N° 10 - Dicembre 2012
Lettera a Gesù bambino
di Antonio Ratti

 

 

Caro Gesù Bambino,

in occasione della memoria della tua natività, con la quale ha preso il via, agli occhi  di molti, un assurdo progetto - mentre Tertulliano sosteneva: credo perché è assurdo –  che ci avrebbe permesso di chiamare Padre il Creatore di tutte le cose, mi permetto di dialogare con Te che

Ti sei fatto uomo proprio per comunicarci le intenzioni del Padre e indicarci come farle nostre con la tua parola e il tuo esempio.

Con onestà Ti svelo un segreto.  La mia ha rappresentato una forma di ribellione e di rifiuto ad ammettere che la nostra Terra fosse una “valle di lacrime”. Ho sempre sostenuto che, pur con gli alti e i tanti bassi, la vita valga sempre la pena di accoglierla con fiducia. Così per anni non ho detto la Salve Regina.

La ribellione è rientrata quando mi sono reso conto che, anche dopo la fine del paradiso terrestre, il nostro Pianeta offriva ancora tante opportunità, non solo materiali, pur dovendocele guadagnare con il sudore della fronte e che, cosa ancora più grave, è risultato e risulta essere l’uomo a renderlo una valle di lacrime.

Nel finale del romanzo, come succo dei Promessi Sposi, A. Manzoni fa dire a Renzo che i guai vengono anche senza andarseli a cercare, figuriamoci se ce li procuriamo con azioni improvvide e scriteriate.

E’ necessario elencare i quotidiani insulti perpetrati dall’insipienza, dalla superficialità, dall’incapacità di guardare alle generazioni future, dalla disumanità, dall’autolesionismo, dalla mancanza del più elementare rispetto verso l’ambiente e l’uomo, infine, ma non ultimo, dalla sfrenata smania di ricchezza e di potere che inibisce il pensare e il riflettere?

Sono giustificabili coloro che hanno lo spinoso problema di come spendere e sperperare i beni accumulati e accumulabili con metodi discutibili (è solo un eufemismo ), mentre si muore ogni 5 secondi di fame o per la mancanza di un’aspirina (4,5 cent.)?

E’ superfluo commentare, per come sono note e limpide, le tue espressioni di dissenso critiche e dure verso i ricchi e i potenti, mentre mostri, in ogni occasione, tanta simpatia per i fragili, per gli indifesi, per i più esposti ai soprusi e alle difficoltà, da chiamarli beati.

Ma anche per chi non appartiene alla casta, la necessità di garantirsi il pane quotidiano può distrarre, creare delle priorità verso il bisogno materiale, tralasciando per tempi migliori, che magari non arriveranno mai, le esigenze dello spirito.

Troppo spesso diamo al quotidiano una valenza assoluta che non ha, per questo è auspicabile ripensare all’opportunità di “dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, nel senso che è giusto preoccuparsi del terreno pane giornaliero, ma nella consapevolezza che, saziando per un tempo limitato, è solo un’integrazione del pane che sazia per sempre.

Ho coscienza di aver esposto pensierini triti e ritriti, però l’Anno della fede offre loro nuova giustificazione.

L’Anno della fede, nell’intenzione del magistero del Pontefice, vuole essere l’ennesimo tentativo di indicare come ripristinare il corretto valore dell’uno e dell’altro pane.

Oggi la bilancia è decisamente squilibrata, tanto che mi viene da pensare che, se il tuo reale Natale fosse in questo dicembre 2012, passerebbe inosservato ai più o, al massimo, sarebbe una notiziola di interesse locale tra le tante che arrivano dal Medioriente attraverso i Tg e internet. Proprio come ti è capitato duemila anni fa: pochi pastori e appena tre personaggi importanti.

Eppure, sei Colui che ha dato senso e sostanza al nostro esistere.

Fa in modo che siano veramente pochi coloro che, alla fine dei secoli, saranno rimasti fermi sulle loro posizioni, indifferenti a questa verità.

 

In fede.

25 dicembre 2012

 

 

 


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