N° 3 - Marzo 2011
Quando la ragione riesce a governare la forza
di Don Domenico Lavaggi

 

 

Quando la ragione riesce a governare la forza

L’Associazione “Diritti e Doveri” ha organizzato un incontro, il 18 febbraio u.s., per ricordare un fatto del 13 novembre  1944 che vide protagonista don Albino Bellangelo e nello stesso tempo ricordare altri preti (don Luciano Pesce Maineri, orionino e don Tito Bassi, parroco a Nicola) che si adoperarono per la pace in quel triste periodo. Ha introdotto i lavori Mario Battiglia, poi il saluto dell’assessore alla Cultura, Massimo Marcesini.

Relatori: don Domenico Lavaggi: “Sono stato il curato di don Albino”.

            Adolfo Croccolo: Un Ebreo ed un Cristiano…si sono incontrati.

            Elio Gentili: Don Pesce Maineri e don Tito Bassi, uomini di pace.

 

Pubblichiamo in questo numero il testo dell’intervento di don Domenico (in seguito anche gli altri se ci perverranno).

 

            Quando Mario Battiglia mi ha telefonato parlandomi di questa iniziativa, ho iniziato a rovistare nel sacco della memoria e dei ricordi, dove ho trovato alcune date di avvenimenti dei quali sono stato testimone oculare.

 Ve le elenco una per una:

10 giugno 1940 -  

 

Quel mattino la maestra comunicò che saremmo usciti alle ore 11 perché il Duce avrebbe parlato alla radio per comunicare una grande notizia! Così, alle 12 in punto, eravamo in tanti (adulti e ragazzi) davanti all’osteria della Valé, curiosi ed attenti. E la notizia giunse: “La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli Ambasciatori di Francia e Gran Bretagna!”. Subito dalla radio arrivò un boato di urla e di applausi ai quali si unirono quelli di molti uomini seduti sopra il muretto, davanti all’osteria. Io, in piedi con altri ragazzi, mi girai per guardare mio padre, seduto con altri uomini. Rimasi sconcertato vedendo che stava piangendo! Allora non potevo capire data la mia giovane età! Soldato nella guerra del ’15-’18 (la grande guerra), egli sapeva il significato della parola GUERRA! Dovettero passare alcuni anni affinché potessi capire ed è proprio qui che trovo la seconda data.

8 settembre 1943 - 

 

Il Maresciallo Badoglio firmò l’armistizio con gli Inglesi e gli Americani, mettendo così la parola fine alla guerra voluta dal Duce. Grandi festeggiamenti quel giorno! Purtroppo il peggio doveva arrivare. Tutti sapevamo che  il Comando fascista della Spezia usava la palestra della scuola elementare di Serravalle come deposito di merci e derrate. Dalla Spezia spesso i camion venivano per caricare le merci per rifornire le caserme cittadine. Tutto andò liscio fino al giorno in cui uno di quei viaggi finì in tragedia. I partigiani che stavano sui monti, avvertiti da qualcuno del paese, scesero e si appostarono in diversi punti strategici e quando il camion s’accinse a ripartire con il carico di merce e i militari di scorta, poiché avevano nel frattempo fatto prigioniero un partigiano, si scatenò un vero inferno di fuoco. Morirono alcuni militari ed altri rimasero feriti; ma buona parte si salvarono entrando nel portone della caserma dei carabinieri, davanti alla quale il camion era stato bloccato. Mi pare di ricordare che rimase ferita anche la moglie del maresciallo, la quale, terrorizzata, tentava di fuggire. Finita l’azione bellica e fatti prigionieri alcuni militari, i partigiani presero d’assalto il camion e lo svuotarono. Quindi “silenzio e spavento” per tutti noi civili. Lì per lì, l’azione partigiana parve una vittoria; ma purtroppo segnò l’inizio di assalti e scaramucce che tenevano tutta la popolazione sotto pressione ed agitazione. Il dilemma era: con chi si deve stare? Con i partigiani o con i fascisti? Un dilemma di non facile soluzione in quel tempo. E così tra la popolazione prese campo la divisione che, col tempo, sfociò in avversione ed odio.

Brutta situazione che minacciava di precipitare verso il peggio con conseguenze inimmaginabili. Ma è ora che vi ricordi la terza data trovata nel sacco della memoria e che è il motivo di questa giornata.

13 novembre 1944 -  

 

E’ una data che voglio ricordare tenendo presente che io sono prete. Passato il tempo dei contrasti ho rivissuto quella data ed ho pensato che quello che è accaduto fosse da ascrivere ad un “Qualcuno” che da sempre guida i pensieri e le azioni umane. Quella volta mandò un’ispirazione che sapeva di buono ai responsabili delle due fazioni in guerra tra di loro: fare uno scambio pacifico di prigionieri, da attuarsi nel luogo dove avvenne l’assalto al camion dei militari fascisti. Non fidandosi però l’uno dell’altro, fu deciso di ricorrere a due garanti. Così decisero di affidarsi a due preti. Furono scelti don Albino Bellangelo, parroco di S. Martino-Casano, per la parte dei partigiani: don Siro Silvestri, giovane prete di Sarzana (che sarà poi Vescovo a Foligno e a La Spezia,) per la parte fascista. La scena era questa: nei pressi della  casa di mia zia Manuela, stava il gruppo partigiano  con i prigionieri-ostaggi fascisti e con don Albino, ‘garante’. Nei pressi della farmacia Piola stava il gruppo fascista con i prigionieri-ostaggi e con loro don Siro, ‘garante’. Lo scambio avveniva a metà via, di fronte all’aia di Micheloni. I due preti accompagnavano l’ostaggio da scambiare e si curavano che tutto fosse regolare, poi, mentre gli ostaggi tornavano presso i loro amici, i due preti facevano il cammino a ritroso. Una forma semplice ed efficace. Si pensò così che tutto fosse finito e che si fosse tornati ad una realtà serena e pacificata; ma così non fu. E qui devo ancora ricordare che sono un prete ed allora voglio leggervi una pagina della Bibbia riferita al Diluvio. “Scesi dall’Arca, sani e salvi, Noè e i suoi familiari decisero di offrire a Dio un sacrificio di ringraziamento. E mentre il fumo della vittima sacrificata saliva verso l’alto, Dio apparve a Noè e gli parlò così: Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo perché l’istinto del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza…” (Gen- 8,21). Vi state chiedendo che cosa c’entra questa citazione biblica. Ve lo dico subito ricordandovi la quarta data trovata nel sacco.

29 novembre 1944-   

 

La data più tragica dei miei ricordi di quel tempo: “Il grande rastrellamento!”. Quella mattina la vallata e i monti circostanti furono spettatori di una scena apocalittica. Uomini, giovani ed anziani che, come gregge di agnelli e pecore, fuggivano ad un branco di lupi feroci che li inseguivano, sparando ed uccidendo! Come accade in natura, così fu quel giorno. I lupi ebbero il sopravvento e gli agnelli e le pecore furono le vittime. Badate che non sto raccontando la favola di Esopo del lupo e dell’agnello, ma sto facendo memoria di una tragedia! Lo “scambio” avvenuto il 13 novembre, fu subito dimenticato e ne fu cancellata la memoria. Risultato di quella giornata: dieci cadaveri di uomini giovani ed anziani allineati sul pavimento della cappella del cimitero di S. Martino. E non fu neppure l’ultima volta, perché altri morti si contarono.

25 aprile 1945-  

 

Tra le cose accadute dopo quel 29 novembre, una mi piace ricordare perché ha ancora come protagonista don Albino. Al comando tedesco di zona era aggregato un sergente dell’esercito italiano. Era noto a tutti per le sue stravaganze e il suo atteggiamento aggressivo e provocatore. In possesso di una motocicletta amava scorazzare su e giù per la vallata; dalla caserma alle pendici dei monti e oltre, come a voler dire ai partigiani: eccomi, sono qui; non vi temo; prendetemi se ne avete il coraggio! Arrivò così un giorno che fu catturato dai partigiani e portato al Forte, dove stazionava il comando partigiano. Questo fatto irritò talmente il comando tedesco che, il giorno seguente, emanò un proclama perentorio: “Se entro questa sera il sergente non sarà consegnato al comando, i paesi e le case sparse saranno messi a ferro e fuoco!”. Tutti sapevano che la minaccia era seria in quanto altrove era già stata attuata ed il terrore cominciò a serpeggiare in tutte le case. Don Albino ebbe un’idea degna di quel prete che era: salire al Forte e farsi consegnare il sergente da riportare ai tedeschi. Accompagnato da due volontari coraggiosi, salì al Forte ed ebbe soddisfazione: gli consegnarono il sergente. Ricordo che ridendo mi disse: “Ad ogni due o tre passi gli rifilavo un calcione nel sedere, dicendogli -Cammina, disgraziato-!”. A parte i calci, rimane il fatto: il paese fu salvo e la gente poté respirare dopo la consapevolezza di aver corso un così grave pericolo ed averlo scampato. Non voglio però dimenticare quella che comunemente è detta”resistenza passiva” della popolazione, ma che io amo invece definire “resistenza silenziosa”, quella che ha visto donne e uomini di ogni classe, mestieri (contadini, casalinghe, studenti, professionisti, preti) che, pur rimanendo al loro posto, si sono opposti con fierezza a quelli che avevano creduto di essere diventati i padroni assoluti della terra e della galassia. Onore anche a loro come a tutti coloro hanno opposto resistenza con le armi.

                                                                                                                                           

 

 

 


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