SUL CORPO E NELLA MEMORIA
Ha sollevato la manica della camicia e con orgoglio ha messo l’avambraccio sotto il naso del nonno: a lui, per primo, Eli Sagir ha voluto mostrare il suo nuovo tatuaggio. Sei numeri - 157622 - che hanno ridotto in lacrime il vecchietto: circa settant’anni fa sul suo braccio era stato tatuato lo stesso numero nel campo di sterminio di Auschwitz. Eli - che ha 21 anni e fa la commessa in un supermercato di Gerusalemme - ha voluto dimostrare a Yosef, suo nonno, che non dimenticherà quel che ha subito durante il nazismo, perseguitato perché ebreo, rinchiuso nel campo di concentramento in Polonia negli anni 40 dello scorso secolo.
Yosef è sopravvissuto, altri 70.000, almeno, sono stati uccisi o morti di stenti. E, ormai, a distanza di tanti anni sono pochi quelli che possono raccontare di persona quella esperienza disumana: in dieci anni il numero degli scampati si è dimezzato, passando da 400.000 a 200.000. Cosa succederà quando tutti i testimoni dell’Olocausto saranno morti? Ricorderemo ancora quel che è successo?
“Tutta la mia generazione - ha spiegato Eli Sagir - non sa nulla dello sterminio. Io ho deciso di tatuarmi sul braccio il numero di identificazione perché voglio che i miei coetanei sappiano, voglio che non dimentichino”.
L’idea della ragazza è stata copiata da altri ragazzi. E non solo: la sua mamma per prima, poi i fratelli e infine anche gli zii hanno deciso di farsi imprimere sulla pelle in modo indelebile quel promemoria.
La Storia scritta sul corpo e incisa nella mente e nel cuore.
Da “Popotus” (inserto di “Avvenire”)