N° 5 - Maggio 2013
MAGGIO E IL ROSARIO
di Antonio Ratti

 

 

 

 

A parte la ricorrenza della prima domenica di ottobre dedicata alla Madonna della vittoria, festività liturgica istituita nel 1572 da papa Pio V in ringraziamento della vittoria della flotta cristiana nella battaglia navale di Lepanto (7-10-1571) che servì ad arrestare l’avanzata islamica verso occidente e modificata da papa Gregorio XIII nel 1573 in Madonna del rosario, il mese dedicato al rosario è il mese di maggio. Maggio è, palesemente, il mese della maggiore fioritura delle rose e dei roseti. E il nome rosario deriva dalle corone e collane di rose con le quali, in questa stagione, fin dal primo medioevo si era soliti adornare il capo o il collo delle immagini di Maria. Il vocabolo del tardo latino rosarius significa, appunto, collana. Ma l’origine della preghiera più cara al culto mariano è molto più antica e complessa affondando le sue radici nei riti ebraici che si svolgevano nel tempio di Gerusalemme. I Salmi di Davide venivano dai sacerdoti “salmodiati”, cioè cantati al suono del salterio (strumento musicale a corde di origine pastorale) che cadenzava il ritmo, un po’come accade, tanto per dare un’idea, oggi quando si cantano le litanie mariane al termine della recita del rosario. La lettura e la recita dei Salmi erano una consuetudine nei cenobi e nei monasteri quale forma di preghiera comune e di meditazione solitaria. Le prime espressioni di liturgia delle ore si chiamavano salterio, perché, alla maniera ebraica, i Salmi venivano salmodiati dalla comunità cenobitica. La diffusione delle comunità monastiche richiamò all’ideale di vita contemplativa un sempre maggior numero di persone, il più delle volte analfabete, quindi impossibilitate alla lettura, così, pian piano, gli abati impararono a suggerire al posto dei 150 salmi davidici, una preghiera facilmente memorizzabile come il Pater noster e successivamente, attorno al millecento, quando il culto mariano divenne fonte primaria di preghiera, gradualmente si sostituì il Pater noster con l’Ave Maria o Salutazione angelica. Questa forma di preghiera che sostituiva, come abbiamo visto, il salterio vero, si chiamava Salterio della Beata Vergine. L’usanza di recitare il Pater noster in alternativa ai Salmi si affacciò in Occidente addirittura nell’800. Questa prescrizione si incontra nelle Regole dell’Ordine dei cistercensi: ogni sacerdote deve celebrare 20 S.Messe all’anno per ogni membro dell’Ordine e ogni fratello laico deve recitare 10 salteri o 1500 volte il Miserere o 1500 volte il Pater noster. Nell’Ordine dei Templari esisteva un’analoga prescrizione. Verso il millecento la diocesi di Parigi, per es., menzionava nell’elenco delle preghiere da recitare, oltre al Pater noster anche l’Ave Maria che all’epoca era ancora composta dalla prima parte, la salutazione angelica. Tale forma di Salterio della Beata Vergine era oggetto di numerosissime varianti mantenendo, però, il carattere di semplicità e accessibilità a tutti. Restava la lunghezza che rappresentava un grave ostacolo alla sua diffusione tra i fedeli laici. Infatti ad ognuna delle 150 Ave Maria seguiva una meditazione. Lo scopo dei monaci era, oltre la preghiera continua, di riflettere in profondità sui misteri della salvezza. Si cercò, pertanto, di accorciare questa forma riducendo il numero delle Ave Maria e delle meditazioni. Nel 1300 – 1400 prese piede la consuetudine di un rosario costituito da 60 Ave Maria più tre iniziali per un totale di 63. Probabilmente questa formulazione proviene da S. Brigida, mistica svedese, che riteneva 63 gli anni che la Beata Vergine visse sulla terra. Sempre nel 1400 nacque un rosario ispirato al numero 33, gli anni di Cristo, che era composto da 33 Pater noster. Era in uso anche la recita di 5 Pater noster in onore delle 5 piaghe di Gesù a cui venivano abbinate 5 Salutazioni angeliche. Tutte queste pratiche si fusero in un Salterio di 96 orazioni tra Pater noster e Ave Maria. Restavano sempre il gran numero di meditazioni, sicchè la tanto sospirata brevità era ancora da venire. Un decisivo impulso a questa pratica verso la snella forma attuale si deve al domenicano Beato Alano de La Roche (morto nel 1475). Il santo bretone ebbe il merito di riportare a 150 (come i Salmi) il numero delle Ave Maria, suddivise in 15 misteri meditativi da 10 Ave Maria ciascuno, a sua volta, frazionati in tre corone ( misteri gloriosi, gaudiosi, dolorosi) da 50 Ave Maria, da 5 misteri o meditazioni e da 5 Pater noster come le piaghe di Gesù. E’ di questo periodo il cambio di nome da Salterio della Beata Vergine a Rosario della B.V., perché si volle immaginarlo come una corona di rose spirituali offerta a Maria. Dopo un’apparizione della Madonna, S. Domenico impegnò se stesso e il suo Ordine nella diffusione della recita del rosario, tanto che i domenicani furono e sono ancora oggi i più fervidi ispiratori delle Confraternite del Rosario per la promozione della sua recita quotidiana. Un problemino pratico era tenere il conto dei Pater noster e delle Ave Maria, così si passò dai sassolini spostati da un mucchietto all’altro dei cenobi del deserto alle cordicelle munite di nodi dette contapreghiere o più comunemente paternoster, fino alle moderne corone del rosario. Durante le sue apparizioni, Maria ha manifesto sempre la grande predilezione per questa pia pratica; in modo particolare ne chiese la recita a Luordes, a Fatima e oggi a Medjugorje. Il beato Giovanni Paolo II, grande devoto del rosario, con la lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae del 16-10-2002, alle 15 decine, divise in tre serie (poste o corone), ne aggiunse una quarta che portavano a 20 le decine: i misteri della luce o luminosi, per esaltare la cristocentricità mediata da Maria.

                                                                                 

                                        


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