Da piccoli eravamo sempre entusiasti della benedizione della casa il giorno dell’Epifania. Infatti potevamo riempire la casa d’incenso. Così, profondamente affascinati, prendevamo in prestito in chiesa il turibolo, mettendoci dentro sempre abbastanza incenso, così che il buon profumo si potesse sentire proprio dappertutto.
All’Epifania non è il sacerdote a benedire la casa, bensì il padre o la madre, insieme ai bambini. Noi ci divertivamo sempre moltissimo a passare di stanza in stanza con il turibolo e ad aspergere ogni oggetto in casa nostra d’acqua santa.
La consuetudine della benedizione delle case il giorno dell’Epifania risale forse a un uso pagano durante le ‘dodici notti’ tra Natale e l’Epifania. Per paura dei demoni si disinfestavano con il fumo la casa e la stalla e si apponeva un’iscrizione sulla porta della casa, affinché la sventura fosse bandita dall’abitazione. I cristiani hanno cambiato il significato di questa consuetudine.
Poiché la gloria di Dio si è manifestata visibilmente in Gesù Cristo (Epifania), deve risplendere ovunque, anche nelle nostre case. La benedizione deve mostrare all’essere umano, a cui spesso sembra di essere privo di riparo, che Dio stesso dimora nella sua casa. Là dove abita Dio, anche l’essere umano può sentirsi a casa.
Il giorno dell’Epifania, nei Paesi di lingua tedesca, sull’architrave della porta si scrivono le tre lettere C+M+B seguite dalle cifre del nuovo anno. Il popolo ha pensato che fossero le iniziali dei tre Re Magi: Gaspare (Caspar), Melchiorre e Baldassarre. In realtà si tratta della sigla della formula latina: “Christus mansionem benedicat = Cristo benedica questa casa”.
Il segno della croce è come un sigillo che si disegna sulla porta. Quando la porta è suggellata, in casa non può penetrare alcuna forza nociva.