Il 17 gennaio è la festa di Sant’Antonio abate. Nel nostro paese era un ricorrenza particolarmente sentita. La grande famiglia Ceccardi aveva un’autentica devozione per il Santo “che sconfisse le tentazioni”. Lo stesso Vescovo Ambrogio Monticola Ceccardi nel 1527 innalzò un altare in suo onore nella vecchia chiesetta di San Lorenzo in mezzo al borgo, con una pregevole statua di marmo del Santo che la sua famiglia venerava. In seguito la chiesa venne abbandonata e l’altare fu trasferito nella nuova chiesa di San Lorenzo; ma la devozione continuò, perché, come vediamo da una lapide, anche il capitano Pietro Ceccardi nel 1700 lo arricchì di un pregiato sacello contenente la reliquia di San Pietro Apostolo e “auxit decorò” (oggi non c’è più nulla ne reliquia ne oro e l’altare è semi distrutto).
Ma gli ortonovesi lo identificano soprattutto con la benedizione degli animali, perché quand’ero ragazzo, il 17 gennaio, la piazza si riempiva di pecore, mucche, asini, maiali, e di ogni altro animale domestico. Era una baraonda indescrivibile. Il ricordo che più mi è rimasto impresso, è la piazza piena di escrementi . Altro ricordo: nella stalla, dove mio nonno teneva una vacca, c’era un quadro di Sant’Antonio abate.
Ai miei tempi non usava già più, ma un tempo c’era anche l’usanza di fare, con gli sterpi, un grande fuoco, “il falò di Sant’Antonio”: Aveva il compito di bruciare i vecchi mali dell’anno passato. La cenere di questi falò era conservata, assieme ad altre sostanze, nelle “bude”. Le bulle erano piccoli contenitori pregiati, anche d’argento, che fungevano da scapolari “portafortuna, e si portavano al collo come una collana”.
Chi portava la buda perciò era preservato dalle malattie; soprattutto dall’herpes, detto appunto “fuoco di Sant’Antonio”.
Antonio era un eremita egiziano del 200 (era l’Egitto la culla del cristianesimo). La leggenda dice che, per procurarsi il fuoco, andò a bussare alla porta dell’inferno accompagnato da un maialino. I Diavoli al vederlo così spiritato e invincibile, si spaventarono e richiusero il portone. Ma non riuscirono ad impedire al maialino di sgusciare all’interno; dove prese a scarrozzare di qui e di là, inafferrabile, e a sconvolgere la vita di quei poveri diavoli. Allora si rassegnarono e chiamarono Antonio che andasse a riprenderselo. Il Santo, che era ciò che voleva, scese quindi all’inferno e riprese il maialino, ma anche il fuoco che avrebbe purificato il mondo dall’herpes.
Le sue reliquie sono conservate in una grandissima cattedrale gotica dell' XI secolo, nel sud della Francia (da visitare), meta continua di pellegrini malati di herpes. Erano così numerosi che l’ordine religioso degli ospedalieri Antoniani, fondò un ospedale apposito proprio a fianco della chiesa, pronto ad accoglierli.
La notizia, molto interessante, e che mi ha spronato a questo articolo, è che, sia il prof. Serri che il prof. Galloni, dicono che sulla porta d’entrata del paese c’è il simbolo del Tau e il Tau è il simbolo degli ospedalieri Antoniani. Quindi quando i lucchesi eressero la porta d’entrata di Ortonovo, vi scolpirono, così come a Lucca, sia il labirinto che il Tau di Sant’Antonio, già allora molto venerato nel paese.
Sant’Antonio infatti è simboleggiato da un maialino e da un bastone a forma di T ( ↑ ) . Il Tau quindi è la gruccia del Santo. Alla sommità ha due sporgenze a forma di croce che servivano, appunto, per appoggiarvi meglio la mano.