1 aprile 2012- Domenica delle Palme - Anno B-( Mc 14,1-15,47)
Nei Vangeli abbiamo quattro narrazioni della Passione di Gesù e quella che ci propone oggi la liturgia è quella scritta da Marco che ebbe la possibilità di ascoltare dall’apostolo Pietro il racconto degli avvenimenti che narra. Il brano inizia con il racconto di un atto di rispetto: l’unzione del capo di Gesù, compiuto da una donna a Betania, paese prossimo a Gerusalemme, e si conclude con la dichiarazione di un centurione romano che ha assistito alla morte di Gesù: “ Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”. Questa donna ebrea (che per l’evangelista Giovanni era Maria, sorella di Lazzaro e Marta) e quest’uomo romano così diversi rappresentano due modi per manifestare la fede in Gesù: con gesti di adorazione, riservando a Gesù ciò che è materialmente più prezioso, e con parole chiare.
Dal versetto 17 inizia la narrazione della cena pasquale con il triste annuncio da parte di Gesù del tradimento che subirà ad opera di un commensale e della Sua morte. Davanti al rituale pane azzimo, cioè non lievitato, Gesù pronuncia le sorprendenti parole: “Questo è il mio corpo” e davanti a uno dei quattro calici della cena pasquale ebraica dice: ”Questo è il mio sangue, il sangue dell’Alleanza versato per MOLTI” (che, secondo il linguaggio semitico, significa TUTTI). La cena si conclude con il canto dei salmi 113-118 e Gesù e i discepoli si recano al Getzemani ( “frantoio dell’olio”). Focalizziamo l’attenzione su due momenti: la Sua preghiera nell’Orto degli ulivi e il Suo grido sulla croce.
1) Gesù è angosciato da ciò che sa che sta per accadere e vive la prova più difficile (la tentazione di essere sollevato dal gravoso compito del sacrificio della croce) che però supera con la preghiera. Il suo rapporto con il Padre è di totale affidamento e ne accetta la volontà. La sua delusione invece è grande rispetto al comportamento superficiale dei suoi discepoli che non comprendono il dramma che sta vivendo.
2) Il grido sulla croce corrisponde al momento in cui Gesù morente sente il Padre lontano e vive l’angoscia che avverte il peccatore che non sente più la presenza rassicurante del suo Creatore e si sente precipitare nel nulla (“Mentre si identifica con il nostro peccato,abbandonato dal Padre, Egli si abbandona nelle mani del Padre” NMI 26).
E’ bene quindi far tesoro delle parole di San Paolo che, nel descrivere la volontaria discesa di Gesù nella morte e la sua esaltazione nella gloria per opera del Padre, ci esorta ad avere in noi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: umiltà ed obbedienza (Fil 2, 5-8).
8 aprile 2012- Domenica di Pasqua- Anno B ( Gv 20,1-9)
Maria di Magdala, la peccatrice convertitasi dopo l’incontro con il suo Rabbì, va al Sepolcro e trova ribaltata la pietra che chiudeva l’ingresso. Corre ad avvertire del fatto Pietro e Giovanni che si affrettano a raggiungere la tomba. Giovanni, più giovane, giunge prima ma osserva da fuori la stanza dove era stato posto il cadavere del Maestro: lascia a Pietro il compito di entrare per primo nel luogo in cui è cambiata la storia dell’uomo. Gli esegeti interpretano questa “gentilezza” di Giovanni nei confronti di Pietro come il riconoscimento dell’autorità che Gesù gli aveva assegnato nel gruppo dei Dodici. La scena che si presenta è ben strana: il cadavere non c’è più ma sono rimaste per terra le bende che lo avvolgevano e il sudario è ben piegato in un angolo.
Giovanni ci dice che VIDE e CREDETTE.
15 aprile 2012- 2° dom. di Pasqua- Anno B- (Gv 20, 19-31)
I verbi “vedere” e “credere” sono importanti anche nel brano evangelico di oggi che ha per protagonista il discepolo Tommaso. Egli è ”l’antenato” di tutti quelli che ancora oggi chiedono prove sensibili per poter aderire al Credo cristiano.Tommaso chiede delle prove certe per credere alla Resurrezione di Gesù, vuole ”vedere” e “toccare con mano”, ed Egli prende sul serio la sua richiesta. Non sappiamo come l’abbiano accolta gli altri discepoli: probabilmente gli avranno dato dell’incredulo, lo avranno denigrato. Ma Dio non ritiene mai banale alcuna richiesta spirituale o alcun dubbio morale dell’uomo. Egli sa quanta confusione, incertezza e desiderio di senso della vita siano presenti nell’intimo di ogni persona e non ha fretta: come fanno i migliori maestri rispetta i tempi di maturazione di ognuno. La “richiesta” di Tommaso viene esaudita “otto giorni dopo”: con questa indicazione temporale Giovanni rimanda alla Domenica successiva, dando a questa notazione un carattere liturgico. Nel “giorno del Signore” la comunità dei credenti si riunisce per fare memoria della Passione e Resurrezione di Gesù celebrando l’Eucaristia: è l’occasione per manifestare, per rafforzare o per recuperare la sicurezza della propria fede.
22 aprile 2012-3°dom. di Pasqua- Anno B- ( Lc 24,35-48)
Molte persone sono ancora oggi convinte che il Cristianesimo sia una dottrina spiritualista, in cui non c’è molto spazio per i valori del corpo. Ma non è assolutamente così. Tale idea appartiene piuttosto ai pagani che non desideravano altro che la liberazione dell’anima dalla prigione del corpo per raggiungere l’immortalità degli dei (Platone, Fedro 66) o per annullarsi in Dio, anima del mondo (Plotino, Enneadi I,1,4). Oppure agli Induisti che ancora oggi credono che avere un corpo sia un castigo e che il vivere più vite (reincarnazione) sia dovuto al fatto di avere commesso dei peccati e quindi una punizione.
Nei primi quattro secoli i Cristiani venivano addirittura derisi dagli intellettuali greci e romani poiché credevano in un Dio che si era squalificato incarnandosi e che si era pure reso ridicolo per la volontà di conservare il Suo corpo con la resurrezione. San Paolo in 2 Cor 5,4 dice quale è una delle aspirazioni del Cristiano: “…perché non vogliamo essere spogliati (del corpo) ma rivestiti, affinché ciò che è morto venga assorbito dalla vita. E’ Dio che ci ha fatto proprio per questo…”. Dunque Gesù è risorto anche col Suo corpo: non è un’anima, non è un fantasma. La persona di Gesù, uccisa in croce, è di nuovo viva. Non ha un altro corpo, è quello che è stato inchiodato alla croce! Non è un essere solo spirituale perché mangia e può essere toccato…!
Il brano evangelico di Luca termina con l’affidamento ai Dodici della Missione di predicare a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati e con la promessa di un aiuto che verrà dall’alto.
29 aprile 2012- 4°dom. di Pasqua-Anno B- (Gv 10,11-18)
“Io sono il buon Pastore”, è la frase iniziale del Vangelo di oggi ed è la definizione che Gesù dà di se stesso, collocabile tra le “formule di rivelazione” che Giovanni nel suo Vangelo introduce sempre con l’espressione” Io sono”. L’immagine del pastore è spesso evocata nell’ Antico Testamento, dove i re sono anche chiamati “pastori di popoli” e dove a Dio vengono spesso attribuiti verbi o espressioni che sono prerogative del pastore: “guidare”, ”condurre”, “radunare”, ”difendere”, “dissetare”, ”dare la vita per il gregge”…
Gesù dice di sé che Egli è un pastore kalos , “esemplare”, pronto a dare la vita per il suo gregge. Oggi questo compito è affidato al Vescovo (dal greco episcopos “sorvegliante del gregge”) che lo esercita con l’aiuto dei sacerdoti. Gesù fa una distinzione tra i pastori proprietari del gregge e i pastori mercenari. Per i primi le pecore sono il bene più prezioso e lottano per difenderle dal lupo, mentre i mercenari pensano a salvare piuttosto se stessi…Le pecore hanno bisogno di un Pastore.
Il santo curato d’Ars, don Vianney, diceva spesso: “Lasciate un paese senza prete per una ventina di anni e alla fine la gente finirà con l’adorare le bestie”.