Ma davvero “Repubblica”, di
questi tempi, “qualche volta sembra
l’Osservatore romano” ? L’espressione, scritta, come chiosa l’autore, “tra il serio e il faceto”, è di Massimo
Introvigne, pubblicata sul quotidiano cattolico online “La nuova bussola quotidiana”, e si riferisce ovviamente alla grande
attenzione che il giornale diretto da Ezio Mauro, campione storico di laicismo,
riserva da qualche settimana a Papa Francesco ed alla sua azione di
rinnovamento della Chiesa. Soprattutto da quando Francesco ha risposto con una
lettera (del resto pressoché parallela a quella che Benedetto XVI ha
indirizzato a Pierluigi Odifreddi) ad alcune domande rivoltegli da Eugenio
Scalfari ed ancora più dopo che, martedì scorso, “Repubblica” ha dedicato un
grande titolo di prima pagina e poi le tre intere pagine successive al
colloquio del Papa con lo stesso Scalfari, riportato con grande rispetto e con
un’attenzione ai fatti religiosi ed ecclesiali che, su quel quotidiano, era
difficile trovare in passato, per lo meno in quel modo. Ora, non c’è alcun
dubbio che il parallelo con l’”Osservatore” utilizzato da Introvigne sia un po’
esagerato (iperbolico, si direbbe) e del resto è lui stesso a metterne
sull’avviso il lettore. Ma come tutte le iperboli, esso mette a fuoco un tema
reale, e straordinario. Non solo e non tanto l’attenzione del Papa verso un
media importante del Paese, l’Italia, che ha Roma come sua capitale, quanto –
vorrei dire ancora di più – per l’interesse che il mondo culturale, così ampio potente
e spregiudicato, degli “atei non devoti”, del quale “Repubblica” è da sempre
autorevolissima portavoce, sembra mostrare, ricambiando quell’attenzione, per
un pontefice e per la sua azione di governo della Chiesa, peraltro solo
all’inizio. Il punto, a ben vedere, è proprio qui. Agli occhi attenti di un
cattolico preparato o anche di un non cattolico buon conoscitore della dottrina
e della storia della Chiesa, nelle tante pagine di “Repubblica” che abbiamo
citato sopra, così come nella lettera di Benedetto XVI a Odifreddi, non c’è
alcuna novità di contenuto dottrinale, nulla che non abbia il proprio
fondamento teologico nella Sacra Scrittura e in quello che si chiama il “Depositum Fidei”. Se Francesco innova –
e a me pare che egli stia innovando davvero molto – non lo fa nella dottrina,
bensì nel modo di comunicarla ed in quello che possiamo chiamare lo stile
pastorale. Il Papa, sin da quello straordinario “Buonasera” rivolto quasi con un filo di voce in una sera di marzo
dalla Loggia della basilica di San Pietro al popolo del quale era appena
divenuto vescovo, ha proseguito il cammino di rinnovamento dei suoi
predecessori. Ancora Paolo VI, appena eletto (era il 1963), si era limitato a
benedire la folla in latino, senza alcuna parola in italiano. Giovanni Paolo I,
sedici anni dopo, parlò in italiano, ed usò per la prima volta la prima persona
singolare (“io”), invece dello storico “nos” dei suoi predecessori, ma lo fece
solo il secondo giorno, all’”Angelus”. Un
mese e mezzo dopo Giovanni Paolo II non attese il secondo giorno, e pronunciò
subito il celebre storico discorso del “Se
sbaglio, mi corrigerete”. Benedetto XVI fece innovare l’annuncio della sua
avvenuta elezione con il saluto in più lingue, e non solo in latino o in
italiano. Cito questi precedenti per indicare, ancora una volta, che il cammino
della Chiesa verso il rinnovamento è forse, a giudizio di alcuni, sin troppo
lento, ma trova sempre fondamento nei precedenti. Lo stesso ha fatto e sta
facendo Francesco, però con un piglio tanto energico e stupefacente da lasciare
a volte storditi. Il vento dello Spirito, del resto, quando vuole soffia
impetuoso, non è mai solo una brezza leggera: e quando soffia impetuoso, può
persino spaventare, inducendo qualcuno a mettersi al riparo. Ma lo Spirito, dice
Gesù a Nicodemo nel celebre colloquio notturno riportato nel terzo capitolo di
Giovanni, soffia dove vuole, e sa dove soffiare. Lo hanno sentito bene i
cardinali riuniti nella Sistina per il conclave di marzo. Marcando una volta di
più la differenza con ben altre elezioni di carattere istituzionale, anche solo
dall’altra parte del Tevere, e non è davvero il caso di andare avanti su questo
confronto. Ma perché tanta attenzione da parte di Scalfari, di “Repubblica” e
di altri ? Per vendere più copie, si potrà dire, o per il narcisismo (tema non
a caso trattato nel colloquio pubblicato martedì scorso) di un vecchio
giornalista. Tutto può essere, ma non basta. Non si vendono più copie se non si
toccano tasti in grado di coinvolgere chi legge. Non è dato sapere se Scalfari
si convertirà, e non è nemmeno importante saperlo per noi, che abbiamo già
abbastanza da fare a con-vertire ogni giorno che passa noi stessi rispetto alle
nostre contraddizioni e alle nostra colpe. Però è già straordinario che egli,
parlando con il Papa, accetti, come ha fatto, di parlare proprio di
con-versione, e di investigarne gli aspetti, nell’ambito della cultura
post-moderna. C’è un bisogno di infinito che tutto quanto sta accadendo fa
emergere dove non ci saremmo attesi. La tradizione vuole che sia stato proprio
Nicodemo a raccogliere la croce con quel Sangue di Cristo oggi conservato
nell’ampolla della cattedrale di Sarzana e venerato a Cafaggiola come titolare
della parrocchia lunense. Nella Chiesa “ospedale
da campo” dell’inquieto mondo globalizzato di oggi non dobbiamo spaventarci
di lavorare fianco a fianco con chi passa di lì per caso e si mette a
disposizione, anche con idee diverse dalle nostre. Una cosa, comunque, è certa:
Francesco non cesserà di stupirci e, forse, di mettere a dura prova le nostre
troppo facili e a volte comode abitudini di fede.