Domenica XXIIa
Labbra e cuore. Se unite, Dio si intenerisce; se divise, Dio non ci sta. Oggi si accusano tanti cristiani di “verbalismo”, viziosi, cioè, di parole, senza che il cuore, la parte più nobile dell’uomo, ne sia minimamente coinvolto. “Non chi dice Signore, Signore…” ammonisce il Maestro, ma chi fa la volontà di Dio è ascoltato e approvato. Forse, anche noi abbiamo il cuore malato. Perché lontano da una comunione, da uno stupore per le meraviglie che il Signore compie nel segreto, da una passione per il Vangelo. Un cuore che freme per le ingiustizie compiute verso i poveri, gli ultimi; che si fa ‘pane spezzato’ per le necessità di tanti fratelli. Dio promette ai figli: “Vi darò un cuore nuovo”. Preghiamolo col Profeta: “un cuore nuovo, donaci Signore!”
Domenica XXIIIa
“Hanno orecchi e non odono”: Il Salmo 115 parla degli idoli fatti dalla mano dell’uomo, ma potrebbe parlare anche di noi che non sappiamo sempre ascoltare “le parole della Sua bocca” e proclamarle con la nostra condotta di vita. Sarebbe bello farci condurre al Maestro dalla fiducia, dall’umiltà, dalla consapevolezza che Lui è venuto per fare del bene a tutti. Ancora toccherebbe e orecchi e lingua, in disparte, con discrezione; dicendoci quella semplice e decisiva parola: ”Apriti!” Basta, allora, con una vita chiusa, ripiegata in se stessa; basta pensare solo al proprio campanile; soprattutto basta chiudersi al diverso, all’esule a chi silenziosamente e con speranza ci tende le mani. Occorre aprirsi a Dio e al suo mistero d’amore, alla Chiesa, al mondo, guardato non da nemico ma con gli occhi del Signore. Un cristiano aperto al vento dello Spirito e che non ha paura di spiegare le vele verso l’infinito.
Domenica XXIVa
“Tu sei il Cristo” afferma Pietro alla domanda di Gesù su cosa pensano di Lui. E’ lo Spirito che glielo suggerisce: infatti, la carne si ribella quando il Maestro confida la sua prossima passione e morte ingloriosa. Pietro si ritroverà con un nome terribile: “Satana”. Attenti che quel ‘nome’ non diventi anche il nostro. Per evitarlo, occorre pensare ‘secondo Dio’. Non è facile, perché troppo sedotti da mentalità mondane, da passioni ricorrenti, da un egoismo che privilegia più il mio “io”. Ma se scommettiamo sul Signore, sapendo anche che, inevitabile, arriverà la prova della croce, ci sarà una gloria che nessuno potrà togliere. La gloria del discepolo fedele, che ha perseverato sino alla fine. Stupenda un’affermazione fatta da un giovane prete, morto prematuramente di un tumore. “Se il Signore mi poserà sulle spalle la sua croce sarà perché sa che la posso portare. E poi mi farà da Cireneo com'è il suo solito”. Che lezione!
Domenica XXVa
Sgomitare. Un verbo che racconta cosa si fa per essere primi. Talvolta si vende la dignità, il rispetto di se stessi ed altro pur di raggiungere il traguardo di un posto che conti e, magari, dove si guadagni tantissimo. Diventa sete tale, che non si esita a calpestare chiunque. Gesù contesta tutto questo. Anche uomini di Chiesa sono tristemente lambiti, talvolta, da desideri di stampo pagano. Il Vangelo ne è conferma. Il Maestro parla ai suoi di croce, di dolore che lo attende. Loro non lo intendono anche perché sono presi da ben altro tema: chi di loro fosse il più grande… Gesù rovescia subito tutta questa mentalità dell’arrivare di ieri e di oggi: ” Il primo si consideri ultimo e servo di tutti”. Il Maestro ha fatto proprio così. La stalla di Betlemme, il lavare i piedi ai suoi nel Cenacolo, quella croce sul Calvario, raccontano la sua scelta. “Da ricco che era…” scriverà, commosso Paolo. Bella una riflessione di uno scrittore talvolta discusso, Marques: “Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardare un altro uomo dall’alto in basso, soltanto quando deve aiutarlo ad alzarsi”. La parola “servizio” è bella, soprattutto se vissuta.
Domenica XXVIa
“Non era dei nostri” dicono i discepoli a Gesù. E allora, “glielo abbiamo vietato”. Raccontano al Maestro le loro avventure pastorali, ma si vantano col Maestro di aver scacciato uno che liberava addirittura la gente dai demoni “nel tuo nome”. Gesù li contesta, aiutandoli a riflettere. Fatti di ieri ma, anche, di oggi. Si parla, in altre sedi di “cerchio magico” nel senso che certe cose sono gestite solo da chi vi appartiene. Il rischio si corre anche nella Chiesa. Quante volte in parrocchia si fatica ad accettare altri che non la pensano come noi sul servizio pastorale, che non fanno parte del nostro gruppo, di quella cerchia per cui simpatizziamo. Più che guardare alle intenzioni del servire il Signore nei fratelli, guardiamo alle persone, selezionandole secondo i nostri gusti. Occorre assumere la mentalità di Cristo, il suo amore. Preoccuparci di essere donatori di acqua fresca per una parola buona, un’accoglienza cordiale, una preghiera segreta per chi ne ha bisogno. E se in noi c’è ancora qualcosa che non va, tagliamolo, dice Gesù. L’occhio che non vede il bene, la mano che non vuole stringere quella di un altro… E in un tempo di troppa pedofilia, imitiamo il rispetto, la tenerezza di Gesù per i bambini, imparando da loro fiducia, amore senza calcolo. Solo così eviteremo “la Geenna” e il cielo si aprirà.