N° 6 - Giugno-Luglio 2012
Eugenio Montale e Ceccardi Roccatagliata
di Romano Parodi

 

 

 

“Il nostro povero Roccatagliata Ceccardi è morto. Qui (in Lunigiana e Versilia) era popolarissimo. Era il cantore della gente del mio sangue, perché d’origine sono Apuano anch’io”. Così scriveva il giovane Eugenio Montale a un amico nel 1919, testimoniando la sua ammirazione per il poeta “viandante” dei “Sonetti e poemi”. 

Montale parla ancora di Ceccardi in uno scritto del 1927 “Poeti e paesaggi di Liguria” definendolo “Padre dei cantori della terra ligure, poeta elegiaco e paesista, ancora in attesa di giustizia”. Ne parla anche nel 1946 in “Intenzioni” descrivendo un’intervista immaginaria (ora in “Sulla poesia”), zeppa di parole di grande lode per lui, poeta “per intero” al confronto del quale “nessuno dei contemporanei ebbe, a tratti, una voce paragonabile alla sua”. Infine nel 1974, sul “Corriere della Sera” profila un ritratto di Ceccardo: “grande viaggiatore in poco spazio, autentico tramp, vagabondo … egli dovette spesso dormire all’aria aperta, anche con poca aria se è vero che in un sottopassaggio molto prossimo al giornale “Il Lavoro” egli passò più di una notte”.

Questa poesia, qui sotto, è del 1923 e denota la profonda conoscenza che Montale aveva del nostro, omaggiandolo con parole tipiche del linguaggio Ceccardiano: tremulo, pioppo, cardo. D’altronde non poteva essere diversamente visto l’amicizia che lo legava con il carrarese Lodovico Cesare Vico di cui fu assiduo ospite a Bocca di Magra e a Carrara, nella villa di Potrignano; villa che aveva una folta siepe di limoni, ai quali Montale si ispirò per una delle sue odi più famose: “I Limoni”.

Il Vico era stato intimo amico di Ceccardo. Fu lui, infatti, che ospitò a Carrara il figlio Tristano, dopo la morte della madre, quel figlio cui il “patriota” Ceccardo, così definito da una lapide sulla sua casa natale, inviò una cartolina senza francobollo (non aveva i soldi nemmeno per l’affrancatura) con la scritta:”I martiri nostri son tutti risorti”.

Scrive Montale:

 

Sotto quest’umido arco dormì talora Ceccardo.

Partì come merciaio di Lunigiana

lasciandosi macerie a tergo.

Si piacque d’ombre di pioppi, di fiori di cardo.

Lui non recava gingilli: soltanto un tremulo verso

portò alla gente lontana

e il meraviglioso suo gergo.

Andò per gran cammino. Finché cadde riverso.

 

                Ma ancora più intimo, fu Giuseppe Ungaretti, compagno di baldorie nelle mitiche “apuanate versiliane”.  Ho saputo che anche Ungaretti ha scritto del nostro e non poteva essere diversamente. Invito chi conosce il testo a portarcelo a conoscenza.

Il “Corriere della sera” si occupò di Ceccardo tre volte; ultimo un elzeviro di Carlo Bo dal titolo: Maledetto Ceccardo. Grande dimenticato”. Con questa “perla meravigliosa”:

 

Mattin, col sole ridi

e gridi con gli uccelli,

ma più che il sole e i nidi

ride e grida il mio cuore

ride e grida l’amore,

e il mio dolce desio

sfiorandole i capelli

sorpassa in mormorio

i nidi e gli arboscelli.

 

Penso, scrive Carlo Bo, che se Montale fosse riuscito nel suo progetto di fare un’antologia per vertici non avrebbe potuto dimenticare questo “Motivo d’amore” che è il simbolo del passaggio dal vecchio al nuovo.

 

 

 


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