lamentarsi dell’ingerenza imperiale
nelle nomine dei vescovi. E’ l’ultima missione fuori dalla sua diocesi. Gli
ultimi anni di vita sono dedicati agli studi teologici e alla scrittura dei
commenti ai Salmi. Muore il primo novembre del 367. Le sue reliquie gelosamente
custodite sono date alle fiamme, per spregio, durante la rivolta anti-cattolica
degli Ugonotti nel 1562. Nel 1851 Pio IX lo proclama, per la sua opera in
difesa dell’ortodossia della fede, Dottore della Chiesa di Roma.
Nel De
Trinitate ho individuato questo brano dove viene, in modo chiaro e
semplice, indicata l’ansia di dare un significato al dono della vita e il
desiderio di ricerca della verità assoluta. E’ frequente trovare il medesimo
atteggiamento e analoghi percorsi spirituali tra i grandi di questo periodo,
basta pensare, uno per tutti, a S. Agostino.
“Io sono consapevole che tu, o Dio Padre
onnipotente, devi essere il fine principale della mia vita, in maniera che ogni
mia parola, ogni mio sentimento, esprima te. L’esercizio della parola, di cui
tu mi hai fatto dono, non può avere ricompensa più ambita che quella di
servirti facendoti conoscere, di mostrare a questo mondo che ti ignora, o
all’eretico che ti nega, che tu sei Padre, Padre cioè dell’Unigenito Dio.
Questo solo è il fine che mi propongo. Per il resto bisogna invocare il dono
del tuo aiuto e della tua misericordia, perché tu col soffio del tuo Spirito
possa gonfiare le vele della nostra fede e della nostra lode e guidarci sulla
rotta della proclamazione intrapresa. Non viene meno infatti alla sua parola
colui che ci ha fatto questa promessa: ”Chiedete e vi sarà dato, cercate e
troverete, bussate e vi sarà aperto” (Mt7,7). Allora noi, poveri come siamo, ti chiederemo
ciò che ci manca e scruteremo con zelo tenace le parole dei tuoi profeti e dei
tuoi apostoli, e busseremo a tutte le porte che sbarrano il riconoscimento
della verità. Ma dipende da te concedere l’oggetto della nostra preghiera,
essere presente a quanto si chiede, aprire a chi bussa. La natura è presa da
una strana pigrizia e non possiamo capire ciò che ti riguarda per la debolezza
della nostra intelligenza. Ma lo studio dei tuoi insegnamenti ci mette in grado
di intendere la tua divinità, e la sottomissione alla fede ci innalza al di
sopra della conoscenza naturale. Attendiamo dunque che tu dia slancio agli
inizi di questa impresa, causa per noi di trepidazione, che la consolidi con
crescente successo e la chiami a partecipare dello spirito dei profeti e degli
apostoli, perché possiamo capire le loro parole nello stesso senso con cui essi
le hanno pronunziate e le interpretiamo nel loro significato. Parleremo,
infatti, di quanto essi predicarono per tua ispirazione. Annunzieremo cioè di
te, Dio Eterno, Padre dell’Eterno e Unigenito Dio. Confesseremo che tu solo sei
senza nascita con l’unico nostro Signore, Gesù Cristo, generato da te fin
dall’eternità e da non annoverarsi fra gli dèi. Generato da te, che sei l’unico
Dio, e non da diversa sostanza. Crederemo che è veramente Dio colui che è nato
da te, che sei veramente Dio e Padre”. (De Trinitate, lib.1)