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di + Francesco Moraglia, vescovo
L’inizio del nuovo anno scolastico deve essere percepito come momento rilevante di tutta la comunità civile; la scuola, infatti, è spazio privilegiato in cui si gioca non poco del futuro culturale e morale del nostro Paese. Corrisponde, quindi, al bene del cittadino che l’istituzione scolastica sia messa in condizioni d’assolvere il suo compito: educare le future generazioni; non si tratta soltanto di prepararle a una futura attività professionale ma di trasmettere valori personali e sociali in vista del bene comune. La scuola deve poter onorare tale compito in modo da essere fedele a se stessa; ed è proprio la comune opera dei tanti soggetti che compongono il variegato mondo scolastico - dirigenti, docenti, personale amministrativo, tecnico e dei servizi, genitori, studenti - che ne decreta il successo; la politica qui ha il suo ruolo specifico e insostituibile, al di fuori, però, di ogni indebita ingerenza. Solo una comune assunzione di responsabilità per trasmettere quelle virtù che possiamo definire civili permetterà di rispondere alla sfida educativa che, oggi, si presenta con i caratteri dell’emergenza. Tale sfida dà all’interno di una società profondamente frammentata e divisa - non tanto per le differenti culture ed etnie che la caratterizzano e molte volte l’arricchiscono - quanto, piuttosto, per l’affermarsi di una mentalità fortemente individualista ed incline al soggettivismo, quindi, indifferente ai valori della solidarietà. Gli episodi che anche quest’estate hanno avuto come protagonisti non pochi giovani, ne sono la triste conferma. Come italiani, il tema dell’integrazione si pone all’interno di una storia comune che ci unisce, infatti, abbiamo celebrato i 150 anni dell’unità nazionale; si tratta di una storia che domanda d’essere accolta come nostra e d’essere valorizzata anche attraverso il nuovo che avanza. Al centro poi dell’impegno educativo e formativo delle nuove generazioni va posto, senza reticenze, l’uomo inteso come valore non negoziabile; è proprio la dignità dell’uomo che va riconosciuta, ovunque si dia cenno e palpito di vita umana; qui s’impone una legge che non ammette eccezioni di sorta, quella dell’accoglienza dell’uomo, in quanto tale, a prescindere dalla sua storia. L’accoglienza e l’integrazione, come altre virtù civili, si apprendono oltre che in famiglia e nella comunità religiosa d’appartenenza anche sui banchi di scuola, imparando il significato della parola dignità e rispetto dell’altro e degli altri, sempre e in ogni circostanza. A quanti con differenti mansioni lavorano nel mondo della scuola, auguro, all’inizio del nuovo anno, nonostante le difficoltà in cui operano -( penso ai troppi precari e a chi deve gestire risorse finanziarie sempre più esigue) - di contribuire al bene della nostra Italia che, a 150 anni dalla sua unificazione, è chiamata a un rinnovato e sereno sforzo di coesione a partire dalle nuove generazioni.
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